Precedenti penali e fine pena lontano non bastano per negare i domiciliari al camorrista pentito

Riprende vigore la richiesta dell’oramai ex esponente della camorra, inquadrato come killer. Possibile, secondo i Giudici, la concessione della detenzione domiciliare. A suo favore gli anni da collaboratore di giustizia e la condotta irreprensibile all’interno del carcere.

Il corposo curriculum criminale e la lontananza nel tempo del fine pena non bastano per negare la detenzione domiciliare all’ esponente della camorra che però ha mostrato di avere rinnegato la sua vecchia vita da killer, collaborando con la giustizia e tenendo una condotta esemplare non solo dentro il carcere ma anche fuori, in occasione dei permessi concessigli per fare visita alla madre e alla sorella Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 15285/21, depositata il 22 aprile . Sul tavolo dei Giudici la richiesta di detenzione domiciliare presentata da un giovane ex esponente – inquadrato come killer – della camorra. Il Tribunale di sorveglianza prende atto che l’uomo collabora con la giustizia da diversi anni, annota il parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia circa la serietà del percorso collaborativo e la valutazione della Direzione Distrettuale Antimafia sull’utilità delle sue dichiarazioni in moltissimi procedimenti, nonché la positiva relazione di sintesi della casa di reclusione , ma, alla fine, nega la misura alternativa della detenzione domiciliare , ponendo in evidenza i gravi e numerosi precedenti penali del condannato e il ‘fine pena’ ancora lontano . Questa decisione viene fortemente contestata dal difensore dell’uomo. Consequenziale il ricorso in Cassazione, mirato a evidenziare non solo l’operato da collaboratore di giustizia ma anche la condotta irreprensibile sia all’interno dell’istituto penitenziario, in cui l’uomo ha partecipato alle attività rieducative e lavorative, che all’esterno, mediante la fruizione di ‘permessi premio’ . Secondo il legale, è evidente l’errore compiuto dal Tribunale di sorveglianza, che ha deciso poggiandosi solo sul curriculum criminale del condannato e sul ‘fine pena’ lontano . Il quadro tracciato dall’avvocato è ritenuto convincente dai Giudici della Cassazione e sufficiente a mettere in discussione la decisione presa dal Tribunale di sorveglianza. Anche per i Giudici di terzo grado, difatti, non può bastare il riferimento passato criminale del condannato – che ha frequentato due differenti clan, ha commesso il primo omicidio in danno di una persona che aveva attentato alla sua vita, e, dopo avere concorso nell’omicidio di una persona diversa da quella che doveva essere uccisa, è caduto in un profondo stato di prostrazione, tanto da decidere di collaborare con la giustizia – per negargli la detenzione domiciliare, soprattutto perché sono acclarate le positive caratteristiche della sua collaborazione e la buona partecipazione alle attività trattamentali , tra cui corsi di teatro, di musicoterapia e scolastici, nonché alle attività lavorative, partecipazione per la quale l’uomo risulta avere ottenuto la ricompensa dell’encomio . Da tener presenti, poi, anche la corretta fruizione di ‘permessi premio’ per andare a trovare madre e sorella, e il parere favorevole espresso dal ‘gruppo osservazione e trattamento’ dell’istituto penitenziario, facente leva proprio sul serio percorso di revisione critica intrapreso dal condannato in merito al suo vissuto da cui sembra essersi allontanato . Tutti gli elementi a disposizione paiono sufficienti per la concessione della detenzione domiciliare – anche se su questo fronte dovrà nuovamente pronunciarsi il Tribunale di sorveglianza –, mentre non è condivisibile, spiegano dalla Cassazione, ipotizzare una più approfondita indagine personologica per la verifica del processo di rivisitazione critica del passato deviante e della solidità del percorso di ravvedimento, anche per comprendere il definitivo e non meramente utilitaristico allontanamento dalle logiche criminali di appartenenza e per confermare la affidabilità esterna mediante l’ulteriore fruizione di ‘permessi premio’ . Anche perché hanno un peso specifico i ‘permessi premio’ concessi nell’arco di ben due anni , comunque, osservano i magistrati, è difficile sostenere ancora la pericolosità sociale del condannato dopo otto anni di dissociazione dal contesto criminale di appartenenza , come certificato dal Procuratore Nazionale Antimafia, e dopo anni di irreprensibile condotta in carcere .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 febbraio – 22 aprile 2021, n. 15282 Presidente Di Tomassi – Relatore Di Giuro Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di detenzione domiciliare ex art. 47 ter Ord. pen. e D.L. n. 8 del 1991, art. 16 nonies formulata nell’interesse di M.G. . 2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione, tramite il proprio difensore, M. , lamentando violazione di legge, in relazione ai suddetti articoli, e vizio di motivazione circa i presupposti previsti per la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare ad un collaboratore di giustizia. Rileva la difesa che - M.G. iniziava a collaborare con la giustizia dal 2012 - il Tribunale di sorveglianza ha rigettato la richiesta di detenzione domiciliare, nonostante il parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia circa la serietà del percorso collaborativo e la valutazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli dell’utilità delle sue dichiarazioni in moltissimi procedimenti, nonché la positiva relazione di sintesi della Casa di reclusione di Paliano - detto Tribunale non ha considerato gli anni di proficua collaborazione e la condotta irreprensibile di M. sia all’interno dell’istituto penitenziario, in cui ha partecipato alle attività rieducative e lavorative, che all’esterno mediante la fruizione di permessi premio - ha, quindi, fondato il rigetto sul solo curriculum criminale del condannato e sul fine pena lontano, e ciò in contraddizione con i molteplici elementi positivi di cui lo stesso Tribunale di sorveglianza dà atto, che avrebbero dovuto indurre a conclusioni diametralmente opposte. Il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati. Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova quanto in particolare all’affidamento in prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali considerazioni, peraltro, devono essere inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione - che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi - oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, però, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e le condizioni che rendano possibile formulare la prognosi positiva richiesta per la misura alternativa richiesta che per la detenzione domiciliare consistono essenzialmente nella assenza di pericolo di recidiva . Nel caso in esame il provvedimento impugnato non ha fatto buon governo dei principi sopra indicati ed è incorso nella carenza motivazionale lamentata. Risulta essersi incentrato soltanto sui gravi e numerosi precedenti penali del condannato e sul fine pena ancora lontano . Ha, invero, valorizzato il passato criminale deviante e criminale di M. , che riferisce di avere frequentato fin da giovane il clan P. , dopo aver stretto amicizia con il figlio del boss, di essere poi transitato nel 2012 nel clan A. -Ab. -N. , di avere ivi commesso il primo omicidio in danno di una persona che aveva attentato alla sua vita, e, dopo avere concorso nell’omicidio di una persona diversa da quella che doveva essere uccisa, di essere caduto in un profondo stato di prostrazione e avere, quindi, deciso di collaborare con la giustizia. E, pur riconoscendo le positive caratteristiche della collaborazione resa dal M. e la buona partecipazione alle attività trattamentali , tra cui corsi di teatro, di musicoterapia e scolastici, nonché alle attività lavorative, partecipazione per la quale il collaboratore risulta avere ottenuto la ricompensa dell’encomio , e dando atto della fruizione dal 2018 di permessi premio senza rilievi, per andare a trovare madre e sorella nel domicilio protetto, e del parere favorevole alla concessione del beneficio da parte del GOT, facente leva proprio sul serio percorso di revisione critica intrapreso da M. del suo vissuto da cui sembra essersi allontanato, ritiene, contraddittoriamente, necessaria una più approfondita indagine personologica per la verifica del processo di rivisitazione critica del passato deviante e della solidità del percorso di ravvedimento, anche per comprendere il definitivo e non meramente utilitaristico allontanamento di questo dalle logiche criminali di appartenenza e per confermare la sua affidabilità esterna mediante l’ulteriore fruizione di permessi premio . Senza spiegare perché a tale ultimo fine non siano stati sufficienti i permessi premio concessi nell’arco di ben due anni e perché la pericolosità sociale di M. debba essere considerata ancora attuale, dopo otto anni di dissociazione dal contesto criminale di appartenenza di cui dà atto il Procuratore Nazionale Antimafia e dopo anni di irreprensibile condotta penitenziaria. 2. Si impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.