Sommossa in carcere contro il COVID: senza rapporto disciplinare però non si possono negare i domiciliari

Nuove speranze per un detenuto che si è visto negare la possibilità di scontare la pena a domicilio. Insufficienti, secondo i giudici, gli indizi relativi alla sua partecipazione ad una sommossa in carcere, sommossa mirata ad ottenere provvedimenti connessi alla pandemia. Rilevante, invece, la mancanza del rapporto disciplinare.

Sommossa in carcere ai primi di marzo del 2020, con l’Italia in pieno isolamento i detenuti protestano e chiedono misure che in via eccezionale, vista la possibile diffusione del coronavirus anche tra le mura delle strutture penitenziarie, consentano loro di poter tornare a casa. A uno dei detenuti coinvolti viene revocata, proprio per la sua partecipazione alla sommossa, la misura della esecuzione della pena presso il domicilio. Questa sanzione viene però messa in discussione dai giudici di terzo grado, poiché è mancata sino ad ora la prova di un rapporto disciplinare a carico del detenuto Cassazione, sentenza n. 21134/21, sez. I Penale, depositata il 28 maggio . All’origine della vicenda c’è una comunicazione della direzione della casa circondariale, comunicazione con cui il magistrato viene informato che sussistono molteplici elementi per ritenere che il detenuto ha partecipato ai disordini dell’8 marzo 2020 con un ruolo non secondario , anche se, viene precisato, non è stato ancora elevato formale rapporto disciplinare . Quest’ultima lacuna è però ritenuta irrilevante non solo dal magistrato di sorveglianza ma anche dal tribunale di sorveglianza. In sostanza, la mancata redazione del rapporto disciplinare è giustificata , secondo i giudici, dalla necessità dello svolgimento di complesse indagini , in presenza di gravi indizi di partecipazione del detenuto alle sommosse attuate presso la casa circondariale . Consequenziale la decisione con cui il tribunale di sorveglianza ratifica il provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, ossia la revoca della misura della esecuzione della pena presso il domicilio applicata nei confronti del detenuto. Col ricorso in Cassazione, però, il legale del detenuto evidenzia che la norma – l’art. 123 d.l. n. 18/2020, per la precisione – prevede che la causa ostativa all’applicazione della pena presso il domicilio non è la partecipazione ai disordini e alle sommosse, ma la redazione di un rapporto disciplinare a causa di quel coinvolgimento , mentre, osserva, in questo caso quel rapporto non è stato ancora redatto e la nota della direzione della casa circondariale di Modena è stata del tutto generica in ordine alla partecipazione del detenuto alla sommossa . Prima di esaminare la vicenda, comunque, i magistrati di terzo grado ritengono necessario tracciare un quadro più ampio, osservando innanzitutto che l’art. 123 d.l. n. 18/2020 stabilisce che l’esecuzione della pena presso il domicilio del condannato non possa essere disposta per i detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’articolo 81, comma 1, d.P.R. 230 del 2020, in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020 e aggiungendo che a ben vedere, si tratta dell’unica ipotesi, tra quelle preclusive all’applicazione della misura, rimessa ad una condotta dell’amministrazione penitenziaria . Evidente la ratio della norma le sommosse erano state promosse al fine di ottenere dal legislatore una qualche forma di provvedimento di clemenza o che permettesse la scarcerazione dei detenuti, approfittando della pandemia e il legislatore prima il Governo, poi il Parlamento che, nel convertire il d.l. n. 18/2020 con la legge 27 del 2020, ha sostanzialmente confermato la norma ha ritenuto che, in effetti, era necessario provvedere alla scarcerazione di numerosi soggetti al fine di impedire il propagarsi del virus Covid 19 negli istituti penitenziari, ma affermando il principio che nessuna azione violenta commessa al loro interno potesse portare a risultati favorevoli per chi le aveva poste in essere . Logico il richiamo al principio che impedisce ai detenuti di ricattare Governo e Parlamento con la minaccia implicita di ulteriori azioni violente . In sostanza, la norma attribuisce un potere indiscutibile all’amministrazione penitenziaria quello di impedire la scarcerazione di un detenuto con la concessione della detenzione presso il domicilio, pur in mancanza di una prova definitiva della sua partecipazione alle sommosse. In effetti, la norma non richiede né l’inflizione di una sanzione disciplinare né, tanto meno, la decisione del magistrato di sorveglianza sul reclamo avverso tale sanzione l’urgenza di provvedere, al fine di ottenere una riduzione dell’affollamento degli istituti penitenziari, non consentiva di attendere il tempo necessario per tali decisioni . Tuttavia, la norma prevede che, quanto meno, sia redatto un rapporto disciplinare e, chiariscono i giudici della Cassazione, non si tratta di un requisito soltanto formale , anche perché il rapporto richiede l’individuazione dell’operatore penitenziario che lo redige e pretende che in esso siano indicate tutte le circostanze del fatto . Ciò significa che la mancanza di un rapporto disciplinare sottopone il detenuto all’arbitrio della direzione della casa circondariale, la cui segnalazione è sfornita di notizie precise relative agli operatori penitenziari che avevano accertato la partecipazione alla sommossa e alle condotte specificamente addebitate al detenuto che si vede preclusa ogni possibilità di difendersi . Tirando le somme, si deve ritenere che, pur adottando un provvedimento avente natura urgente, il legislatore abbia preteso, per negare l’accesso alla misura alternativa, un requisito minimo che responsabilizzi l’amministrazione penitenziaria, tenuto presente che il rapporto disciplinare comporta un controllo successivo delle valutazioni effettuate , concludono i magistrati. Di conseguenza, la palla passa di nuovo al Tribunale di sorveglianza, che dovrà decidere sulla possibile esecuzione della pena presso il domicilio del detenuto , tenendo presenti le osservazioni proposte dalla Cassazione e applicando il principio secondo cui la mancanza di un rapporto disciplinare non permette di applicare la causa preclusiva prevista dall’articolo 123 del decreto legge numero 18 del 2020 .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 aprile – 28 maggio 2021, n. 21134 Presidente Iasillo – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Ancona ratificava il provvedimento con cui il Magistrato di Sorveglianza di Macerata aveva revocato la misura della esecuzione della pena presso il domicilio applicata nei confronti di T.N. con ordinanza del 3/4/2020. La misura revocata non era stata ancora eseguita per mancanza dei mezzi di controllo la Direzione della Casa Circondariale di Modena aveva informato il Magistrato che sussistevano molteplici elementi per ritenere che T. avesse partecipato ai disordini dell’8 marzo 2020 con un ruolo non secondario, pur precisando che non era stato ancora elevato formale rapporto disciplinare. Il Tribunale condivideva con il Magistrato la valutazione di irrilevanza della mancata redazione del rapporto disciplinare, giustificata dalla necessità di svolgimento di complesse indagini, in presenza di gravi indizi di partecipazione di T. alle sommosse attuate presso la Casa Circondariale di Modena. 2. Ricorre per cassazione il difensore di T.N. , deducendo mancanza ed apparenza della motivazione. Dagli atti emergeva che il Magistrato di Sorveglianza aveva chiesto alla Direzione della casa Circondariale di Modena di specificare quali fossero i gravi indizi di partecipazione di T. alle sommosse, senza ricevere risposta. Tuttavia, la decisione era stata adottata. Da parte sua, il Tribunale di,Sorveglianza non aveva valutato, e nemmeno menzionato, la memoria difensiva depositata il 9/3/2020, limitandosi a riprodurre la motivazione del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza. In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione del D.L. n. 18 del 2020, art. 123. La norma prevede che la causa ostativa all’applicazione della pena presso il domicilio non è la partecipazione ai disordini e alle sommosse, ma la redazione di un rapporto disciplinare a causa di quel coinvolgimento. Nel caso di specie, quel rapporto non era stato ancora redatto. Non solo la nota della Direzione della Casa Circondariale di Modena era del tutto generica in ordine alla partecipazione di T. alla sommossa, tanto da ritenere che la stessa emergesse solo da voci e non da prove o indizi. Il detenuto non era in grado di difendersi non conoscendo nemmeno i motivi per cui veniva ritenuto responsabile della partecipazione alla sommossa e, di fatto, allo stesso veniva negata la misura della detenzione presso il domicilio. 3. Il Procuratore generale Giuseppe Locatelli, nella requisitoria scritta, conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Il D.L. n. 18 del 2020, art. 123 stabilisce che l’esecuzione della pena presso il domicilio del condannato non possa essere disposta per i detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare ai sensi del D.P.R. n. 230 del 2020, art. 81, comma 1, in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020. A ben vedere, si tratta dell’unica ipotesi, tra quelle preclusive all’applicazione della misura, rimessa ad una condotta dell’Amministrazione penitenziaria. La ratio della norma è evidente quelle sommosse erano state promosse al fine di ottenere dal legislatore una qualche forma di provvedimento clemenziale o che permettesse la scarcerazione dei detenuti, approfittando della pandemia il legislatore prima il Governo, poi il Parlamento che, nel convertire il D.L. n. 18 del 2020 con la L. 27 del 2020, ha sostanzialmente confermato la norma ha ritenuto che, in effetti, era necessario provvedere alla scarcerazione di numerosi soggetti al fine di impedire il propagarsi del virus Covid 19 negli istituti penitenziari, ma affermando il principio che nessuna azione violenta commessa al loro interno potesse portare a risultati favorevoli per chi le aveva poste in essere un principio che impedisce ai detenuti di ricattare Governo e Parlamento con la minaccia implicita di ulteriori azioni violente. La norma, quindi, attribuisce un potere indiscutibile all’Amministrazione penitenziaria quello di impedire la scarcerazione di un detenuto con la concessione della detenzione presso il domicilio pur in mancanza di una prova definitiva della sua partecipazione alle sommosse in effetti, la norma non richiede nè l’inflizione di una sanzione disciplinare nè, tanto meno, la decisione del magistrato di sorveglianza sul reclamo avverso tale sanzione l’urgenza di provvedere, al fine di ottenere una riduzione dell’affollamento degli istituti penitenziari, non consentiva di attendere il tempo necessario per tali decisioni. Tuttavia, la norma prevede che, quanto meno, sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’art. 81, comma 1 del Regolamento. Non si tratta di un requisito soltanto formale, come sembrano ritenere il Magistrato di Sorveglianza e il Tribunale di Sorveglianza il rapporto richiede l’individuazione dell’operatore penitenziario che lo redige e pretende che in esso siano indicate tutte le circostanze del fatto . La mancanza di un rapporto disciplinare, quindi, sottopone il detenuto all’arbitrio della Direzione della Casa Circondariale, la cui segnalazione è sfornita di notizie precise relative agli operatori penitenziari che avevano accertato la partecipazione alla sommossa e alle condotte specificamente addebitate allo stesso ogni possibilità di difendersi è, di conseguenza, preclusa. In definitiva, si deve ritenere che, pur adottando un provvedimento avente natura urgente, il legislatore abbia preteso, per negare l’accesso alla misura alternativa, un requisito minimo che responsabilizzi l’Amministrazione penitenziaria, tenuto presente che il rapporto disciplinare comporta un controllo successivo delle valutazioni effettuate. L’ordinanza impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio il Tribunale di Sorveglianza - tenendo conto dell’eventuale sopravvenienza di ulteriori elementi e della posizione complessiva del detenuto - deciderà sull’istanza di esecuzione della pena presso il domicilio applicando il principio che la mancanza di un rapporto disciplinare non permette di applicare la causa preclusiva prevista dall’art. 123 cit P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Ancona.