Più grave la condanna per avere scaricato e conservato materiale pedopornografico con il browser in incognito

Evidente la responsabilità penale di un uomo beccato ad avere quasi 8mila file, tra foto e video, a carattere pedopornografico. A rendere più grave la sua condotta, però, non è solo l’ingente quantitativo di materiale conservato in due hard-disk, ma anche il browser utilizzato per navigare e arrivare ai siti da cui scaricare le immagini pedopornografiche.

Quasi 8mila file – tra foto e video – a carattere pedopornografico. Il ributtante materiale rinvenuto dalla polizia giudiziaria inchioda l’uomo alle sue drammatiche responsabilità inevitabile la condanna. A rendere più grave la sua abominevole condotta, però, non solo l’ ingente quantitativo di file , conservati in due hard-disk, ma anche il fatto che egli abbia utilizzato un accorgimento tecnico, cioè un browser ad hoc , per navigare online senza far comparire il proprio indirizzo IP Cassazione, sentenza n. 18153/21, sez. III Penale, depositatal’11 maggio . I resoconti delle forze dell’ordine, che hanno anche provveduto all’arresto dell’uomo sotto accusa, sono ritenuti sufficienti per i giudici di merito. Consequenziale la condanna, sia in primo che in secondo grado, per detenzione di materiale pedopornografico, reato aggravato dall’ingente quantità di foto e video rinvenuti su due hard-disk in possesso dell’uomo. In Appello la pena viene fissata in due anni di reclusione e 2mila euro di multa. In Cassazione l’uomo prova a ridimensionare le accuse a suo carico, sostenendo tramite il proprio avvocato che non tutte le foto di minori in sequestro integrano il disvalore individuato e sanzionato dall’articolo 600- quater c.p. e che, pertanto, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità sarebbe stata necessaria un’analisi dettagliata delle immagini per escludere quelle non dotate di sufficiente offensività alla luce del bene giuridico tutelato e, cioè, l’immagine, la dignità ed il corretto sviluppo sessuale del minore . Ciò permetterebbe, sempre secondo l’uomo, di mettere in discussione anche l’aggravante della ingente quantità . Dalla Cassazione respingono però in modo netto le considerazioni proposte del difensore dell’uomo sotto accusa. Inequivocabile , innanzitutto, il materiale sequestrato , cioè immagini fotografiche e filmate aventi contenuto pornografico, centinaia delle quali riproducenti soggetti minorenni, sia nudi che in atteggiamenti sessuali espliciti . Rilevante poi la confessione resa dall’uomo in occasione dell’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto egli ha ammesso i fatti, riferendo di avere scaricato le immagini dal web, mediante accesso con il sistema TOR a un sito dal quale, mediante link dedicati, poteva arrivare ai siti di suo interesse dai quali estrapolare le immagini pedopornografiche . Indiscutibile, poi, il dato costituito dall’ elevato numero delle immagini pedopornografiche rinvenute nei due hard disk in possesso dell’uomo si parla di quasi 6.400 video e quasi 1.200 foto. Sacrosanto, quindi, parlare di ingente quantità di materiale pedopornografico . In ultima battuta, poi, i Giudici confermano anche l’ aggravante prevista per l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche . Si è accertato, difatti, che l’uomo ha scaricato le immagini pedopornografiche dal web mediante accesso ad apposito link con il sistema TOR , un browser che consente di navigare sui siti pedopornografici senza far comparire il proprio indirizzo IP . Tale circostanza è inequivocabile, poiché, ricordano i Giudici, in tema di detenzione di materiale pedopornografico è configurabile l’aggravante dell’uso di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche quando l’agente ponga in essere una qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 aprile – 11 maggio 2021, n. 18153 Presidente Di Nicola – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24/01/2020, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 09/05/2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze - con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, A.P.C. era stato dichiarato responsabile del reato di detenzione di materiale pedopornografico aggravato dall’ingente quantità e condannato alla pena ritenuta di giustizia - rideterminava la pena in anni due di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.P.C. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 600quater c.p., commi 1 e 2, art. 602ter c.p., comma bis, e correlato vizio di motivazione. Argomenta che non tutte le foto di minori in sequestro integrerebbero il disvalore individuato e sanzionato dall’art. 600-quater c.p. e che, pertanto, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità la Corte di appello avrebbe dovuto effettuare un’analisi dettagliata delle immagini ed una selezione delle foto che escludesse quelle non dotate di sufficiente offensività, alla luce del bene giuridico tutelato e, cioè, l’immagine, la dignità ed il corretto sviluppo sessuale del minore neppure era stata disposta un’indagine scientifica sulle caratteristiche somatiche dei soggetti ritratti. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, argomentando che la mancata visione integrale delle immagini non consentirebbe di quantificarle con esattezza e, quindi, di applicare l’art. 660 quater c.p., comma 2. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 602 ter c.p., comma 9, e correlato vizio di motivazione, argomentando che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato che la circostanza aggravante in questione si applicava a tutti i reati cui al comma 8 e non, invece, alle sole ipotesi aggravate ivi menzionate. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 175 c.p. e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale, pur concedendo la sospensione condizionale della pena, non aveva motivato in ordine all’applicabilità dell’ulteriore beneficio della non menzione della condanna. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza. Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 conv. in L. n. 176 del 2020. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte territoriale ha confermato l’affermazione di responsabilità, ritenendo integrato il reato di cui all’art. 600-quater c.p., richiamando le inequivoche emergenze istruttorie, già ampiamente valutate dal giudice di primo grado le immagini stampate dalla Polizia giudiziaria al momento dell’arresto dell’imputato ed il DVD allegato al verbale di arresto i dati numerici e di contenuto riportati nella consulenza tecnica della Polizia postale, finalizzata ad estrapolare dai reperti in sequestro, le immagini rilevanti ai fini della contestazione gli accertamenti tecnici svolti sul materiale in sequestro che comprovavano che l’imputato aveva scaricato e catalogato numerose immagini fotografiche e filmate aventi contenuto pornografico, centinaia delle quali riproducenti soggetti minorenni, sia nudi che in atteggiamenti sessuali espliciti la confessione resa in occasione dell’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto l’imputato aveva ammesso i fatti, riferendo che aveva scaricato le immagini dal web, mediante accesso con il sistema TOR a sito dal quale, mediante link dedicati, poteva arrivare ai siti di suo interesse dai quali estrapolare le immagini pedopornografiche. Va ricordato che la scelta dell’imputato di procedere con il rito abbreviato rende utilizzabili tutti gli atti, legalmente compiuti o formati, che siano stati acquisiti al fascicolo del pubblico ministero Sez. 5, n. 46473 del 22/04/2014, Rv.261006 - 01 Sez. 2, n. 39342 del 15/09/2016, Rv. 268378 - 01 Sez. 2, n. 3827 del 22/10/2019, dep. 29/01/2020, Rv. 277965 - 01 . La valutazione della Corte territoriale in ordine al carattere pedopornografico del materiale sequestrato è conforme al dato normativo ed ai principi espressi in subiecta materia dalla Suprema Corte. In tema di pornografia minorile, in virtù della modifica introdotta dalla L. n. 172 del 2012, art. 4, comma 1, lett. l , Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale - che ha sostituito il comma 1 dell’art. 600-ter c.p. - costituisce materiale pedopornografico la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, oppure degli organi sessuali di minori con modalità tali da rendere manifesto il fine di causare concupiscenza od ogni altra pulsione di natura sessuale Sez.5, n. 33862 del 08/06/2018, Rv.273897- 01 il riferimento alla rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto di cui all’art. 600-ter c.p., u.c. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei Sez. 3, n. 9354 del 08/01/2020, Rv. 278639 - 02 . Nè coglie nel segno la censura difensiva che lamenta la mancata visione integrale da parte dei Giudici di merito del materiale sequestrato. Costituisce, infatti, affermazione pacifica che la valutazione del carattere pedopornografico del materiale compete al giudice il quale può servirsi degli ordinari mezzi di prova previsti dall’ordinamento art. 187 c.p.p. , senza dover necessariamente procedere ad un esame diretto del materiale medesimo Sez. 3, n. 3110 del 20/11/2013, dep. 23/01/2014, Rv. 259318 - 01, che ha affermato il principio in fattispecie, nella quale la valutazione del giudice territoriale si era fondata sulla testimonianza di un ufficiale di P.G. che, avendo visionato un file recuperato dal p.c. dell’imputato, ne aveva riferito il contenuto consistente nella ripresa di una bambina intenta a masturbarsi . 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La Corte territoriale ha correttamente ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 600 quater c.p., comma 2, rimarcando l’elevato numero delle immagini pedopornografiche rinvenute nei due hard disks dell’imputato, apprezzabile in termini di migliaia 6.393 file video e 1.385 foto , numero idoneo a valutare come di ingente quantità il materiale pedopornografico detenuto dall’imputato. Questa Suprema Corte ha, infatti, affermato il principio, che va ribadito, secondo cui la configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico previsto dall’art. 600-quater c.p., comma 2 impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene Sez.3, n. 35876 del 21/06/2016, Rv.268008 - 01, nonché Sez.3 n. 39543 del 27/06/2017, Rv. 271461 - 01, che ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche, limite che rende in maggior misura percepibile il pericolo di implementazione del mercato illecito, che costituisce la ratio dell’inasprimento sanzionatorio fondante l’aggravante de qua . 3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. I Giudici di merito hanno accertato che l’imputato aveva scaricato le immagini pedopornografiche dal web, mediante accesso ad apposito link con il sistema TOR, che consente di navigare sui siti pedopornografici senza far comparire il proprio indirizzo IP. Tale circostanza è stata correttamente ritenuta idonea ad integrare la ulteriore circostanza aggravante contestata e, cioè, quella di cui all’art. 602-ter c.p., comma 9. In tema di detenzione di materiale pedopornografico, infatti, è configurabile l’aggravante dell’uso di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche, di cui all’art. 602-ter c.p., comma 9, nel caso in cui l’agente ponga in essere una qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa Sez. 3, n. 32166 del 08/10/2020, Rv. 280042 - 01 . Nè coglie nel segno la deduzione difensiva, secondo cui la circostanza aggravante in questione sarebbe applicabile alle sole ipotesi di reati circostanziati di cui all’art. 602 ter c.p., comma 8. Il disposto normativo è del tutto chiaro il comma 9 predetto articolo dispone che le pene previste per i reati di cui al comma precedente sono aumentate in misura non eccedente i due terzi nei casi in cui gli stessi siano compiuti con l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche trattasi di circostanza aggravante ad effetto speciale che determina un aumento di pena superiore ad un terzo con espresso riferimento ai reati di cui agli artt. 600-bis, 600-ter, 600 quater, 600 quater 1, 600 quinquies c.p La diversa lettura della disposizione invocata dal ricorrente, non solo si scontra con la chiarezza della norma in daris non fit interpretatio , ma anche con la stessa natura delle circostanze, quali elementi accidentali, accessori del reato rispetto alla fattispecie del reato semplice, che incidono sulla sua gravità, comportando una modificazione della relativa pena. 4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. Questa Corte ha affermato che il mancato esercizio del potere di cui all’art. 597 c.p.p., comma 5, non è censurabile in cassazione, ne è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di una specifica richiesta, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado Sez. U-, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 22/05/2019, Rv. 275376 Sez. 5, n. 37569 del 08/07/2015, Rv. 264552 Sez. 6, n. 13911 del 6 febbraio 2004, P.G. in proc. Addala, Rv. 229214 . Nella specie, la richiesta di applicazione del beneficio di cui all’art. 175 c.p. non era oggetto di motivo di appello nè era stata avanzata in sede di conclusioni nel giudizio di appello cfr verbale di udienza del 24.1.2020 . Da tanto discende, alla luce del principio di diritto summenzionato, l’infondatezza del motivo in esame, dovendosi escludersi ogni ipotesi di violazione di legge o di difetto di motivazione , sia per il mancato esercizio del potere di cui all’art. 597 c.p.p., comma 5, sia per la omessa giustificazione al riguardo, in difetto di specifica richiesta da parte dell’imputato. 5. Consegue il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.