Controllo giurisdizionale sul provvedimento di revoca dell’ammissione del detenuto al lavoro esterno

Il provvedimento del magistrato di sorveglianza che approvi la revoca dell’ammissione del detenuto al lavoro all’esterno può essere impugnato dal condannato.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21546/21, depositata il 1° giugno. Il Tribunale di sorveglianza di Brescia dichiarava inammissibile il reclamo avvero un provvedimento del magistrato di sorveglianza con cui veniva confermata la revoca dell’ammissione del condannato dall’ammissione al lavoro esterno . Il condannato ha proposto ricorso per cassazione ritenendo che il provvedimento reclamato rientrasse nella competenza del magistrato di sorveglianza. Il ricorso risulta fondato. Partendo dal presupposto per cui pur presentando il lavoro prestato dal detenuto, intramurario o esterno, una sua specificità, sia per i profili di accesso, sia per gli aspetti organizzativi e disciplinari, nè tale carattere, nè la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena o sia comunque sottoposto alle sue determinazioni , valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato Corte Cost. 158/2001 , la Corte ricorda che non può esservi dubbio che un controllo giurisdizionale effettivo , e regole processuali idonee, devono essere assicurati anche in relazione ai provvedimenti idonei ad incidere sul titolo, ovverosia sui provvedimenti che consentono o revocano l’ammissione al lavoro . La giurisprudenza di legittimità ha dunque riconosciuto l’impugnabilità del provvedimento del magistrato di sorveglianza che approvi la revoca dell’ammissione del detenuto al lavoro all’esterno, trattandosi di decisione potenzialmente lesiva di un diritto fondamentale del detenuto stesso Cass.Pen. n. 37368/18 . Per questi motivi, la Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 aprile – 1 giugno 2021, n. 21546 Presidente Di Tomassi – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Brescia dichiarava inammissibile il reclamo proposto da M.L. avverso l’anteriore provvedimento del locale Magistrato di sorveglianza, recante approvazione dell’intervenuta revoca dell’ammissione del condannato al lavoro esterno. Il Tribunale riteneva che il provvedimento reclamato investisse aspetti e modalità del trattamento di natura prettamente amministrativa, e comunque non riconducibili all’esercizio di un diritto soggettivo, come tali non giustiziabili. 2. Il condannato ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, sulla base di unico motivo. Con esso il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione. Il ricorrente evidenzia che, se il potere di iniziativa in materia di lavoro esterno, e la decisione se ammettervi, o meno, il singolo detenuto, sono affidati all’Autorità penitenziaria, le relative determinazioni - come quelle di segno contrario - sono soggette all’approvazione di un organo giudiziario, che la legge identifica nel magistrato di sorveglianza. Questi eserciterebbe, in materia, attribuzioni incidenti su una posizione di diritto soggettivo il diritto al lavoro, costituzionalmente tutelato , che non sarebbe ragionevole sottrarre a sindacato giurisdizionale ulteriore, secondo lo schema procedimentale istituito dall’art. 35-bis Ord. pen Il lavoro penitenziario, interno o esterno all’istituto, presenterebbe indubbie peculiarità, ma anche rispetto ad esso andrebbe riconosciuta la necessità di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, implicante il superamento dell’impostazione, datata e riduttiva, accolta nel provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Il lavoro costituisce diritto fondamentale della persona e tale esso deve ritenersi anche per il detenuto, per il quale costituisce altresì componente essenziale del trattamento rieducativo Corte Cost. n. 532 del 2002 Sez. 1, n. 20171 del 10/02/2009 Guttuso, Rv. 244066-01 . Pur presentando il lavoro prestato dal detenuto, intramurario o esterno, una sua specificità, sia per i profili di accesso, sia per gli aspetti organizzativi e disciplinari, nè tale carattere, nè la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena o sia comunque sottoposto alle sue determinazioni , valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato Corte Cost. n. 158 del 2001 . Sicché, come non v’è dubbio che il detenuto abbia diritto a far valere in giudizio le pretese nascenti dalla prestazione di attività lavorative , e cioè dal rapporto Corte Cost. n. 341 del 2006, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, lett. a, Ord. pen., perché dettava regole processuali inidonee, se riferite alle controversie di lavoro, ad assicurare un nucleo minimo di contraddittorio e di difesa, quale spetta a tutti i cittadini nei procedimenti giurisdizionali , così non può esservi dubbio che un controllo giurisdizionale effettivo, e regole processuali idonee, devono essere assicurati anche in relazione ai provvedimenti idonei ad incidere sul titolo, ovverosia sui provvedimenti che consentono o revocano l’ammissione al lavoro come ricorda Corte Cost., n. 526 del 2000, sarebbe . vano rinvenire nel sistema legislativo il riconoscimento dei diritti del detenuto, se non sussistessero forme di tutela giurisdizionale degli stessi, o queste non risultassero efficaci per mancanza dei presupposti necessari all’esercizio del controllo giurisdizionale , anche se da svolgere fuori dall’istituto di pena. 3. Sulla base di queste considerazioni, perfettamente attuali, questa Corte, superando il proprio precedente tralaticio orientamento, ha già ritenuto impugnabile il provvedimento del magistrato di sorveglianza, che approvi la revoca dell’ammissione del detenuto al lavoro all’esterno, trattandosi di una decisione idonea a pregiudicare un diritto fondamentale del detenuto stesso Sez. 1, n. 37368 del 10/07/2018, Brandoli, Rv. 273862-01 . Questa interpretazione, frutto di corretta lettura evolutiva del sistema, attenta all’affermazione dei valori costituzionali, deve essere convintamente ribadita in questa sede. Ad essa non vale opporre l’indubbia valenza trattamentale che l’ordinamento assegna al lavoro penitenziario, o la natura amministrativa, essa stessa innegabile, delle determinazioni assunte al riguardo dalla Direzione d’istituto. Vero è, al tempo stesso, che, nel momento in cui tali determinazioni incidano su posizioni di diritto soggettivo, costituzionalmente tutelate, esse non possono sfuggire a sindacato giurisdizionale. L’istituzione di un regime preventivo di controllo, in forma stabile, da parte del magistrato di sorveglianza, per quel che concerne una fase applicativa cruciale di tale opportunità trattamentale, quale l’ammissione a svolgere l’attività lavorativa fuori dell’istituto di pena, risponde del resto - a tale esigenza di tutela. 4. L’approvazione dell’ammissione al lavoro esterno, ad opera del Magistrato di sorveglianza prevista dall’art. 21, comma 4, Ord. pen. , così come l’analogo intervento autorizzatorio previsto per il caso della revoca già implicitamente derivabile dalla normativa primaria, e reso esplicito dall’art. 48, comma 15, del relativo nuovo regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. n. 230 del 2000 , rappresentano dunque, nella materia in esame, una modalità d’intervento, ancorché deformalizzato, la cui attivazione officiosa assicura un primo, ineludibile, momento di controllo giurisdizionale. Ciò posto, la pienezza di tutela giurisdizionale non può che essere assicurata, per il prosieguo, dal modello procedimentale appositamente delineato dal legislatore per l’impugnazione degli atti dell’Amministrazione penitenziaria, in tesi lesivi dei diritti delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale. È noto che l’art. 35-bis Ord. pen., introdotto nell’ordinamento con D.L. n. 146 del 2013, conv. dalla L. n. 10 del 2014, al fine precipuo di assicurare al detenuto rimedi giurisdizionali effettivi a tutela dei diritti garantiti dalla legge penitenziaria, prevede un sistema imperniato su una cognizione in doppio grado di merito. Il suo comma 4 stabilisce che, avverso la decisione giurisdizionale del magistrato di sorveglianza, sia dato reclamo, nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa, al tribunale di sorveglianza. La decisione di quest’ultimo è ulteriormente assoggetta a ricorso per cassazione, per violazione di legge art. 35-bis, cit., comma 4-bis . 5. Esistendo un paradigma normativo di riferimento, di applicazione tendenzialmente generale, ad esso deve farsi riferimento nella specie. Il provvedimento del magistrato di sorveglianza, che approvi la revoca dell’ammissione del detenuto al lavoro all’esterno, deve dunque ritenersi impugnabile mediante reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo lo schema procedimentale approntato dall’art. 35-bis Ord. pen 6. L’ordinanza impugnata, da tale principio discostatasi, deve essere conseguentemente annullata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza che l’ha adottata per il relativo giudizio sul merito del reclamo. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Brescia.