Operatrice sanitaria e infermiera condannate per aver trascurato una degente della RSA

Confermata in via definitiva la responsabilità penale delle due dipendenti della residenza sanitaria per anziani. Evidenti le loro colpe, consistite nel non prestare adeguata assistenza a una degente di 89 anni, che in appena venti giorni ha avuto un crollo psico-fisico verticale.

Crollo fisico per l’ospite della ‘Residenza sanitaria per anziani’. Crollo dovuto alla scarsa assistenza prestatale da infermiere e operatrici sanitarie. Inevitabile la loro condanna per il reato di lesioni personali colpose . Impossibile accettare come giustificazione il richiamo alle difficoltà causate dall’organico sottodimensionato del personale della struttura a fronte di un cospicuo numero di degenti. Cassazione, sentenza n. 16132/21, sez. IV Penale, depositata il 28 aprile . Sotto accusa un’infermiera professionale e un’operatrice sanitaria, entrambe operative in una ‘Residenza sanitaria per anziani’ ed entrambe accusate di avere causato il drastico peggioramento delle condizioni psico-fisiche di una ospite – 89 anni di età – della struttura. Ricostruita la triste vicenda, i Giudici di merito ritengono evidente, sia in primo che in secondo grado, la colpevolezza delle due donne, che in qualità di infermiera professionale, la prima, e in qualità di operatrice sanitaria, la seconda, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, non accudendo con attenzione e cura una signora di 89 anni, ospite della struttura e, comunque non avvedendosi delle sue sempre più gravi condizioni generali di salute ed omettendo le dovute informazioni al medico o ai responsabili della struttura residenziale ovvero al medico di fiducia della donna, le hanno cagionato lesioni personali gravi , costituite, tra l’altro, da stato di incoscienza, ulcere da decubito con aree necrotiche, grave compromissione della pressione arteriosa, disidratazione, infezione delle vie urinarie , così mettendone in pericolo la vita. Fondamentale la reazione del figlio della donna, il quale, notato che la madre, che si presentava in buone condizioni di salute prima del ricovero presso la ‘Residenza per anziani’ , aveva subito un progressivo, palese, peggioramento, apparendo sempre più assente, con evidente gonfiore alle gambe, nonché in pessime condizioni igienico-sanitarie , e trovatala distesa sul letto e in coma , l’aveva fatta portare al ‘Pronto Soccorso’. Così, grazie alla denuncia del figlio la madre si è salvata ed è venuta alla luce la degradante condizione cui ella era stata sottoposta. Col ricorso in Cassazione l’infermiera e l’operatrice sanitaria provano a ridimensionare le condotte loro attribuite, ponendo in evidenza l’ inadeguatezza dell’organico della struttura per la ridotta presenza di personale rispetto al numero eccessivo dei ricoverati e il decadimento repentino ed imprevedibile delle condizioni della donna . In premessa, i Magistrati tengono a ribadire che come tutti gli operatori di una struttura sanitaria, quale è una ‘R.S.A.’, l’infermiere – e ciò vale anche per l’operatore sanitario – è ex lege portatore di una posizione di garanzia , espressione dell’obbligo di solidarietà, costituzionalmente imposto, nei confronti dei pazienti-degenti, la cui salute egli deve tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità e l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del turno di lavoro . In questa vicenda, invece, sono evidenti, secondo i Giudici, le colpevoli carenze nelle condotte professionali dell’infermiera e dell’operatrice sanitaria. Rilevante, innanzitutto, la testimonianza del medico curante della donna , il quale ha escluso che le gravi condizioni cliniche impossibilità a camminare, difficoltà di deglutizione rappresentassero evoluzione delle originarie patologie, affermando che esse erano insorte successivamente al ricovero nella struttura, atteso che in precedenza la donna si trovava in una situazione stabile e ben controllata attraverso un’adeguata terapia . Identiche conclusioni ha tratto anche il consulente del pubblico ministero, il quale ha altresì affermato che il quadro clinico della degente era ascrivibile alle gravi carenze gestionali della struttura e che i sintomi da lei mostrati da alcuni giorni erano immediatamente percepibili . I Giudici non ignorano il dato costituito dalle gravi carenze strutturali della ‘R.S.A.’, così come accertato dalle successive indagini amministrative , ma, aggiungono, ciò non può liberare infermiera – in servizio il pomeriggio – e operatrice sanitaria – in servizio al mattino – dalle loro evidenti responsabilità. In particolare, alle due donne viene rimproverato di non aver prestato la dovuta attenzione alle condizioni della anziana ospite, il cui progressivo degrado, nel corso dei venti giorni da lei trascorsi nella struttura, era tale da poter essere colto anche dai profani . Irrilevante perciò il richiamo difensivo ai problemi dovuti dalla carenza di organico all’interno della ‘Residenza per anziani’. E quindi condanna confermata sia per l’infermiera che per l’operatrice sanitaria.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 gennaio – 28 aprile 2021, n. 16132 Presidente Serrao – Relatore Dawan Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa che dichiarava V.G. e D.M.M.T. responsabili del reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p., perché la prima unitamente a B.E. , non ricorrente , in qualità di infermiera professionale e la seconda, in qualità di operatrice sanitaria, tutte in servizio presso la Residenza per Anziani Villa Belvedere RSA sita in omissis , per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, non accudendo con attenzione e cura A.A. , di anni 89, ospite della struttura e, comunque non avvedendosi delle ingravescenti condizioni generali di salute della donna ed omettendo le dovute informazioni al medico o ai responsabili della struttura residenziale ovvero al medico di fiducia dell’A. , le cagionavano lesioni personali gravi, costituite da stato di incoscienza, dispersione di urina, edemi declivi, ulcere da decubito con aree necrotiche, grave compromissione della pressione arteriosa, grave ipernatremia con disidratazione, infezione delle vie urinarie con ematuria e piuria, condizioni che esponevano a pericolo la vita della persona offesa accettato in omissis . 2. Nella querela, sporta dal figlio della persona offesa, si rappresentava che questa, in buone condizioni di salute prima del ricovero presso la predetta Residenza per Anziani, aveva subito un progressivo, palese, peggioramento, apparendo sempre più assente, con evidente gonfiore alle gambe, nonché in pessime condizioni igienico-sanitarie, al punto che, in data OMISSIS , il figlio recatosi presso l’anzidetta struttura, la trovava distesa sul letto e in coma il personale gli riferiva che la madre sarebbe morta di lì a poco. Gli accertamenti medici effettuati al Pronto Soccorso, ove la donna veniva trasportata per volere del figlio, rilevavano lo stato più sopra richiamato. 3. Avverso la sentenza di appello ricorrono le imputate, a mezzo dei rispettivi difensori. 2.1. Nell’interesse della V. , si sollevano due motivi con entrambi i quali si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 113, 40, 41 e 590 c.p. e artt. 192 c.p.p. e ss. Il peggioramento delle condizioni di salute della signora A. è avvenuto in maniera repentina ed imprevedibile. L’imputata non aveva mai ricevuto segnalazioni da parte delle RSA al riguardo della persona offesa, atteso che non era suo compito occuparsi di spogliarla, lavarla e cambiarla. Il giudice di appello non ha adeguatamente valutato le ricadute della cattiva gestione della RSA la carenza organizzativa in cui versava la struttura costituisce un’esimente per il sanitario che si trovi ad operare in assenza di strumenti e direttive, considerato altresì che l’imputata doveva gestire, insieme a sole altre due infermiere, ben 41 pazienti. 2.2. Il ricorso dell’imputata D.M. consta di un solo motivo con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli art. 113, 40, 41, 42, 590 c.p. e art. 192 c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato contraddittorietà e illogicità della motivazione. La Corte territoriale non ha adeguatamente considerato la gravissima situazione di carenza di organico in cui l’imputata si trovava ad operare. Non corrisponde al vero che le condizioni della persona offesa si siano progressivamente aggravate nel corso dei venti giorni di ricovero presso la struttura sanitaria, posto che dalle stesse dichiarazioni della nuora della donna si evinceva che non era così evidente il progressivo peggioramento delle sue condizioni. Al momento dell’ingresso della A. nella RSA non era stato affatto prescritto un piano di mobilizzazione della degente. La motivazione non rispetta i principi del ragionamento probatorio di cui all’art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e , non essendosi la Corte territoriale domandata se, nel caso concreto, poteva esigersi dall’imputata il rispetto della regola cautelare idonea ad evitare l’evento. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Entrambi, infatti, sviluppano generiche valutazioni in fatto, precluse in quanto tali al vaglio di legittimità, le quali, peraltro, sono anche manifestamente infondate. Occorre ricordare che contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, innanzitutto e indefettibilmente, il confronto puntuale cioè, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento che si contesta. A fronte delle puntuali e corrette argomentazioni svolte dalla Corte di appello di Genova, le ricorrenti, senza illustrare le ragioni di diritto che le sorreggono, si limitano a censure oltremodo generiche e aspecifiche, ripropositive di censure già adeguatamente vagliate e disattese dai giudici di merito. 3. Le doglianze espresse nei ricorsi sono sovrapponibili e possono, pertanto, essere trattate congiuntamente. Così come era avvenuto per i rispettivi atti di appello, i ricorsi fanno leva, al fine di escludere la responsabilità penale delle imputate, su un duplice ordine di ragioni l’inadeguatezza organica della struttura per la ridotta presenza di personale rispetto al numero eccessivo e fuori regola dei ricoverati e il decadimento repentino ed imprevedibile delle condizioni della donna. Argomentazioni, entrambe, che la Corte territoriale confuta con motivazione congrua e corretta in diritto. Occorre premettere che, come tutti gli operatori di una struttura sanitaria, quale è una R.S.A., l’infermiere - e valga anche per l’operatore sanitario - è ex lege portatore di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà, costituzionalmente imposto dagli artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti/degenti, la cui salute egli deve tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità l’obbligo di protezione perdura per l’intero tempo del turno di lavoro Sez. 4, n. 39256 del 29/03/2019, Parkhomenko Inna, Rv. 277192 Sez. 4, n. 2192 del 10/12/2014, dep. 2015, Leonardi, Rv. 261776 Sez. 4, n. 9638 del 02/03/2000, Troiano e altri, Rv. 217477 . L’affermazione di colpevolezza delle odierne ricorrenti, sintonica nelle due sentenze di merito, poggia su un compendio probatorio, ampio e convergente. Nella sua testimonianza, il medico curante aveva escluso che le gravi condizioni cliniche impossibilità a camminare, difficoltà di deglutizione rappresentassero evoluzione delle originarie patologie, affermando che le stesse erano insorte successivamente al ricovero nella struttura, atteso che in precedenza la donna si trovava in una situazione stabile e ben controllata attraverso un’adeguata terapia alle medesime conclusioni era pervenuto il consulente del pubblico ministero il quale aveva, altresì affermato, che il quadro clinico della degente era ascrivibile alle gravi carenze gestionali della struttura e che i sintomi da questa mostrati da alcuni giorni erano immediatamente percepibili la nuora della persona offesa riferiva di aver assistito ad un graduale peggioramento della suocera, attestato altresì dal medico del Pronto Soccorso, il quale aveva evidenziato, oltre allo stato di incoscienza e al grave quadro di shock settico, ulcere da decubito e necrosi, considerando la A. in imminente pericolo di vita. La sentenza impugnata ricorda, poi, che alcune dipendenti di Villa Belvedere avevano dichiarato che erano le infermiere a controllare, di solito, che gli ospiti non avessero piaghe da decubito e che le operatrici sanitarie segnalavano verbalmente eventuali problematiche, annotandole a fine giornata sul quaderno delle consegne in caso di necessità, le infermiere aiutavano le operatrici sanitarie anche nella cura generale dei pazienti. Ciò detto, alla Corte di appello non è certo sfuggito il dato costituito dalle gravi carenze strutturali, su più piani, della R.S.A., così come accertato dalle successive indagini amministrative, ma ha esattamente ritenuto che esse non esimessero le odierne ricorrenti da responsabilità. Durante la degenza della persona offesa, la D.M. risultava in servizio al mattino, la V. il pomeriggio. A loro viene, in particolare, rimproverato di non aver prestato la dovuta attenzione alle condizioni della A. il cui progressivo degrado, nel corso dei venti giorni da lei trascorsi nella struttura, era tale da poter essere colto anche dai profani. La tesi difensiva, proposta da entrambe le ricorrenti, volta a dedurre responsabilità altrui, ivi compresa, come si è detto, quella della struttura, non può trovare accoglimento, atteso quanto più sopra si è ricordato con riguardo alla posizione di garanzia rivestita da ciascuna imputata. Peraltro, una volta acclarata la posizione di garanzia ricoperta dall’autore del fatto, eventuali ulteriori condotte o fattori che si innestino nel meccanismo causale sono di regola irrilevanti. Al riguardo, infatti, occorre richiamare il consolidato principio di questa Corte secondo cui, in caso di condotte colpose indipendenti, non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, De Fina, Rv. 271521 . In conclusione, la Corte territoriale ha congruamente elaborato, sul piano logico e argomentativo, il complesso degli elementi probatori acquisiti al processo, e correttamente condotto la valutazione giuridica del comportamento dell’imputate, apparendo largamente irrilevante l’incidenza delle circostanze di fatto in questa sede dedotte dalle ricorrenti. 4. All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuna in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuna in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.