Bancarotta fraudolenta e distrazione dei beni sociali: anche il bilancio è utile ai fini della ricostruzione del patrimonio

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche il bilancio può costituire documento utile ai fini della ricostruzione del patrimonio sociale, purchè redatto in conformità alle prescrizioni imposte dalla legge e sia, dunque, assistito dal crisma dell’attendibilità.

È quanto stabilito dal Supremo Collegio con sentenza n. 20879/21, depositata il 26 maggio. La Corte d’appello di Roma riformava, limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie, la pronuncia del Tribunale con la quale è stata affermata la responsabilità di un imputato per il reato di bancarotta fraudolenta , patrimoniale e documentale , nella qualità di amministratore unico di una s.r.l L’accusato ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione di legge e il vizio della motivazione inerente la dimostrazione dell’esistenza dei beni di cui si assume la distrazione poiché la Corte territoriale avrebbe respinto le relative censure, conferendo rilievo al bilancio dell’anno 2010 e svalutando l’incongruenza del prezzo d’acquisto delle quote sociali, sopravvenuto l’anno successivo, rispetto ai cespiti. Il ricorso è fondato in quanto la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, sia desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione Cass. n. 17228/2020 e che il principio che fonda la prova della distrazione di beni sociali sulla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, debba valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento è riscontrato che fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilità della medesima sulla scorta degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in esercizi, anche distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all’obbligo di tenuta dei libri contabili, in modo integrale o comunque, attraverso la gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari Cass. n. 6548/2018 . È stato precisato inoltre che l’accertamento della precedente disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non possa fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili prevista dall’art. 2710 c.c. dovendo, invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate – anche nel silenzio del fallito - nella loro intrinseca affidabilità. Sicchè il giudice dovrà congruamente motivare ove l’attendibilità delle scritture non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo Cass. n. 55805/2018 . Ne consegue la seguente affermazione da parte della Suprema Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale , anche il bilancio può costituire documento utile ai fini della ricostruzione del patrimonio sociale, purchè redatto in conformità alle prescrizioni imposte dalla legge e sia, dunque, assistito dal crisma dell’attendibilità . Nel caso di specie il ricorrente sottolinea come la Corte territoriale abbia erroneamente risolto la prova della sottrazione dei beni postulandone l’esistenza alla stregua di una mera posta del bilancio 2010, antecedente all’epoca d’acquisto delle quote sociali da parte dello stesso. Per questi motivi la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 aprile – 26 maggio 2021, n. 20879 Presidente Sabeone – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, emessa il 28 marzo 2019, la Corte d’appello di Roma ha riformato, limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., la decisione del Tribunale in sede in data 12 gennaio 2018, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di Mario M. per il reato di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, nella qualità di amministratore unico di s.r.l., dichiarata fallita il 15 febbraio 2013. 2. Avverso la indicata sentenza della Corte d’appello di Roma ha proposto ricorso l’imputato per mezzo del difensore, avv. Antonio Guariglia, articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento alla dimostrazione dell’esistenza dei beni di cui si assume la distrazione per avere la Corte territoriale respinto le relative censure conferendo rilievo al bilancio dell’anno 2010 e svalutando, del tutto illogicamente, la segnalata incongruenza del prezzo d’acquisto delle quote sociali, sopravvenuto nel 2011, rispetto alle appostazioni relative ai cespiti, in tal modo formulando il giudizio di colpevolezza in via meramente congetturale. 2.2. Con il secondo motivo, denuncia violazione di legge quanto all’elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale sub b , avendo sul punto la Corte d’appello ritenuto sussistente il dolo specifico pur in assenza della dimostrazione di una volontà dissimulatoria della distrazione, rimasta indimostrata, e senza specificare adeguatamente l’esclusione della meno grave fattispecie di cui alla L. Fall., art. 217. 3. Con requisitoria scritta D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione ha concluso per l’annullamento con rinvio. 4. La difesa del ricorrente ha trasmesso conclusioni con le quali insiste per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. Colgono nel segno le - assorbenti - censure svolte nel primo motivo di ricorso. 1.1. Il tema che il ricorso impone, essenzialmente, di affrontare investe il se - ed in quale misura - l’esistenza di beni sociali, non rinvenuti dalla curatela, possa ritenersi comprovata attraverso le scritture contabili ed i documenti sociali e come si declini, in tal caso, l’onere di dimostrazione dell’imprenditore fallito. 1.1.1. In materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato ed unanimemente seguito, come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società, dichiarata fallita, sia desumibile dalla mancata dimostrazione, ‘da parte dell’amministratore, della loro destinazione ex multis Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 . L’imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell’amministratore si giustifica a tutela del ceto creditorio perché è l’amministratore responsabile della gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso può chiarire, proprio in quanto artefice della gestione, quale destinazione effettiva abbiano avuto i beni sociali. 1.1. 2. Siffatto onere dimostrativo presuppone, invero, la prova dell’esistenza dei beni non rinvenuti dagli organi della curatela. Sul punto, si è affermato come siffatta esistenza e consistenza possa essere desunta, in via indiretta, anche dagli ultimi documenti attendibili, pur risalenti nel tempo, redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018 - dep. 2019, Villa, Rv. 275499 . Si è, a tal proposito, osservato come il principio, che fonda la prova della distrazione di beni sociali sulla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, debba valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento è riscontrato che fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilità della medesima sulla scorta degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in esercizi, anche distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all’obbligo di tenuta dei libri contabili, in modo integrale o, comunque, attraverso la gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Ciò in quanto la mancata o irregolare tenuta della contabilità, in totale spregio degli obblighi di legge, non può certo costituire una circostanza da cui gli amministratori inadempienti possano trarre vantaggio, dovendo gli stessi comunque giustificare quale destinazione abbiano avuto i beni sociali - la cui esistenza risulti dagli ultimi documenti contabili redatti dalla società in modo attendibile - non rinvenuti dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento. 1.1.3. Siffatti principi sono stati ulteriormente specificati, nella prospettiva di scongiurare inammissibili automatismi ed equazioni dimostrative. Si è, a tal fine, precisato come l’accertamento della precedente disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non possa fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili prevista dall’art. 2710 c.c., dovendo, invece, le risultanze desumibili da questi atti essere valutate - anche nel silenzio del fallito - nella loro intrinseca affidabilità, sicché il giudice dovrà congruamente motivare ove l’attendibilità delle scritture non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo Sez. 5, n. 55805 del 03/10/2018, BE.MA. Costruzioni s.r.l., Rv. 274621 e siffatta valutazione d’attendibilità - prodromica e necessaria alla previa dimostrazione dell’esistenza di beni non rinvenuti dopo il fallimento - non può che investire anche il bilancio che, seppure non riconducibile nel novero delle scritture contabili tanto da non rilevare ai fini della bancarotta documentale Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925 , rappresenta, purtuttavia, un documento sociale, finalizzato alla comunicazione ai terzi degli esiti dell’attività Sez. 5, n. 49507 del 19/07/2017, Cereseto, Rv. 271439 . Occorre, infatti, sottolineare come - ai sensi dell’art. 2423 c.c., comma 2, - il bilancio debba essere redatto secondo i principi di chiarezza e verità standard c.d. I.A.S. , sì da rappresentare in modo trasparente e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio ai sensi dell’art. 2423 bis c.c., n. 1, inoltre, la valutazione delle voci deve essere formulata secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo preso in considerazione l’art. 2426, n. 9 , c.c. quanto alle rimanenze, prescrive che le stesse debbano essere iscritte al costo di acquisto o produzione o al valore di realizzazione secondo l’andamento del mercato, se minore. Va, pertanto, qui affermato come, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche il bilancio può costituire documento utile ai fini della ricostruzione del patrimonio sociale, purché redatto in conformità alle prescrizioni imposte dalla legge e sia, dunque, assistito dal crisma dell’attendibilità. 1.2. Nel quadro così delineato, pienamente condivisibile s’appalesa la censura sollevata dal ricorrente, che contesta alla Corte territoriale di aver sostanzialmente risolto la prova della sottrazione dei beni postulandone l’esistenza alla stregua di una mera posta del bilancio 2010, antecedente all’epoca di acquisto delle quote sociali da parte dell’imputato. Del resto, dal testo della sentenza impugnata non risultano valorizzati elementi a supporto della fisica sottrazione di beni, basandosi invece l’affermazione di responsabilità su di un mero dato contabile, non sottoposto alla prova di resistenza delle deduzioni critiche dell’appellante, che non aveva mancato di segnalare - in punto di censura all’attendibilità del procedimento inferenziale - l’incongruità del prezzo della cessione delle quote sociali rispetto al patrimonio esposto in bilancio dal precedente amministratore. Del tutto non pertinente s’appalesa, pertanto, il richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, supra richiamata al § 1.1.1. siffatto orientamento, infatti, presuppone il dato fisico della mancanza dei beni di cui sia certa la previa esistenza, senza la quale nemmeno può prospettarsi la loro distrazione che implica la trasmissione indebita a terzi , ovvero il loro occultamento, o la conservazione aliunde del possesso, in modo segreto e clandestino. Ne consegue che la motivazione rassegnata sul capo relativo alla condotta distrattiva si rivela del tutto assertiva, siccome esclusivamente fondata su dati, spiegazioni e prospettazioni contabili contenuta in un bilancio, redatto dal precedente amministratore nè risultano valorizzati elementi di collegamento con la pregressa gestione tali da cogliere profili strumentali in un’operazione contabile di appostazione effettuata un anno prima della cessione delle quote, tre anni prima del fallimento e cinque anni prima della formulazione dell’accusa, senza neppure indagare le condizioni economico-finanziarie della società all’epoca della redazione del bilancio tema, quest’ultimo, del tutto trascurato e invece rilevante non tanto e non solo ai fini del pericolo concreto di pregiudizio alle ragioni dei creditori, quanto, piuttosto e soprattutto, nella prospettiva della strumentalità della successiva condotta dell’imputato, apoditticamente ravvisata. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale e vizio logico della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo specifico della correlata bancarotta documentale. La sentenza impugnata ravvisa il dolo come intrinseco alla scelta deliberata e consapevole di occultare i beni, ma risente chiaramente dell’errore di fondo che l’aveva portata a risolvere il tema di prova della distrazione in una mera comunicazione sociale. Il dolo specifico richiesto per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsifica.zione di libri e scritture contabili previste dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 - dep. 2015, Caprara, Rv. 263242 , deve essere, invero, valutato in relazione al concreto contesto, sì da ravvisare lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. 3. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma perché, in piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione degli enunciati principi, proceda a nuovo esame. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.