Perseguita l’ex compagna dopo la fine della convivenza: condannato per maltrattamenti

Decisivo, secondo i giudici, il richiamo alla prole. La presenza dei figli minorenni impone la necessità di cooperazione tra i due genitori, seppur non più conviventi. Ciò comporta che la persecuzione messa in atto dall’uomo ai danni dell’ex compagna andata via di casa è catalogabile come maltrattamento in famiglia.

Cessata la convivenza, restano però i necessari rapporti tra ex partner per gestire i due figli. Questo dettaglio è fondamentale, secondo i Giudici, per catalogare come maltrattamenti in famiglia anche le persecuzioni compiute dall’uomo nei confronti della ex compagna quando ella era già andata via di casa Cassazione, sentenza n. 17885/21, sez. VI Penale, depositata il 7 maggio . Ricostruita la delicata vicenda, che coinvolge non solo una coppia ormai scoppiata ma anche i loro due figli minorenni, i Giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna dell’uomo per avere maltrattato la convivente, anche in presenza dei figli, con ingiurie, percosse e lesioni, sino a costringerla a allontanarsi da casa e per averla perseguitata e minacciata anche dopo la fine della loro convivenza. In Cassazione il difensore dell’uomo ritiene illogico parlare di maltrattamenti in famiglia , soprattutto per ciò che concerne i comportamenti tenuti dal suo cliente nei confronti dell’ex compagna dopo la cessazione della convivenza della coppia. Obiettivo della difesa è vedere cancellato il reato di maltrattamenti in famiglia , sostituito da quello di stalking , alla luce della fine della convivenza dell’uomo e della donna sotto lo stesso tetto. Prima di esaminare in dettaglio la vicenda, però, i Giudici di terzo grado ricordano che il reato di maltrattamenti in famiglia è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale. In particolare, pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l’agente quando questi conserva con la vittima una stabilità di rapporti, dipendente dai doveri connessi alla filiazione per la perdurante necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell’educazione, nell’istruzione e nell’assistenza morale del figlio minore naturale, obblighi derivanti dall’esercizio congiunto della potestà genitoriale . I Giudici aggiungono poi che il reato di maltrattamenti in famiglia può assorbire quello di atti persecutori anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza, se la tipologia della relazione fra l’agente e la persona offesa indica il permanere di condizioni che richiedono solidarietà fra i due . Ebbene, in questa vicenda, si è appurato che l’uomo e la donna hanno generato due figli – ancora minorenni all’epoca dei fatti – e con essi l’uomo ha una ordinaria continuità di rapporti . Ciò comporta la necessità di cooperazione tra i genitori, i quali, anche se non più conviventi, devono, comunque e per un tempo indeterminato, mantenere una relazione improntata a canoni di cooperazione, di solidarietà e di reciproco rispetto . Proprio per questo, i comportamenti offensivi e aggressivi dell’uomo nei confronti della ex partner sono catalogabili come maltrattamenti in famiglia , concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 febbraio – 7 maggio 2021, n. 17885 Presidente Petruzzellis – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 6951 del 2019 la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna inflitta, a conclusione di un giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze a B.D. ex art. 572 c.p. per avere maltrattato la sua convivente A.A. , anche in presenza dei loro figli minorenni, con ingiurie, percosse e lesioni sino a costringerla a allontanarsi da casa e poi perseguitandola e minacciandola nei modi descritti nell’imputazione. 2. Nel ricorso presentato dal difensore di B. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo a erronea applicazione della legge nel qualificare come maltrattamenti e non come atti persecutori ex art. 612-bis c.p. anche le condotte dell’imputato successive alla cessazione della convivenza b violazioni di legge nel trascurare il criterio di distinzione fra maltrattamenti e atti persecutori fondato sulla cessazione della convivenza. Considerato in diritto 1. Nell’atto di appello la difesa di B. aveva argomentato che le condotte dell’imputato non presentano i connotati dell’abitualità richiesta per integrare il reato di maltrattamenti perché nel corso della convivenza vi fu soltanto un episodio di lesioni omissis e successivamente alla cessazione della convivenza omissis si ebbero delle condotte isolate non integranti maltrattamenti. La Corte di appello ha rilevato che, prima della cessazione della convivenza, le condotte dell’imputato non si limitarono all’episodio del omissis e le ha richiamate nella sentenza. Nel ricorso in esame non si contesta questo punto, ma si assume che con la cessazione della convivenza vennero meno le condizioni per ricondurre le successive condotte di B. al reato di maltrattamenti raccordandole con quelle anteriori. 2. L’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472 . In particolare, pur mancando vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l’agente quando questi conserva con la vittima una stabilità di rapporti dipendente dai doveri connessi alla filiazione per la perdurante necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell’educazione, nell’istruzione e nell’assistenza morale del figlio minore naturale derivanti dall’esercizio congiunto della potestà genitoriale Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, Rv. 276697 Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, I., Rv. 270673 Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, C., Rv. 262078 . In questo caso, nel rispetto della clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612 bis c.p., comma 1, Sez. 5, n. 41665 del 04/05/2016, C., Rv. 268464 Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254026 , il reato di maltrattamenti assorbe quello di atti persecutori anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza se la tipologia della relazione fra l’agente e la persona indica il permanere di condizioni che richiedono solidarietà fra i due. Invece, si configura l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori prevista dall’art. 612-bis c.p., comma 2 in presenza di comportamenti che, sorti nell’ambito di una comunità familiare o a questa assimilata , o determinati dalla sua esistenza e sviluppo, continuino nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o comunque della sua attualità Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358 Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D’A., Rv. 267942 Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254026 . 3. Nel caso in esame, risulta che l’imputato e la persona offesa hanno generato due figli ancora minorenni all’epoca dei fatti e con i quali l’imputato aveva una ordinaria continuità di rapporti con la connessa necessità di cooperazione tra i genitori, i quali, anche se non più conviventi, dovevano, comunque e per un tempo indeterminato, mantenere una relazione improntata a canoni di cooperazione, di solidarietà e di reciproco rispetto. Ne deriva che la fattispecie concreta in esame è pianamente sussumibile sotto l’art. 572 c.p. e che, pertanto, il ricorso è manifestamente infondato. 4. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 3000. Ne deriva, inoltre, che l’imputato va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dal Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore del Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.