Compra una pistola tramite un conoscente: condannato per ricettazione

Fatale un controllo in strada effettuato dai carabinieri. Rinvenuta in un’automobile una pistola parabellum e numerose cartucce. La dinamica dell’acquisto inchioda il possessore dell’arma.

Pessima decisione, senza dubbio, quella di acquistare una pistola – poi risultata rubata a un maresciallo – da un conoscente che ha fatto da tramite col venditore rimasto nell’ombra. Legittimo, secondo i Giudici, parlare di ricettazione in piena regola. Respinta la tesi difensiva, mirata a vedere riconosciuto il mero incauto acquisto Corte di Cassazione, sentenza n. 21526/21, sez. I Penale, depositata il 1° giugno . Fatale un controllo in strada da parte dei carabinieri . Su una delle automobili fermate i militari rinvengono una pistola parabellum – risultata, poi, essere provento di furto ai danni di un maresciallo – e centoquattro cartucce . Il proprietario dell’arma e delle munizioni spiega di avere acquistato la pistola, al prezzo di 1.700 euro, da un suo amico – poi deceduto in un sinistro stradale – che non gliene aveva mai rivelato la effettiva provenienza e aggiunge di avere deciso dotarsi di un’arma – reperita presso una terza persona rispetto alla quale l’amico aveva fatto da intermediario, rifiutandosi, però, di fornire ulteriori particolari – nella prospettiva di commettere una rapina, precisando che tale insana determinazione era in lui maturata a causa di una deleteria congiuntura esistenziale . Ricostruito l’episodio, i giudici di merito ritengono colpevole l’uomo sia per detenzione e porto illegali della pistola e delle cartucce sia per ricettazione di un’arma provento di furto . In particolare, i giudici di secondo grado evidenziano l’indiscussa provenienza illecita della pistola e aggiungono che l’uomo in possesso dell’arma deve reputarsi responsabile anche del delitto di ricettazione, atteso che egli ha riferito e sostenuto di avere acquistato l’arma da un venditore non palesatosi e soprattutto tramite un intermediario che si era rifiutato di rivelargliene l’identità . Per i giudici tali sono sufficienti a farlo versare quanto meno in dolo eventuale circa la provenienza illecita dell’arma, che doveva essersi rappresentato, accettando il relativo rischio . Infruttuosa la decisione dell’uomo di proporre ricorso in Cassazione. Anche per i Giudici di terzo grado, difatti, è sacrosanto parlare di ricettazione . Condivise in pieno le valutazioni compiute in Appello, laddove innanzitutto si è ritenuto decisamente singolare che il possessore della pistola avesse indicato di avere ricevuto l’arma da un soggetto la cui condotta non sarebbe stata più suscettibile di verifica giudiziaria, essendo, dopo qualche settimana dalla consegna dell’arma medesima, deceduto in un sinistro stradale . Allo stesso tempo, l’uomo non ha mai spiegato, nella sua narrazione, perché, desiderando procurarsi un’arma, si fosse rivolto non a un’armeria o a un commerciante autorizzato ma a un privato cittadino , hanno annotato ancora i giudici di secondo grado. In sostanza, tale condotta non può che rilevare l’intento, sin dall’inizio, di rivolgersi al mercato illegale e clandestino delle armi , e tale considerazione deve essere ribadita anche alla luce della successiva condotta posta in essere dal conoscente che ha svolto il ruolo di intermediario e che gli aveva riferito di avere rinvenuto quanto richiestogli, rifiutandosi, però, espressamente, di rivelargli la provenienza dell’arma . Ciò che emerge, secondo i Giudici, è la prospettiva di autotutela dell’intermediario e del soggetto che aveva in concreto reperito la pistola, la cui provenienza non doveva essere resa nota . In questo quadro il fatto che l’alienante non intendesse rivelare la propria identità implicava necessariamente che l’ arma non dovesse essere denunciata , così come la circostanza della ricezione da parte del compratore dell’arma senza alcuna indicazione circa la provenienza dell’oggetto , e detta pregiudiziale esclusione della denuncia implicava di per sé un atteggiamento psicologico verso la cosa ricevuta che denotava la consapevolezza della sua natura illecita . In sosta, vi sono numerosi elementi a sostegno della consapevolezza dell’uomo sulla provenienza illecita dell’arma , non ultimo il fatto che la pistola recava, pienamente visibile, la dizione ‘9 parabellum’, che ne denunciava l’appartenenza a una categoria notoriamente sottratta per legge al commercio tra privati e alla relativa detenzione, riservandola alle forze armate e ai corpi armati dello Stato .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 marzo – 1 giugno 2021, n. 21526 Presidente Casa – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’11 marzo 2019, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale in sede del 6.11.2018, con la quale G.M. era stato ritenuto responsabile dei reati al medesimo ascritti al capo A della rubrica detenzione e porto illegali di una pistola calibro 9 parabellum e 104 cartucce calibro 9 Luger GFL 9 mm. , riqualificati i fatti contestati sotto il paradigma della L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7 con riguardo alla pistola, e sotto quello dell’art. 697 c.p., con riguardo alle munizioni, e al capo B dell’imputazione ricettazione della suddetta arma, provento di furto e, conseguentemente, era stato condannato, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa e alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Secondo i giudici di merito, il G. doveva ritenersi responsabile dei reati suddetti alla stregua delle risultanze processuali dalle quali era emerso che in data 11.5.2018, nel corso di un normale controllo, i Carabinieri avevano fermato un’autovettura, con a bordo l’imputato e un altro Soggetto a seguito della perquisizione effettuata, erano state rinvenute, all’interno dell’abitacolo, una pistola parabellum, risultata, poi, essere provento di furto ai danni del maresciallo N.G. , e 104 cartucce il G. aveva riconosciuto come propri sia l’arma che il munizionamento, affermando di avere acquistato la pistola di che trattasi al prezzo di Euro 1.700,00, nel precedente mese di febbraio, da un suo amico, tale Ge.Ma. successivamente deceduto il 4.3.2018, in un sinistro stradale , il quale non gli aveva mai rivelato la effettiva provenienza della stessa asseritamente reperita presso una terza persona rispetto alla quale lo stesso Ge. aveva fatto da intermediario, rifiutandosi, però, di fornire ulteriori particolari , nella prospettiva di commettere una rapina o altro simile delitto, precisando che tale insana determinazione era in lui maturata a causa di una deleteria congiuntura esistenziale. Sempre secondo i giudici di merito, stante l’indiscussa provenienza illecita della pistola, per quanto il G. avesse energicamente negato di esserne a conoscenza, costui doveva reputarsi responsabile anche del delitto di ricettazione, atteso che il predetto aveva riferito e sostenuto con altrettanta energia di avere acquistato l’arma da un venditore non palesatosi e soprattutto tramite un intermediario, che si era rifiutato di rivelargliene l’identità, circostanze queste tali da farlo versare quanto meno in dolo eventuale circa la provenienza illecita dell’arma stessa che di necessità doveva essersi rappresentato accettando il relativo rischio. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato Giovanni Rizzuti, formulando cinque distinti motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in relazione agli artt. 110 e 648 c.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello confermato l’affermazione di responsabilità di G.M. in ordine al reato ascritto al capo B della rubrica . Ha, in proposito, sostenuto che non sussisterebbe alcun elemento in grado di dimostrare che il G. abbia avuto la consapevolezza della provenienza delittuosa della pistola rinvenuta in suo possesso e, quindi, di ritenere integrato l’elemento soggettivo del reato di ricettazione che, infatti, l’imputato aveva, immediatamente, chiarito di avere acquistato l’arma da un suo amico, Ge.Ma. , al prezzo di Euro 1.700,00 e, come era risultato dalla relazione del tecnico balistico dei Carabinieri del R.I.S., la suddetta pistola non presentava segni o abrasioni della matricola che, pertanto, tali circostanze avrebbero dovuto condurre a escludere il dolo del reato di ricettazione. Non condivisibili sarebbero le argomentazioni dei giudici di merito circa la implausibilità delle giustificazioni offerte dall’imputato, in quanto del tutto congetturali e inconferenti rispetto all’atteggiamento psicologico che aveva accompagnato l’imputato al momento dell’acquisto dell’arma. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto laconica nella parte in cui aveva affermato che, nel caso di specie, non farebbe difetto l’estremo del profitto del delitto di ricettazione, evidenziando che l’acquisto dell’arma, contrariamente a quanto ritenuto, non avrebbe prodotto alcun vantaggio al G. , il quale, anzi, avrebbe diminuito il proprio patrimonio. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in relazione agli artt. 648 e 712 c.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte di appello ritenuto la condotta contestata al G. al capo B della rubrica sussumibile sotto la fattispecie di cui all’art. 712 c.p. . Proprio alla luce delle circostanze esposte nel primo motivo, la condotta posta in essere dall’imputato avrebbe dovuto essere sussunta sotto il paradigma del reato meno grave previsto e punito dall’art. 712 c.p. infatti, il criterio distintivo tra il reato di ricettazione e quello di incauto acquisto deve ricercarsi nell’elemento psicologico, che, nel primo, si concreta nella certezza, da parte dell’agente, della provenienza delittuosa della cosa acquistata o ricevuta, mentre nell’ipotesi contravvenzionale è costituito dal colposo mancato accertamento di detta provenienza. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Ha, in proposito, evidenziato che, al fine della concessione delle attenuanti in parola, i giudici di merito avrebbero dovuto valorizzare la condotta collaborativa dell’imputato, la sua giovane età, una serie di accadimenti licenziamento, separazione dai genitori, interruzione della relazione con la fidanzata , incidenti sulla instabilità e fragilità emotiva dello stesso, nonché la sua incensuratezza e ha censurato la motivazione dell’impugnata sentenza sia nella parte in cui ha richiamato, al fine di escludere la concedibilità in favore dell’imputato delle suddette attenuanti, la gravità dei fatti, sia nella parte in cui, sempre al medesimo fine, in modo del tutto congetturale, ha fatto riferimento alla preparazione di un crimine sanguinoso, anziché a una semplice rapina , ovvero ritenuto che il pagamento dell’indicata somma di denaro per l’acquisto dell’arma fosse inconciliabile con le ristrettezze economiche dell’imputato e, ancora, delineato uno scenario veramente inquientante sulle originarie intenzioni del G. , desumendolo dalla concomitanza temporale tra l’inizio della ricerca per il reperimento di una pistola e la lite con la fidanzata, esitata nella rottura del fidanzamento . 2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha denunciato violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., contestando l’eccessiva quantificazione della pena base inflitta all’imputato e l’altrettanto eccessivo aumento disposto per la ritenuta continuazione. 2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e , in relazione agli artt. 81 cpv, 132 e 133 c.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al mantenimento della misura della pena irrogata . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate. Quanto al primo motivo di ricorso, giova osservare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato può trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede in tal senso, la consapevolezza della provenienza illecita può desumersi anche dalla qualità delle cose, nonché dagli altri elementi considerati dall’art. 712 in tema di incauto acquisto, purché i sospetti sulla res siano così gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre Cass. Sez. 4 n. 4170 del 12/12/2006, Rv. 235897 . Orbene, l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione del superiore principio di diritto offrendo ampia motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza, in capo al G. , dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione. La Corte territoriale, infatti, ha, innanzitutto, osservato che appariva decisamente singolare che il G. avesse indicato di avere ricevuto l’arma da un soggetto, la cui condotta non sarebbe stata più suscettibile di verifica giudiziaria, essendo, dopo qualche settimana dalla consegna dell’arma medesima, deceduto in un sinistro stradale ha, quindi, sottolineato che il predetto non aveva mai spiegato, nella sua narrazione, perché, desiderando procurarsi un’arma, si fosse rivolto non a un’armeria o a un commerciante autorizzato ma a un privato cittadino, il quale, interpellato, inizialmente nel dicembre del 2017, gli avrebbe laconicamente risposto che gli avrebbe fatto sapere, riservandosi una risposta pervenuta solo due mesi dopo. Simile condotta, a giudizio della Corte, non poteva che rilevare l’intento, sin dall’inizio, del prevenuto, di rivolgersi al mercato illegale e clandestino delle armi e tale considerazione doveva essere ribadita anche alla luce della successiva condotta posta in essere dal Ge. , il quale, dopo qualche mese, contattato il G. , gli aveva riferito di avere rinvenuto quanto richiestogli rifiutandosi, però, espressamente, di rivelargli la provenienza dell’arma. Tale atteggiamento, sempre a giudizio della Corte territoriale, non si sarebbe potuto spiegare diversamente se non nella prospettiva di autotutela del Ge. e del soggetto, che aveva in concreto reperito la piStola, la cui provenienza non doveva essere resa nota prospettiva nella quale si collocava anche la pretesa del Ge. di venire pagato in contanti. La sentenza ha aggiunto che il fatto stesso che l’alienante non intendesse rivelare la propria identità implicava necessariamente che l’arma non dovesse essere denunciata così come la circostanza della ricezione da parte del G. dell’arma senza alcuna indicazione circa la provenienza della stessa e detta pregiudiziale esclusione della denuncia implicava di per sé un atteggiamento psicologico verso la cosa ricevuta che denotava la consapevolezza della sua natura illecita e ha osservato che seri elementi a sostegno della consapevolezza dell’imputato della provenienza illecita dell’arma potevano trarsi anche dal fatto che detta pistola recava, pienamente visibile, la dizione 9 parabellum, che ne denunciava l’appartenenza a una categoria notoriamente sottratta per legge al commercio tra privati e alla relativa detenzione, riservandola alle Forze Armate e ai Corpi Armati dello Stato. 2. Ciò posto, rileva il Collegio che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il difetto di motivazione valutabile in cassazione può consistere solo in una mancanza o in uno dei difetti enunciati dall’art. 606 c.p.p., lett. e e perciò non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il provvedimento. Nel caso di specie, le argomentazioni in precedenza riportate con le quali la Corte di appello di Palermo ha ritenuto integrato il dolo del delitto di ricettazione non possono dirsi manifestamente illogiche, nè contraddittorie, nè parziali nè, infine, in contrasto con i dati acquisiti esse resistono alle censure difensive che, in buona sostanza, finiscono con l’essere doglianze di puro merito. Per altro verso, dette censure ripropongono profili già valutati e disattesi dalla Corte territoriale con corretti argomenti logici e giuridici. Quanto all’ultimo profilo di censura contenuto nel primo motivo di ricorso, lo stesso è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello di Palermo ravvisato, nel caso di specie, l’estremo del profitto, desumendolo dall’avere il G. ricevuto una cosa che, per quanto oggetto di mercimonio clandestino e illegale, ha pur sempre un suo valore di mercato il G. aveva, cioè, incrementato il proprio patrimonio di un bene che non avrebbe potuto acquistare sul mercato legale. Tale valutazione è esente da vizi di sorta e resiste alle osservazioni difensive essa si fonda, inoltre, sull’esame del movente, cioè della causa psichica della condotta che aveva indotto il G. ad agire, così come accertata dai giudici di merito alla stregua delle stesse ammissioni dell’imputato, il quale aveva riferito di essersi determinato ad acquistare l’arma nella prospettiva di commettere una rapina o altro simile delitto. 3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha censurato la sentenza della Corte di appello di Palermo per non avere qualificato la fattispecie concreta ai sensi dell’art. 712 c.p I giudici di appello, in conformità a quelli di primo grado, ricostruita la vicenda criminosa nei termini sopra evidenziati e ritenuto che il G. , per le ragioni adeguatamente e congruamente esposte in precedenza, fosse consapevole della provenienza illecita dell’arma, hanno correttamente sussunto il fatto sotto il paradigma della ricettazione e, quindi, escluso .che lo stesso potesse essere qualificato quale incauto acquisto. 4. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, occorre osservare che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in esame quello tra gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio e anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse Cass. Sez. sez. 2, 18 gennaio 2011, n. 3609, RV 249163 conformi Cass. Sez. 2, 16 gennaio 1996, n. 4790, RV 204768 Cass. Sez. 2, 27 febbraio 1997, n. 2889, RV 207560 . Nel caso di specie, la Corte di appello di Palermo ha escluso la concedibilità all’imputato delle invocate circostanze attenuanti generiche, con ampia e congrua motivazione, nella quale ha fatto riferimento - alla gravità dei fatti accertati la detenzione della pistola e delle munizioni si era protratta, per le stesse dichiarazioni del prevenuto, per mesi il porto della pistola si era consumato in ora notturna la ricettazione di un’arma, rispetto alla vasta congerie delle cose che possono formare oggetto del reato in questione, possedeva già da sola un peso specifico considerevole, aggravato, nella specie, in modo notevole dalla natura della pistola appartenente a una forza di Polizia - alle particolari circostanze di rinvenimento della pistola l’arma era stata, in precedenza, accuratamente conservata in vista di un impiego appropriato nell’abitacolo dell’autovettura, oltre alla pistola e alle munizioni, erano stati trovati indumenti adatti al travisamento sulla persona dell’imputato, inoltre, erano state rinvenute delle fascette di plastica, utilizzabili in guisa di manette che rimandavano all’esternato motivo a delinquere dell’imputato, cioè quello di commettere una rapina o altro reato con l’uso delle armi. Ha, inoltre, adeguatamente valutato le circostanze addotte dalla difesa al fine di ottenere l’invocato beneficio riproposte anche nell’atto di ricorso e le ha ritenute, con argomentare logico, inidonee a depotenziare il contrario giudizio già espresso dai giudici di primo grado. In particolare, ha sottolineato che le dichiarazioni rese dal G. che, secondo la difesa aveva chiarito le ragioni che lo avevano indotto ad acquistare l’arma erano risultate ancora più inverosimili e intessute di mendacio rispetto a quelle sulla dinamica dell’acquisto della stessa cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata , con particolare riguardo alle allegate circostanze relative alla perdita del lavoro, alle conseguenti ristrettezze economiche, alla crisi familiare che il rilevato quadro negativo era da ritenersi prevalente su qualsiasi considerazione legata alla incensuratezza dell’imputato e alla sua giovane età. Tale ampia valutazione, conforme ai principi di diritto in precedenza ricordati, resiste alle doglianze difensive che, in buona sostanza, finiscono con il richiedere una indebita rilettura delle risultanze processuali, riproponendo a questa Corte, ancora una volta, profili già adeguatamente disattesi dai giudici della corte di appello di Palermo. 5. Inammissibili sono il quarto e il quinto motivo di ricorso, entrambi relativi al trattamento sanzionatorio, sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive. Con specifico riguardo alla determinazione della pena base, giova rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 c.p. siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali nella specie, il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato Sez. 6, sentenza n. 2925 del 18/11/1999, Rv.217333 Sez. 4, sentenza n. 27959 del 18/06/2013, Rv. 258356 . Ebbene, nel caso di specie, la volontà dei giudici di merito di discostarsi dal minimo edittale nella determinazione della pena base inflitta al G. è stata giustificata alla stregua del rilievo che lo stesso imputato aveva ammesso di avere avuto l’intenzione di commettere altri reati con l’arma detenuta, nonché dei significativi aspetti di intrinseca gravità del fatto già evidenziati per escludere la meritevolezza dello stesso della concessione delle circostanze attenuanti generiche è stato, altresì, osservato che la pena per il delitto più grave di cui al capo A , individuata nella misura media tra gli opposti edittali, doveva ritenersi congrua al caso concreto così come accertato. Quanto alle censure relative all’eccessivo aumento disposto ex art. 81 c.p., giova osservare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione allorché, come nel caso di specie, ha richiamato i criteri tutti di cui all’art. 133 c.p., nonché evidenziato che i singoli aumenti di pena erano stati determinati dal primo giudice al di sotto della madia praticabile . 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - non escludendosi profili di colpa nella proposizione della impugnazione cfr. Corte Cost. sent. n. 186 del 2000 - al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina nella misura congrua ed equa di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.