Boss al 41bis: lecito il divieto di utilizzare l’email per comunicare col difensore

Confermata anche in Cassazione la legittimità della posizione assunta dall’amministrazione penitenziaria. Irrilevante il richiamo difensivo alla possibile disparità di trattamento coi cosiddetti detenuti comuni.

Legittimo negare al boss mafioso sottoposto al 41 bis la possibilità di utilizzare la posta elettronica per le comunicazioni col proprio legale. Irrilevante il richiamo difensivo alla possibile disparità di trattamento coi detenuti comuni Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 17084/21, depositata il 4 maggio . All’origine della vicenda c’è la decisione con cui l’amministrazione penitenziaria respinge la richiesta , presentata da un boss mafioso sottoposto al 41bis, di poter usare il servizio di posta elettronica per la corrispondenza con il difensore . Fondamentale il richiamo alla mancata previsione di tale possibilità nella circolare applicabile ai soggetti sottoposti al regime differenziato . Sulla stessa linea si attesta anche il magistrato di sorveglianza, respingendo il reclamo proposto dal detenuto e osservando che col reclamo presentato dal detenuto non è stato dedotto un pregiudizio grave e attuale all’esercizio di un diritto, un pregiudizio derivante dalla violazione di norme dell’ordinamento penitenziario e del suo regolamento di esecuzione , poiché non vi è alcuna previsione, da parte dell’ordinamento penitenziario, che disciplini le comunicazioni con il difensore , e non può ritenersi irragionevole l’esclusione di quel mezzo per quella tipologia di detenuti , quelli cioè sottoposti al 41 bis . Identica posizione la assume anche il Tribunale di sorveglianza, chiarendo che la possibilità di comunicare con il difensore a mezzo della posta elettronica non può configurarsi come un diritto . Ciò significa che la scelta dell’amministrazione penitenziaria non può ritenersi ingiustificata o irragionevole rispetto alla disciplina dettata per i detenuti comuni, sottoposti a un regime differente . Per il boss mafioso, però, la battaglia giudiziaria è una questione di principio. Ecco spiegato il ricorso proposto in Cassazione. Il suo difensore ricorda, in premessa, che il regime differenziato è finalizzato a rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra detenuti, sia tra i detenuti e i soggetti in libertà , e perciò le regole del regime differenziato soggiacciono al limite della congruità della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue, nonché della funzione rieducativa della pena e del divieto di pene contrarie al senso d’umanità . Pertanto, ove le misure in questione non rispondano al fine per cui la legge consente siano adottate, esse diventano ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva , osserva il legale. Entrando poi nei dettagli della vicenda, l’avvocato aggiunge che le lettere trasmesse dal detenuto sottoposto al 41bis al difensore tramite posta elettronica potrebbero essere sottoposte alla ordinaria censura da parte dell’ufficio competente, rimanendo impregiudicate le esigenze di sicurezza l’e-mail sarebbe l’unico strumento idoneo a consentire l’invio di comunicazioni istantanee al difensore l’istituto potrebbe far pagare tale servizio al detenuto, come accade per il servizio postale . Tutte queste considerazioni sono sufficienti, sempre secondo il legale, per considerare la decisione dell’amministrazione penitenziaria ingiustificata e lesiva del diritto di mantenere contatti con il difensore di fiducia, oltre che discriminatorio rispetto agli altri detenuti della casa circondariale di non sottoposti al regime del 41bis , anche tenendo presente che lo stesso Tribunale di sorveglianza ha ammesso che non sarebbe eccessivamente difficoltoso introdurre un meccanismo di controllo di tale strumento elettronico in assoluta sicurezza . I Giudici della Cassazione annotano che la prospettazione fatta dal legale riconduce le modalità di comunicazione tra il detenuto e il proprio difensore nell’alveo del diritto di difesa . Però anche rispetto a tale fondamentale diritto, le relative modalità di esercizio, pur senza intaccarne il relativo svolgimento, possono essere concretamente disciplinate secondo scansioni, temporali e procedimentali, definite dall’amministrazione penitenziaria, che può certamente adottare, attraverso previsioni di carattere generale circolari e regolamento di istituto assunte nell’esercizio della discrezionalità che le compete, disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire, appunto, tempi e modi per la concreta attuazione del diritto , precisano i Giudici. Ebbene, in questo caso, la scelta organizzativa dell’ amministrazione penitenziaria si è certamente esplicata in un ambito di legittima discrezionalità che le norme le consentono pienamente, al fine di contemperare le legittime istanze del detenuto con l’interesse generale sotteso al regime del 41bis . Ciò significa che la mancata previsione, da parte dell’amministrazione penitenziaria, della possibilità di comunicare con il difensore a mezzo di posta elettronica appare immune da qualunque profilo di illogicità o irragionevolezza, essendo coerente con le particolari esigenze dì controllo proprie del regime differenziato. Né può ragionevolmente configurarsi alcuna violazione di norme primarie o secondarie, nemmeno sotto il profilo di una ipotetica disparità di trattamento riservata ai detenuti sottoposti al regime detentivo ordinario , precisano i Giudici. Peraltro, la possibilità, per i detenuti comuni, di fare ricorso allo strumento della posta elettronica è riconducibile a una mera opportunità offerta dall’amministrazione a beneficio dei detenuti cosiddetti comuni ossia assoggettati al regime ordinario , peraltro soltanto in alcuni istituti penitenziari, grazie a una attività di talune cooperative sociali, ovviamente non suscettibili di alcun coinvolgimento in caso di detenuti ristretti in regime di 41bis, rispetto ai quali sono massime le esigenze di controllo al fine di evitare pericolosi contatti con l’ambiente esterno . Impossibile , quindi, ipotizzare una lesione alle facoltà difensive del boss mafioso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 gennaio – 4 maggio 2021, n. 17084 Presidente Sandrini – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 26/9/2019, il Magistrato di sorveglianza di Viterbo respinse il reclamo proposto nell’interesse di D.G.G. , sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., con il quale il detenuto lamentava l’illegittimità del diniego dell’Amministrazione penitenziaria alla sua richiesta di essere autorizzato a usare il servizio di posta elettronica per la corrispondenza con il difensore diniego fondato sulla mancata previsione di tale possibilità da parte della circolare applicabile ai soggetti sottoposti al regime differenziato. Secondo il primo Giudice, infatti, con il reclamo non era stato dedotto un pregiudizio grave e attuale all’esercizio di un diritto derivante dalla violazione di norme dell’ordinamento penitenziario e del suo regolamento di esecuzione, non essendovi alcuna previsione, da parte dell’art. 18 Ord. pen., che disciplinasse le comunicazioni con il difensore e dovendo ritenersi non irragionevole l’esclusione di quel mezzo per quella tipologia di detenuti. 1.1. Con ordinanza in data 4/6/2020, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettò il reclamo proposto personalmente dal detenuto avverso il primo provvedimento, ribadendo che la possibilità di comunicare con il difensore a mezzo della posta elettronica non poteva configurarsi come un diritto e non potendo la scelta dell’Amministrazione ritenersi ingiustificata o irragionevole rispetto alla disciplina dettata per i detenuti comuni, sottoposti a un regime differente. 2. D.G.G. , per mezzo del difensore di fiducia, avv. Valerio Vianello Accorretti, ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, deducendo, con un unico motivo di impugnazione la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 18 Ord. pen., in relazione agli artt. 3, 24 e 27 Cost., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In particolare, il ricorso premette che il regime differenziato è finalizzato a rescindere i collegamenti ancora attuali sia tra detenuti, sia tra gli stessi e i soggetti in libertà che secondo la Consulta e la Corte di cassazione le regole del regime differenziato soggiacciono al limite della congruità della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue, nonché della funzione rieducativa della pena e del divieto di pene contrarie al senso d’umanità cita Corte Cost., n. 351/1996 e n. 97/2020 . Pertanto, ove le misure in questione non rispondano al fine per cui la legge consente siano adottate, esse diventerebbero ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale . Su tali basi, la difesa evidenzia che le lettere trasmesse al difensore tramite posta elettronica potrebbero essere sottoposte alla ordinaria censura da parte dell’ufficio competente, rimanendo impregiudicate le esigenze di sicurezza l’e-mail sarebbe l’unico strumento idoneo a consentire l’invio di comunicazioni istantanee al difensore l’istituto potrebbe far pagare tale servizio al detenuto, come accade per il servizio postale. Su tali premesse, il rigetto del reclamo sarebbe ingiustificato e lesivo del diritto di mantenere contatti con il difensore di fiducia, oltre che discriminatorio rispetto agli altri detenuti della Casa circondariale di Viterbo non sottoposti al regime ex art. 41-bis Ord. pen. Tanto più che, secondo lo stesso Tribunale, non sarebbe eccessivamente difficoltoso introdurre un meccanismo di controllo di tale strumento elettronico in assoluta sicurezza . 3. In data 24/11/2020 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. La prospettazione del ricorrente riconduce le modalità di comunicazione tra il detenuto e il proprio difensore nell’alveo del diritto di difesa. Tuttavia, anche rispetto a tale fondamentale diritto, le relative modalità di esercizio, pur senza intaccarne il relativo svolgimento, possono essere concretamente disciplinate secondo scansioni, temporali e procedimentali, definite dall’Amministrazione penitenziaria, la quale può certamente adottare, attraverso previsioni di carattere generale circolari e regolamento di istituto assunte nell’esercizio della discrezionalità che le pertiene, disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire, appunto, tempi e modi per la concreta attuazione del diritto. In tali casi, come avviene in tutte le ipotesi in cui l’azione amministrativa incide su situazioni di diritto soggettivo, gli atti che contengono tali misure sono assoggettati a un controllo giurisdizionale controllo che, nel caso di soggetti detenuti, spetta alla magistratura di sorveglianza v. Corte Cost., 7 maggio 2013, n. 135 Sez. U, n. 25079 del 26/2/2003, Gianni, in motivazione , alla stregua delle consuete categorie che sostanziano l’eventuale illegittimità degli atti amministrativi competenza, violazione di legge, eccesso di potere. 3. Nel caso in esame, la scelta organizzativa dell’Amministrazione penitenziaria si è certamente esplicata in un ambito di legittima discrezionalità che le norme le consentono pienamente, al fine di contemperare le legittime istanze del detenuto con l’interesse generale sotteso al regime dell’art. 41-bis Ord. pen La Corte costituzionale nella sentenza n. 97/2020 ha chiarito che, in base all’art. 41-bis, comma 2, Ord. Pen., è possibile sospendere solo l’applicazione di regole e istituti dell’ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, sicché non possono essere disposte misure che, a causa del loro contenuto, non siano riconducibili a quelle concrete esigenze, poiché si tratterebbe di misure palesemente incongrue o inidonee rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato. Se ciò accadesse, le misure in questione diventerebbero ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale. 4. Nel caso qui in esame, nondimeno, la mancata previsione, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, della possibilità di comunicare con il difensore a mezzo di posta elettronica appare immune da qualunque profilo di illogicità o irragionevolezza, essendo coerente con le particolari esigenze di controllo proprie del regime differenziato. Nè può ragionevolmente configurarsi alcuna violazione di norme primarie o secondarie, nemmeno sotto il profilo di una ipotetica disparità di trattamento riservata ai detenuti sottoposti al regime detentivo ordinario. Invero, anche a prescindere dal fatto che la possibilità, per i detenuti comuni, di fare ricorso a tale strumento è stata solo prospettata dal ricorso, senza che sia stato specificato quale sia la fonte della disciplina in parola e senza che la circostanza di fatto possa dirsi dimostrata, va in ogni caso osservato che il riconoscimento della relativa facoltà sarebbe riconducibile, anche nella prospettiva segnalata dal ricorso, a una mera opportunità offerta dall’Amministrazione a beneficio dei detenuti cd. comuni ossia assoggettati al regime ordinario , peraltro soltanto in alcuni istituti penitenziari, grazie a una non meglio specificata attività di talune cooperative sociali, ovviamente non suscettibili di alcun coinvolgimento in caso di detenuti ristretti in regime di art. 41-bis Ord. pen., rispetto ai quali sono massime le esigenze di controllo al fine di evitare pericolosi contatti con l’ambiente esterno. Ne consegue, pertanto, la infondatezza della prospettata lesione alle facoltà difensive dell’odierno ricorrente. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.