La natura errata del provvedimento e l’essere madre di minori salvano dal MAE la spacciatrice straniera

Il MAE emesso nei confronti di madre di prole di età compresa tra tre e sei anni, impone una approfondita verifica in ordine alle condizioni di detenzione, dovendosi accertare se il paese richiedente preveda meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana in materia, in modo tale da escludere che l’applicazione della misura cautelare si risolva in un trattamento inumano o degradante per la madre, nella misura in cui viene privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché in una lesione del diritto dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita.

È quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 22124/21, depositata il 4 giugno. La Corte d’Appello di Bologna disponeva la consegna in esecuzione del mandato di arresto processuale emesso dall’autorità giudiziaria belga nei confronti di una straniera indagata per il reato di traffico di stupefacenti , commesso in Belgio, Italia e Regno Unito. L’accusata ricorre in Cassazione lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che la Corte d’Appello si sarebbe pronunciata con un’ ordinanza e non una sentenza e della violazione degli artt. 1 e 2 l. n. 69/2005 in relazione agli artt. 2 e 29 Cost, essendo la ricorrente madre di tre minori residenti stabilmente in Italia e dovendo garantire il rapporto madre-figli. Il ricorso è fondato in quanto la Corte d’Appello di Bologna avrebbe erroneamente emesso il provvedimento con natura di ordinanza e non sentenza , difettando degli elementi identificativi di quest’ultima tra cui l’ intestazione in nome del popolo italiano ” art. 546, comma 1, lett. a c.p.p. e non riportando il nome del difensore di fiducia della ricorrente, né la data di deposito in cancelleria. Ne conseguono i meri errori materiali che comportano la qualificazione del provvedimento quale ordinanza, nonostante andrebbe qualificato come sentenza in ragione del suo contenuto e della finalità di definire la fase del giudizio in cui è stato emesso. Per quanto riguarda la data di deposito, la Corte di Cassazione rileva che dall’annotazione in calce alla stessa, risulta che è stata letta e depositata in udienza”, sicchè non occorreva alcun ulteriore incombente . Per ciò che attiene la misura cautelare, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare in tema di estrazione per l’estero , il divieto di consegna previsto per il mandato di arresto europeo dell’art. 18, lett. p , l. n. 69/2005, come modificato dalla l. n. 117/2019, previsto nel caso di madre di prole di età inferiore a tre anni , non si applica ai cittadini degli Stati non appartenenti all’UE, e tuttavia, avendo riguardo tale disposizione ad un principio generale informato alla primaria esigenza di tutela dell’interesse dei minori, l’estradizione potrà essere disposta, ai sensi dell’art. 705 c.p.p. solo previa verifica che lo specifico trattamento penitenziario cui sarebbe sottoposta l’estradanda consenta la salvaguardia dell’integrità psicofisica del minore Cass. n. 1677/2019 e che l’accoglimento della domanda di estradizione nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni presuppone che il regime carcerario dello Stato richiedente presenti meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana nella materia Cass. n. 46444/2009 . Ed è per questo che la Suprema Corte afferma che il MAE emesso nei confronti di madre di prole di età compresa tra tre e sei anni, impone una approfondita verifica in ordine alle condizioni di detenzione , dovendosi accertare se il paese richiedente preveda meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’ integrità psicofisica del minore , oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana in materia, in modo tale da escludere che l’applicazione della misura cautelare si risolva in un trattamento inumano o degradante per la madre, nella misura in cui viene privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché in una lesione del diritto dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita e che nell’ambito della disciplina del MAE , la tutela della madre non può ritenersi circoscritta alla sola previsione del motivo obbligatorio di rifiuto alla consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. p , posto che, ove pure questo non risulti operante, occorrerà ugualmente verificare se l’ordinamento dello Stato richiedente riconosca, una volta disposta la consegna, adeguate condizioni di trattamento detentivo, tali da escludere che l’interessata possa esser sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione di madre. A tal fine si evidenzia come, nell’ordinamento interno, l’art. 275 c.p.p., comma 4, prevede il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere , se non a fronte di esigenze cautelari eccezionali, nei confronti madre di prole di età non superiore a sei anni. L’ordinamento carcerario, inoltre, disciplina plurimi istituti a tutela della maternità, quali la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori. Orbene, pur non essendo richiesto che l’ordinamento dello Stato richiedente preveda le medesime tutele, è comunque necessario verificare se vi sia una normativa quanto meno equivalente a quella interna ed in concreto idonea a perseguire quella medesima finalità di salvaguardia dell’interesse del minore . Per questi motivi il Collegio annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 – 4 giugno 2021, n. 22124 Presidente Bricchetti – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. Con ricorso ritualmente proposto, T.A. impugnava la sentenza con la quale la Corte di appello di Bologna disponeva la consegna in esecuzione del mandato di arresto di seguito MAE processuale emesso dall’autorità giudiziaria belga, innanzi la quale la predetta è indagata per il reato di traffico di stupefacenti in associazione, commesso in Belgio, Italia e Regno Unito nell’anno 2020. 2. Avverso la suddetta pronuncia, la ricorrente ha articolato quattro motivi di ricorso, di seguito sinteticamente esposti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Con il primo motivo si deduce che la Corte di appello si sarebbe pronunciata con ordinanza, anziché con sentenza. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. e , e art. 17, comma 4, difettando l’accertamento, sia pur nei limiti consentiti dalla procedura in esame, dei gravi indizi di colpevolezza, non avendo la Corte di appello proceduto ad un vaglio critico degli elementi indicati nel MAE, che risulterebbero meramente trascritti nella parte motiva della decisione. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento del motivo ostativo alla consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h in particolare, la Corte di appello avrebbe recepito le indicazioni provenienti dall’autorità belga, secondo cui non sussisterebbe alcun rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, senza procedere ad un vaglio critico. 2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, artt. 1 e 2, in relazione agli artt. 2 e 29 Cost., evidenziandosi che la ricorrente è madre di tre minori, di età compresa tra tre e dieci anni, residenti stabilmente in Italia, ai quali va garantito il rapporto con la madre. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione. 2.1. Con il primo motivo si deduce che il provvedimento emesso dalla Corte di appello di Bologna avrebbe natura di ordinanza, anziché di sentenza, difettando gli elementi identificativi di quest’ultima quali, in particolare, l’intestazione In nome del popolo italiano , inoltre, non è stato riportato il nome del difensore di fiducia del ricorrente, nè la data di deposito del provvedimento in cancelleria. Invero, il fatto che il provvedimento non contenga nell’intestazione l’indicazione di sentenza , nè la dicitura in nome del popolo italiano dà luogo a meri errori materiali che non comportano per ciò solo la qualificazione dello stesso quale ordinanza. Il provvedimento, infatti, va qualificato come sentenza in ragione del suo contenuto e della finalità di definire la fase del giudizio in cui è stato emesso. Il mero errore materiale, consistito nel non aver inserito la formula In nome del popolo italiano richiesta dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. a , non dà neppure luogo a un’ipotesi di nullità della sentenza, trattandosi di requisito non ricompreso tra quelli tassativamente indicati dall’art. 546 c.p.p., comma 3 Sez. 6, n. 25828 del 19/6/2008, Cebula, Rv.240349 . Parimenti non ha natura invalidante la mancata indicazione del nominativo del difensore di fiducia. Per quanto concerne, invece, la data di deposito della sentenza, si rileva che, dall’annotazione in calce alla stessa, risulta che è stata letta e depositata in udienza , sicché non occorreva alcun ulteriore incombente. 3. Con il secondo motivo di ricorso, pur articolato come violazione di legge, si deduce un vizio di motivazione, nella misura in cui si sostiene l’insufficiente vaglio in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che sarebbero stati desunti dalla mera elencazione degli elementi forniti con il mandato di arresto. Occorre premettere che, l’autorità giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente riferibile ad un fatto-reato attribuibile alla persona di cui si chiede la consegna, e che di ciò abbia fornito ragioni nel provvedimento adottato Sez.6, n. 28281 del 7/06/2017, Mazza, Rv. 270415 Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348 . L’autorità richiesta della consegna non è tenuta a compiere una valutazione specifica e nel merito dei gravi indizi di colpevolezza, sovrapponibile a quella prevista per l’adozione di una misura cautelare nell’ordinamento interno, essendo esclusivamente necessario un vaglio circa l’esistenza di un quadro indiziario che, nella prospettazione dell’autorità estera e nell’ambito delle regole di giudizio dalla stessa applicate, sia riferibile alla commissione del fatto reato ipotizzato. In tal senso, si è affermato che il requisito della motivazione del provvedimento cautelare, in base al quale il mandato d’arresto Europeo è stato emesso, cui è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna, non può essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio, ma è sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato ragione del provvedimento adottato il che può realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235349 . Individuato il parametro di giudizio, è necessario precisare che la T. è imputata in concorso con il marito, M.E. , nei cui confronti la Corte di appello di Bologna ha riconosciuto la sussistenza di plurimi indizi di colpevolezza, consistenti in intercettazioni telefoniche relative all’organizzazione dei trasporti di stupefacente, nei servizi di osservazione e pedinamento svolti a carico del M. in occasione dei numerosi viaggi da e verso il Belgio. Nell’ambito dell’intensa attività di traffico di stupefacenti posta in essere dal M. , la T. avrebbe fattivamente contribuito, partecipando a cinque viaggi dal Belgio verso l’Italia, peraltro compiuti in un ristretto arco temporale. Tale condotta è stata ritenuta - secondo una valutazione che soddisfa la verifica del quadro indiziario richiesta in questa fase - sintomatica della partecipazione al traffico di stupefacenti, in quanto la T. avrebbe accompagnato il marito al fine di rendere meno sospetto il viaggio di un uomo da solo, anziché in compagnia di una donna. Peraltro, la Corte di appello ha valorizzando anche la circostanza del rinvenimento presso l’abitazione della coppia - al momento dell’arresto in esecuzione del MAE - di 13 kg. di cocaina. Pur trattandosi di un dato ulteriore e diverso da quelli posti a fondamento del MAE richiesto dall’autorità giudiziaria belga, è ugualmente idoneo a delineare la complessiva attività illecita imputabile alla T. . In conclusione, quindi, deve ritenersi che alcuna ulteriore verifica avrebbe dovuto compiere la Corte di appello di Bologna, essendo ampiamente sufficiente la riscontrata sussistenza di concreti elementi di prova positivamente valorizzati dall’autorità belga. 4. Il terzo e quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto per entrambi assume rilievo dirimente la verifica delle condizioni di detenzione in relazione alla tutela dei diritti derivanti dal fatto che la T. è madre di tre minori, di età compresa tra i tre ed i dieci anni. Nel ricorso si contesta l’insufficienza delle informazioni rese dall’autorità belga alla Corte di appello, in quanto queste sarebbero del tutto generiche e non individualizzanti , soprattutto in considerazione del fatto che non viene in alcun modo preso in considerazione il ruolo di madre della ricorrente. Sul punto il ricorso è fondato, posto che la sentenza impugnata si limita a dar conto del fatto che la normativa belga consente una revisione periodica della misura cautelare adottata e che, astrattamente, è contemplata la possibilità di accedere a misure cautelari attenuate. 4.1. In linea generale, la L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. p , prevede un motivo di rifiuto obbligatorio della consegna nel caso in cui la persona richiesta sia madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente. Tale disposizione non è applicabile nel caso di specie, in quanto il figlio minore della T. risulta - per quanto indicato dalla stessa ricorrente - aver già compiuto tre anni. Esclusa la sussistenza del motivo di rifiuto della consegna, si pone l’esigenza di verificare se la normativa in tema di MAE consenta ugualmente di dar rilievo alle specifiche esigenze di tutela derivante dal ruolo di madre della persona richiesta. Il fatto che non operi il motivo di rifiuto della consegna, infatti, non esclude che l’esecuzione del MAE debba essere ugualmente subordinata alla verifica della sussistenza di adeguate garanzie che, nello Stato richiedente, il regime cautelare applicabile sia compatibile con la tutela della madre e dei minori. Si tratta di un’esigenza che è stata già riconosciuta in precedenti pronunce, sia pur con riguardo ad ipotesi estradizionali. Recentemente, infatti, questa Corte ha precisato che in tema di estradizione per l’estero, il divieto di consegna previsto per il mandato di arresto Europeo dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. p , come modificato dalla L. 4 ottobre 2019, n. 117, previsto nel caso di madre di prole di età inferiore ad anni tre, non si applica ai cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea, e tuttavia avendo riguardo tale disposizione ad un principio generale informato alla primaria esigenza di tutela dell’interesse dei minori - l’estradizione potrà essere disposta, ai sensi dell’art. 705 c.p.p., solo previa verifica che lo specifico trattamento penitenziario cui sarebbe sottoposta l’estradanda consenta la salvaguardia dell’integrità psicofisica del minore Sez. 6, n. 1677 dell’11/12/2019, dep. 2020, Kurti, Rv. 278216 . Anche in precedenti pronunce, peraltro, si era già sottolineato come l’accoglimento della domanda di estradizione nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni presuppone che il regime carcerario dello Stato richiedente presenti meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana nella materia Sez. 6, 46444 del 26/11/2009, P.G. in proc. Benevides, Rv. 245487 . Si tratta di un principio che merita di essere ulteriormente sviluppato. Qualora la legislazione dello Stato richiedente non contempli alcuna tutela del diritto dei figli a non essere privati del ruolo della madre, secondo modalità comparabili a quelle previste dall’ordinamento interno, si porrebbe il fondato dubbio dell’incompatibilità di tali previsioni con i principi - anche di rilievo costituzionale artt. 29, 30 e 31 Cost. - che nel nostro ordinamento salvaguardano l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia. Ove l’ordinamento estero non garantisca adeguatamente la posizione dei figli di madri detenute, infatti, andrebbe a ledere diritti che tutelano l’individuo e la famiglia, previsti sia dalla Costituzione che dalla CEDU, il che imporrebbe il rifiuto della consegna quanto meno ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 2. Al contempo, il disconoscimento di istituti a tutela delle detenute madri ben potrebbe dar luogo a vere e proprie forme di trattamenti inumani e degradanti, rendendo operante il motivo di rifiuto della consegna disciplinato dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h . In tale contesto, assume valore di parametro di riferimento il dettato dell’art. 275 c.p.p., comma 4, lì dove prevede il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di madre di prole di età non superiore a sei anni. Si tratta di una previsione avente valore generale, nella misura in cui individua i limiti entro i quali il diritto del minore deve prevalere rispetto alle esigenze di repressione dei reati. Quanto detto consente di affermare che il MAE emesso nei confronti di madre di prole di età compresa tra tre e sei anni, impone una approfondita verifica in ordine alle condizioni di detenzione, dovendosi accertare se il paese richiedente preveda meccanismi di tutela comunque funzionali a salvaguardare l’integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell’intera famiglia, secondo un modello analogo a quello stabilito dalla corrispondente normativa italiana in materia, in modo tale da escludere che l’applicazione della misura cautelare si risolva in un trattamento inumano o degradante per la madre, nella misura in cui viene privata del rapporto con i figli e del loro accudimento, nonché in una lesione del diritto dei figli a ricevere la necessaria assistenza materna e familiare costituzionalmente garantita. 4.2. Alla luce di tali considerazioni, quindi, può affermarsi che, nell’ambito della disciplina del MAE, la tutela della madre non può ritenersi circoscritta alla sola previsione del motivo obbligatorio di rifiuto alla consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. p , posto che, ove pure questo non risulti operante, occorrerà ugualmente verificare se l’ordinamento dello Stato richiedente riconosca, una volta disposta la consegna, adeguate condizioni di trattamento detentivo, tali da escludere che l’interessata possa esser sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione di madre. A tal fine si evidenzia come, nell’ordinamento interno, l’art. 275 c.p.p., comma 4, prevede il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, se non a fronte di esigenze cautelari eccezionali, nei confronti madre di prole di età non superiore a sei anni. L’ordinamento carcerario, inoltre, disciplina plurimi istituti a tutela della maternità, quali la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori. Orbene, pur non essendo richiesto che l’ordinamento dello Stato richiedente preveda le medesime tutele, è comunque necessario verificare se vi sia una normativa quanto meno equivalente a quella interna ed in concreto idonea a perseguire quella medesima finalità di salvaguardia dell’interesse del minore. 5. Sulla base delle considerazioni svolte, si ritiene che le informazioni valorizzate dalla Corte di appello siano del tutto generiche, in quanto non espressamente calibrate rispetto alla posizione della T. , non essendo noto il trattamento cautelare riservato alla predetta, con specifico riguardo alle necessarie esigenze di salvaguardia del diritto dei minori a mantenere il rapporto con la madre. In particolare, non è dato sapere se l’ordinamento belga preveda delle limitazioni alla sottoposizione a custodia cautelare nei confronti di madre di prole in tenera età, nè se il regime detentivo consente ed in che misura l’accudimento della prole e l’esercizio del diritto di visita. A fronte dell’assoluta carenza di informazioni specifiche contenute nella risposta fornita dall’autorità belga, la sentenza della Corte di appello presenta una motivazione carente sul punto, che impone l’annullamento con rinvio al fine di consentire l’acquisizione di informazioni complete e di procedere alla rinnovata valutazione in ordine alla compatibilità tra la tutela dei diritti della madre e dei minori e la disciplina belga. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.