Proroga del carcere duro: la Cassazione ribadisce la natura del controllo del Tribunale di Sorveglianza

La Suprema Corte torna ad occuparsi di un tema oggetto di accese diatribe tra interpreti e, non di meno, costanti polemiche mediatiche. Più in dettaglio, stabilisce le caratteristiche della verifica operabile, in sede di sorveglianza, dinanzi a proroghe del regime differenziato di espiazione della pena, per evitare che possa indebitamente consolidarsi, comprimendo libertà costituzionalmente tutelate.

Lo fa, dopo un’articolata ricognizione delle coordinate utili a leggere un campo magmatico, nel quale i successivi interventi, legislativi e pretori, hanno tentato di bilanciare le contrapposte esigenze di implementare strumenti che impediscano la prosecuzione dell’attività criminale a chi si trovi recluso per reati cc.dd. di criminalità organizzata di assicurare che ogni compressione dei diritti del ristretto trovi adeguato supporto nelle evidenze raccolte, non potendo pregiudicare le sue residue libertà in virtù di presunzioni assolute o argomenti fittizi. Il caso. La procedura a quo riguarda il rigetto del reclamo presentato al Tribunale di Sorveglianza da parte di una persona detenuta per l’esecuzione di alcune condanne – tra le quali una irrevocabile per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti – avverso il decreto ministeriale che, nel 2019, lo aveva sottoposto per altri due anni alle misure afflittive prescritte dall’art. 41- bis ord.penumero , valorizzando la sua posizione preminente all’interno del sodalizio, ancora operativo, ed una serie di indici denunciati dalle informative dei reparti investigativi specializzati, dai quali poteva ricavarsi il concreto pericolo di mancata rescissione del vincolo associativo. Ricorreva per Cassazione l’interessato, per il tramite dei difensori di fiducia, domandando l’annullamento del provvedimento per violazione di legge concretatasi in motivazione apparente, con riferimento a quanto previsto dal c.d. artt. 41- bis ord.penumero e 125 c.p.p La difesa lamentava, in particolare, l’omissione di una riflessione individualizzante da parte della Corte specializzata, che aveva giustificato il proprio convincimento riproducendo formule apodittiche e stereotipate, slegate da idonei sostegni probatori e sovrapponibili alle deduzioni del Ministro – a partire dal dato, puramente formale, del passaggio in giudicato di una decisione inerenti fatti risalenti e già considerati a supporto di precedenti proroghe – sottovalutando il comportamento intramurario dell’istante – rispettoso degli altri detenuti ed impegnato a riprendere il suo percorso scolastico – che dimostrerebbe l’interruzione di ogni legame con la consorteria criminale di originaria appartenenza. La sentenza. Il Collegio – su parere conforme del Procuratore generale, espresso con requisitoria scritta – rigetta il ricorso, condannando la parte al pagamento delle spese processuali. La complessità della questione induce l’Estensore ad inserire un’ampia premessa, per potersi muovere più agevolmente tra i diversi punti dell’impianto motivo e definire le ragioni che consentono all’ordinanza di superare indenne il sindacato di legittimità. Tale percorso prende le mosse dagli indicatori, non per forza compresenti e che il legislatore ha nel tempo enucleato, sintomatici della capacità di mantenere contatti con l’associazione di origine e non già dell’effettivo mantenimento di tali relazioni , requisito ritenuto sufficiente per rendere le ulteriori restrizioni conformi alla Carta Corte Cost. numero 190/2010 . I parametri da valutare in concreto. Ed infatti, esistono una serie di circostanze dalle quali tale persistente potenzialità può essere validamente ricavata. Tra queste il profilo criminale del detenuto il suo ruolo apicale in seno all’organizzazione la perdurante esistenza dell’articolazione territoriale del sodalizio dalla quale proveniva la sopravvenienza di nuove incriminazioni, non valutate prima i risultati del percorso trattamentale il tenore di vita dei familiari, da cui inferire il rischio di una ripresa dell’attività delittuosa. Il perimetro del reclamo avverso il decreto di proroga. Tutti questi elementi devono essere oggetto di concreto apprezzamento da parte dell’Autorità politica, prima, e giurisdizionale, poi, per poter ancorare un giudizio inevitabilmente probabilistico a solide basi dimostrative, che non lo rendano la semplice reiterazione dei precedenti, tramutando una condizione transitoria ed eccezionale in una forma di reclusione dedicata ai condannati per taluni reati associativi. Sotto questo profilo, gli Ermellini riaffermano il principio di diritto che, pure nel novellato quadro prodotto dalla riforma del 2009, distingue il grado di merito da quello di ultima istanza, estendendo il controllo svolto dal Tribunale di Sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato” non solo alle violazioni di legge, ma pure alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e sicurezza . Criterio rispettato nel caso di specie, in cui Giudici territoriali avevano attribuito peso preminente, per convalidare la valutazione del Dicastero, al fatto che il reclamante avesse, in prossimità della richiesta, riportato numerose sanzioni disciplinari per passaggi non consentiti” durante i colloqui e che fossero state da poco applicate misure di prevenzione – personali e reali – nei confronti di moglie e figlio, sul presupposto dell’attualità della pericolosità sociale del nucleo familiare, stabilmente inserito nel mandamento di San Giuseppe Jato rispetto al cui operato il ristretto non aveva mostrato alcun segno di dissociazione o, quanto meno, resipiscenza per il proprio contributo passato . Orientamento che era stato adeguatamente spiegato, non essendoci obbligo di contraddire puntualmente le argomentazioni difensive, quando i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla Cass. numero 37351/2014 . Conclusioni. La pronuncia in analisi consegue l’ostico obiettivo di contenere le dimensioni della motivazione, di fronte a tematiche che, già singolarmente considerate, richiederebbero molte righe per essere pur sinteticamente riassunte. Sarà dunque un buon punto di riferimento per chi, tra i giuristi pratici, abbia necessità di indirizzarsi correttamente in un procedimento contraddistinto da connotati del tutto peculiari.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 aprile 2020 – 12 maggio 2021, n. 18434 Presidente Di Tomassi Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 8 ottobre 2020 il Tribunale di sorveglianza di Roma respingeva il reclamo proposto da M.S. -detenuto in espiazione di pena detentiva perché condannato irrevocabilmente per i delitti di associazione di stampo mafioso e violazione della disciplina degli stupefacenti avverso il decreto emesso, ex L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2, dal Ministro della Giustizia in data 21 maggio 2019, con il quale è stata disposta la proroga per due anni della sottoposizione al regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen Il Tribunale di sorveglianza di Roma ripercorreva la carriera criminale di M. e valutava le informazioni ricavabili dai pareri espressi dalla D.D.A. della Procura della Repubblica di Palermo e dalla D.N. A. e dalle osservazioni degli organismi centrali delle Forze dell’ordine, dalle quali era risultata la sua posizione di vertice rivestita nell’ambito di cosa nostra e, in specie, della sua articolazione nota come mandamento di San Giuseppe Jato, tuttora esistente ed operativa, nonché la sua attivazione per il coordinamento di altre analoghe formazioni di stampo mafioso e per la soluzione di controversie tra operatori economici. Dal che il concreto pericolo di mantenimento di contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza. 2. Avverso detto provvedimento propone ricorso per cassazione C.S. per il tramite dei suoi difensori, avv.ti Barbara Amicarella e Valerio Vianello Accorretti, che ne chiedono l’annullamento per violazione ed erronea applicazione di legge in riferimento all’art. 41-bis ed all’art. 125 c.p.p Secondo le difese, il Tribunale di sorveglianza ha omesso un’analisi individualizzante della posizione del ricorrente, ma ha svolto considerazioni generiche e stereotipate, il che rende apparente la motivazione. Gli argomenti prospettati col reclamo sono stati sviliti e la circostanza dell’avvenuta condanna per partecipazione ad associazione mafiosa e violazione della disciplina degli stupefacenti non è significativa dell’attuale capacità di mantenere contatti con l’organizzazione di appartenenza, perché riguardante condotte del passato e precedenti la carcerazione, già valorizzati in occasione delle precedenti proroghe. In tal senso si è già pronunciata anche la Suprema Corte con la sentenza n. 29551 del 7 ottobre 2020 per la quale il passaggio in giudicato della sentenza di condanna costituisce un dato meramente formale e non dato di fatto nuovo tale da giustificare una nuova richiesta di proroga. Diversamente, dovrebbe ritenersi che i precedenti provvedimenti di sottoposizione al regime detentivo differenziato siano stati emessi in presenza di elementi illegittimi, ovvero di conoscenze ancora da definire. Inoltre, il ricorrente non presenta un curriculum criminale di tutto rispetto, essendo stato accusato soltanto per reati lievi, quali il furto di bestiame con altri associati privi di funzioni direttive, come riferito dal collaboratore di giustizia Mi. , per i quali fatti è poi stato mandato assolto. Tali emergenze sconfessano il suo ruolo apicale ed anche il riferito mantenimento di contatti tra costui ed altri esponenti di cosa nostra dei territori delle province di Palermo e Trapani, non accertati nella sentenza citata nell’ordinanza impugnata nè le recenti indagini hanno evidenziato un ruolo ancora attivo di M. nell’ambito della propria cosca mafiosa. Il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto motivare in modo autonomo rispetto al decreto ministeriale e verificare senza presunzioni la concreta ed attuale pericolosità del ricorrente e quali soggetti affiliati avrebbero potuto rapportarsi con la sua persona, pena la violazione della Costituzione. Inoltre, a confutare quanto osservato sul valore negativo del percorso trattamentale seguito dal ricorrente, risulta il suo comportamento impeccabile e rispettoso verso operatori ed altri detenuti, la dedizione ad attività lavorativa e la ripresa del percorso scolastico per conseguire la licenza di scuola media, nonché il normale inserimento nel contesto sociale dei suoi familiari, tutti incensurati, autori di versamenti di denaro in suo favore di modesta entità. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso questa Corte di Cassazione, FODARONI Giuseppina, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso proposto è infondato e va dunque respinto. 1. È noto che la L. n. 354 del 1975, art. 41-bis, comma 2-bis, sostituito dalla L. 23 dicembre 2002, n. 279, art. 2 e da ultimo dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 25, lett. b , stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno . L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal comma 2-sexies del novellato art. 41-bis, a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge. Per pacifico arresto giurisprudenziale, la limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di specifiche disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, integrante in sé un’ipotesi di trasgressione, sia del disposto generale dall’art. 125 c.p.p., sia della prescrizione dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-sexies, secondo la quale il Tribunale di Sorveglianza decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 . 1.1. Da tali premesse discende che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che abbia deciso il reclamo avverso il decreto applicativo del regime detentivo differenziato, oppure quello di proroga, è censurabile col ricorso per cassazione in caso di motivazione graficamente assente, constando il provvedimento del solo dispositivo ed in quelli, ben più frequenti, nei quali l’apparato giustificativo del provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere comprensibile la ratio decidendi perché le relative linee esplicative sono talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da compromettere l’intelligibilità della decisione, ovvero ancora quando non affrontino le tematiche poste col reclamo, sostanzialmente eluse, tutte situazioni nelle quali le argomentazioni giustificative, pur presenti, in realtà non assolvano alla funzioni cui sono destinate Sez. Un. 28/5/2003, Pellegrino, Rv. 224611 Sez. 1, 9/11/2004, Santapaola, Rv. 230203 . 1.2. È, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, che non può evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità in merito all’applicazione o alla proroga del regime detentivo differenziato. 1.3. Deve poi ricordarsi che, per effetto dei principi interpretativi, formulati da questa Corte dalla sentenza n. 423 del 26/1/2004, Zara, Rv. 228049 in poi e ribaditi dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 417 del 13/12/2004, che ha respinto la questione di incostituzionalità della norma di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-bis, nel testo introdotto dalla L. n. 279 del 2002, art. 2, la conformità alla Costituzione della disposizione è garantita soltanto a condizione che ogni decreto applicativo o di proroga sia dotato di congrua e propria motivazione in ordine alla sussistenza o persistenza dei presupposti per la sottoposizione al regime detentivo differenziato, non consentendo l’ordinamento giuridico una perpetuazione automatica della compressione dei diritti del condannato in espiazione di pena, disposta al di fuori del vaglio giudiziale ancorato alla situazione personale concreta ed alla reale ed attuale pericolosità sociale nella sua forma specifica della capacità di mantenere collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza. Al riguardo, tenuto conto della riforma ulteriore dell’art. 41-bis, comma 2-bis, introdotta nel 2009, e pure sottoposta a verifica di conformità ai principi costituzionali sent. n. 190 del 2010 , va ricordato che la proroga del decreto ministeriale postula l’accertamento della persistenza della capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione di riferimento, non già l’effettivo mantenimento di tali relazioni, verifica da condurre anche utilizzando gli specifici parametri, ritenuti dal legislatore significativi e non necessariamente compresenti, del profilo criminale, della posizione rivestita dal soggetto in seno all’organizzazione, della perdurante operatività del sodalizio, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non considerate in precedenza, degli esiti del trattamento intramurario e del tenore di vita dei familiari, in ordine ai quali è necessario che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza espliciti la valutazione condotta sulla scorta di circostanze ed elementi concreti, significanti che il pericolo di contatti del condannato con l’esterno ed i gruppi criminali di appartenenza, quindi della ripresa dell’attività criminosa, non è cessato sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 267248 Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, Caporrimo, Rv. 263508 Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, Badagliacca, Rv. 253713 Sez. 5, n. 18054 del 25/01/2012, Russo, Rv. 253759 Sez. 1, n. 14822 del 03/02/2009, P.G. in proc. Calabrò, Rv. 243736 . 1.4. Infine, deve richiamarsi per la piena condivisione del relativo principio, quanto affermato anche di recente da questa sezione, ossia che Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un clan camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, Vinciguerra, Rv. 274912 . 1.5. È comunque altrettanto assodato che non sussiste un onere a carico del condannato di offrire prova della cessazione di tale pericolo, gravando piuttosto sull’amministrazione penitenziaria dimostrare che le condizioni giustificanti la sottrazione al regime ordinario permangono. 2. Tanto premesso, vanno svolte alcune precisazioni in merito alla natura dei poteri cognitivi, demandati alla giurisdizione di sorveglianza, in riferimento ai provvedimenti di applicazione o di proroga del regime detentivo differenziato. 2.1 Invero, il provvedimento impugnato, dopo avere premesso alcuni criteri di giudizio che in via programmatica il Tribunale ha inteso enunciare, alla pagina 3 ha affermato che il proprio intervento cognitivo, sollecitato dal reclamo, fosse assimilabile ad un giudizio di legittimità avente ad oggetto la congruità della motivazione del decreto in relazione agli elementi informativi posseduti e vagliati dal Ministro della Giustizia . 2.2 Ebbene, il tema è stato posto e più volte risolto in primo luogo dagli interventi interpretativi della Consulta. Chiamata a verificare la compatibilità con la Carta costituzionale del regime carcerario speciale, sin dagli anni novanta la Corte costituzionale aveva riscontrato l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona, poiché costituzionalmente protetti, quale limite al potere discrezionale dell’Amministrazione penitenziaria di inasprire con l’imposizione di specifiche prescrizioni le modalità di espiazione della pena detentiva. Aveva quindi riconosciuto che, contro tale inasprimento, pur in assenza di espressa previsione normativa, la tutela andava riconosciuta mediante l’esperibilità del reclamo proponibile all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo quanto previsto più in generale dall’art. 14-ter dell’ordinamento penitenziario, ritenuto applicabile a tutti i regimi detentivi fondati su forme qualificate di pericolosità. Mediante il reclamo era consentito provocare il sindacato giurisdizionale sulle determinazioni dell’amministrazione per riscontrare l’effettiva sussistenza dei presupposti applicativi e la conformità del decreto ai limiti imposti dalla legge e dalla Costituzione, col riconoscimento, in caso di accertata violazione dei diritti del detenuto, della possibilità della sua disapplicazione Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 351 22 luglio 1994, n. 332 23 novembre 1993, n. 410 28 luglio 1993, n. 349 . Si era, dunque, definito il controllo esercitabile dalla magistratura di sorveglianza come attinente al contenuto dispositivo ed alla legittimità delle singole misure imposte nell’ambito di un sindacato di ampia latitudine, da condursi sino al punto da disattendere eventuali limitazioni illegittimamente penalizzanti per i diritti del detenuto. Tali indicazioni esegetiche erano state interpretate in senso restrittivo dalla giurisprudenza di legittimità che, sul presupposto della natura amministrativa del decreto ministeriale applicativo, incidente sui diritti soggettivi del detenuto, pur avendo ribadito il controllo sulla legittimità del provvedimento, aveva escluso il potere giudiziale di integrazione e modificazione rispetto a singole prescrizioni imposte ed ammesso la mera possibilità di disporne la revoca a fronte del riscontro della carenza delle ragioni giustificative Cass. sez. 1, n. 4251 del 04/10/1994, P.G. in proc. Greco, rv. 199482 sez. 1, n. 2625 del 28/04/1995, P.G. in proc Farinella, rv. 201479 sez. 1, n. 3890 del 27/06/1995, P.G. in proc. Minichini, rv. 202437 sez. 1, n. 4149 del 07/07/1995, P.M. e Toma, rv. 202344 sez. 1, n. 6873 del 22/12/1995, P.G. in proc. Furnari, rv. 203659 . 2.3 Gli orientamenti già espressi dalla giurisprudenza, anche costituzionale, hanno trovato positivo riconoscimento, dapprima con la L. 7 gennaio 1998, n. 11, art. 4, introduttivo dell’art. 41-bis, comma 2-bis, che ha assegnato al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere i reclami avverso i provvedimenti in materia di sospensione delle regole ordinarie di trattamento dei detenuti, quindi con la L. 23 dicembre 2002, n. 279. L’art. 2 di tale legge ha innovato il testo dell’art. 41-bis Ord. Pen. mediante sostituzione dei commi 2 e 2-bis ed aggiunta di quattro nuovi commi, con i quali sono stati ridefiniti i presupposti e le finalità del regime detentivo differenziato il procedimento applicativo, la durata e la prorogabilità delle misure la revoca del provvedimento conseguente al venire meno delle esigenze che l’hanno giustificato le limitazioni adottabili con la sospensione delle regole del trattamento la possibilità di presentare reclamo al tribunale di sorveglianza, il relativo procedimento e la ricorribilità per cassazione contro la decisione del reclamo. In particolare, assume rilievo la previsione del comma 2-sexies, secondo il quale al giudice spetta il sindacato sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2 della norma stessa. Alla novellazione del testo dell’art. 41-bis Ord. Pen., la giurisprudenza di legittimità, allineandosi alle osservazioni della Consulta C. Cost. ord., n. 417 del 23/12/2004 ha adeguato le proprie posizioni, pretendendo dall’ordinanza del tribunale di sorveglianza che abbia deciso sul reclamo dell’interessato una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire e tanto anche in riferimento al decreto ministeriale di proroga, nella ribadita inammissibilità del ricorso a motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte sez. 1, n. 15283 del 4/4/2006 Orefice, rv. 234844 sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Di Grazia, rv. 256495 . Ulteriore intervento legislativo di modifica del testo dell’art. 41-bis Ord. Pen. si è registrato con la L. n. 94 del 2009, che con il primo capoverso del comma 2-quater ha sostituito la locuzione può comportare con la dizione prevede e ha inserito la previsione di un numero tassativo ed obbligatorio di restrizioni, da applicare ai soggetti destinatari della norma e con il comma 2 sexies ha eliminato quale oggetto del sindacato giudiziale sul decreto ministeriale il controllo sulla congruità del contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza pubblica, da esercitarsi quindi soltanto sulla ricorrenza dei presupposti applicativi. Le censure di incostituzionalità per contrasto con l’art. 13 Cost., comma 2, l’art. 24 Cost., comma 1, e l’art. 113 Cost., commi 1 e 2, sollevate in merito alla portata della nuova formulazione del comma 2-sexies sono state disattese dalla Corte costituzionale, che, dapprima con le ordinanze nn. 220 e 313 del 2009, quindi con le sentenze n. 266 del 2009 e n. 190 del 2010, ha offerto un’interpretazione sistematica della nuova norma nel contesto dei vari istituti dell’ordinamento penitenziario ha dunque riscontrato il mantenimento immutato nell’ambito di tale corpo normativo del rimedio previsto dall’art. 14-ter, quale strumento col quale far valere la violazione dei diritti del detenuto anche nei riguardi del decreto di sottoposizione al regime detentivo differenziato la contrazione dei poteri discrezionali del Ministro della giustizia nella scelta circa il contenuto del regime imposto per la possibilità di applicare soltanto le prescrizioni limitative, previste in un elenco tassativo, sul presupposto della ritenuta già operata dal legislatore valutazione di congruità rispetto al fine perseguito di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici la perdurante esistenza del sindacato sulla legittimità del contenuto dell’atto quanto all’eventuale violazione dei diritti soggettivi del destinatario. Ha dunque concluso che la novellazione dell’art. 41-bis non ha soppresso uno strumento di tutela a garanzia del detenuto, che può sempre esperire il reclamo ex art. 14-ter Ord. Pen., e che l’intervento giudiziale del tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sul reclamo, continua a riguardare le condizioni di applicazione del regime detentivo speciale e la funzionalità della sua imposizione al perseguimento delle finalità previste dalla disciplina normativa. Pertanto, come affermato da sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Di Grazia, rv. 256495, la scomparsa del riferimento testuale al controllo sulla congruità dei mezzi rispetto ai fini, ma non ha certamente eliminato il controllo di legittimità sul contenuto dell’atto in relazione all’eventuale violazione di diritti soggettivi del detenuto , sicché l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 41-bis Ord. Pen. impone la conclusione per cui, anche dopo le modifiche introdotte al suo testo dalla L. n. 94 del 2009, il controllo di legalità, da parte del Tribunale di sorveglianza, sui presupposti del provvedimento applicativo o di proroga del regime differenziato continua ad essere fondato sui principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità più recente. 2.4 La verifica del Tribunale di sorveglianza, in quanto organo giurisdizionale di merito, non è circoscritta al solo rispetto delle norme di legge costituenti il parametro del giudizio espresso nel decreto ministeriale e si deve estendere alla relativa motivazione in riferimento alle circostanze di fatto valutate, come desunte dalle fonti compulsate, per riscontrarne la valenza e l’idoneità rappresentativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata e della sua pericolosità sociale ed assicurare il collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza. Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità, riguardante il solo vizio di violazione di legge sostanziale e processuale e quindi esercitatile, quanto alla legalità della decisione sul reclamo, in riferimento ai parametri normativi che regolano il procedimento e la materia ed alla presenza di motivazione, reale ed effettiva, senza potersi addentrare in considerazioni sul materiale probatorio, la sua corretta valutazione e la logicità del procedimento inferenziale che ha condotto alla decisione, nè poter prendere in esame, per quanto già esposto, eventuali profili di illogicità o contraddittorietà della motivazione. Va dunque formulato il seguente principio di diritto Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 bis Ord. Pen. dalla L. n. 94 del 2009, il controllo svolto dal Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato, diversamente dal sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, non è limitato ai profili di violazione della legge per inosservanza o erronea applicazione, ma si estende alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza . 3. Se dunque, per le considerazioni esposte, non può essere condivisa in linea di principio l’affermazione del Tribunale di sorveglianza, per la quale il compito devolutogli dalla proposizione del reclamo del detenuto non si traduce in una delibazione di merito, ma di mera legittimità, ciò nonostante, l’ordinanza in verifica risulta corredata da motivazione effettiva e chiaramente esplicativa delle ragioni della decisione, che ha investigato i profili fattuali necessari per ravvisare la legittima proroga della sottoposizione del ricorrente al regime penitenziario differenziato di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 41-bis. 3.1 II provvedimento impugnato ha ancorato il giudizio circa la perdurante sussistenza del pericolo di mantenimento dei contatti con l’organizzazione di appartenenza da parte del ricorrente alla natura dei fatti per i quali egli ha riportato condanna irrevocabile al ruolo di rilievo svolto nell’ambito dell’organizzazione di stampo mafioso cosa nostra , quale reggente del mandamento di San Giuseppe Jato al suo attivismo nel mantenere contatti con esponenti mafiosi di altre famiglie e nel favorire la costituzione del nuovo mandamento di Camporeale alla perdurante operatività nel territorio d’influenza della stessa compagine, mostratasi in grado di riorganizzarsi ed adattarsi alla scomparsa dei vecchi capimafia R. e P. , secondo quanto dimostrato da recenti investigazioni relative ad attività criminali del 2018 alla mancata emersione grazie all’osservazione penitenziaria di elementi sintomatici di dissociazione e di recupero ai valori della legalità. Sotto quest’ultimo profilo l’ordinanza ha evidenziato che M. ha riportato sanzioni disciplinari per passaggi non consentiti e, pur disponibile al dialogo con gli operatori penitenziari, nega di aver commesso i reati ascrittigli. Ha quindi concluso che le restrizioni imposte sono funzionali a salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, nella sussistenza del concreto pericolo di una ripresa dei contatti del ricorrente con gli esponenti liberi dell’organizzazione e della possibilità che, ammesso al regime ordinario, possa impartire ordini, determinare o suggerire il compimento di ulteriori intraprese delittuose. 3.2. Il Tribunale di sorveglianza ha preso in considerazione anche i profili di contestazione articolati col reclamo, che ha disatteso, rilevando che il ruolo criminale qualificato, assunto dal ricorrente all’interno dell’organizzazione, la vitalità attuale della stessa cosca, l’assenza di elementi indicativi della dissociazione o dello scioglimento della consorteria di stampo mafioso, giustificano il giudizio prognostico circa la attuale capacità di mantenere contatti con l’organizzazione ed i suoi partecipi ancora liberi. 3.3. Tale percorso giustificativo della decisione assunta non può dirsi apparente, nè frutto della carente valutazione delle ragioni del reclamo e dell’omessa considerazione della capacità del detenuto di mantenere i contatti con il sodalizio di appartenenza, come preteso dall’art. 41-bis, comma 2-bis, tanto più che, per affermazione di questa Corte, che si condivide, In tema di trattamento penitenziario differenziato, non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 41 bis, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805 . 3.4 Non hanno alcun fondamento le doglianze espresse in ricorso, che censurano in modo non consentito la struttura motivazionale del provvedimento in esame ed assumono come verificate circostanze rimaste prive di riscontro probatorio, quali precedenti assoluzioni rispetto alla condanna per la quale sta espiando pena detentiva ed il mancato svolgimento di funzioni apicali. Si tratta di deduzioni che non contraddicono l’attribuzione, ormai irrevocabile, del ruolo dirigenziale nell’ambito del mandamento di cui è originario e richiamano una fonte dichiarativa, escussa in un imprecisato contesto processuale, che evidentemente non è stata ritenuta significativa o è stata smentita da altre risultanze apprezzate come più convincenti. Del pari la contestazione sull’assenza di relazioni e contatti con altri esponenti delle cosche mafiose della provincia di Palermo e Trapani è oggetto di labiale affermazione, rimasta priva di agganci probatori. È, poi, smentita anche la pretesa regolarità del comportamento tenuto durante la detenzione, risultando dall’ordinanza impugnata l’irrogazione di plurime sanzioni disciplinari e l’assoluta mancanza di resipiscenza o di revisione critica per le esperienze criminose passate, del tutto negate nella loro verificazione. Si richiama al riguardo quanto affermato da questa Corte, ossia che, per poter accogliere il ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, è necessaria l’acquisizione di elementi specifici e concreti, indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che non possono identificarsi con il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato, nè essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario Sez. 1, n. 32337 del 03/07/2019, Graviano, Rv. 276720 Sez. 1, n. 14822 del 3/02/2009, Pg in proc. Calabrò, Rv. 243736 . Infine, non viene considerata in ricorso la recentissima sottoposizione di M. a misure di prevenzione, personale e reale, che hanno interessato anche le proprietà intestate a moglie e figlio sul presupposto della sua attuale pericolosità sociale. Il ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.