Ubriaco in sella, fa salire un amico: condannato

All’origine della vicenda il drammatico impatto tra una vettura e una moto. A rimetterci è il passeggero della due ruote riporta un trauma cranico letale. La responsabilità dell’incidente è dell’automobilista. Ma il motociclista è comunque colpevole per essersi messo in sella dopo avere assunto alcolici e per avere fatto salire come passeggero un amico.

Drammatico incidente stradale una vettura non tiene la strada e centra una moto proveniente nella direzione opposta. Le conseguenze peggiori sono per il passeggero della due ruote le lesioni riportate ne provocano la morte. Sotto accusa, ovviamente, l’automobilista. Ma a essere colpevole è anche il motociclista, che non solo si è posto alla guida dopo avere assunto sostanze alcoliche ma ha messo scientemente in pericolo anche l’amico, facendolo salire come passeggero e dando così il ‘la’ alla sequela di eventi che ha portato al suo decesso Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 14609/21, depositata il 20 aprile . Ricostruito il terribile episodio, i Giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza del motociclista , sanzionato con un mese di arresto e 1.000 euro di ammenda per essersi posto alla guida della propria moto in stato di ebbrezza alcolica . A rendere grave la condotta tenuta dal conducente della due ruote è non solo l’essersi messo alla guida dopo avere bevuto alcolici ma anche l’aver consentito all’ amico – poi deceduto, a causa dell’incidente, per il trauma cranico riportato – di salire sulla moto come passeggero . Evidente, secondo i Giudici, l’inaccettabilità delle azioni compiute dall’uomo. Il difensore del motociclista contesta la valutazione compiuta in Appello e prova a ridimensionare la posizione del proprio cliente. In particolare, il legale pone in evidenza che il motociclista è stato assolto dall’accusa di omicidio colposo dell’amico mentre è stata riconosciuta la responsabilità del solo conducente dell’automobile . Di conseguenza, si deve ritenere verosimile che il motociclista, anche se non avesse assunto sostanze alcoliche, non sarebbe comunque riuscito ad evitare lo scontro , chiosa il legale. In aggiunta, poi, viene anche posto in evidenza, sempre in ottica difensiva, che il motociclista viaggiava ad una velocità inferiore al limite massimo consentito di 40 chilometri orari e aveva posto in essere una manovra di fortuna, piegando la moto nel vano tentativo di evitare l’urto con l’automobile . Tutti questi elementi non sono sufficienti, però, secondo i Giudici della Cassazione, per ridimensionare le accuse a carico del motociclista. Su questo fronte il Codice Penale correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo . E in questa ottica vanno tenuti presenti, sottolineano dalla Cassazione, le plurime circostanze, tutte distoniche con la causa di non punibilità invocata valorizzate in Appello. Più precisamente, non si può trascurare che l’uomo si era posto alla guida di una potente motocicletta, cioè di un veicolo per la cui condizione servono una speciale abilità ed un’attenzione assai vigile, avendo assunto bevande alcoliche in misura tale che, ancora a diverso tempo dall’incidente, nel sangue v’era una concentrazione alcolica di ben 0,94 grammi per litro e che in detta circostanza aveva fatto salire come passeggero l’amico poi deceduto nel successivo incidente , esponendolo ai rischi elevati derivanti dall’assunzione di alcolici in quantità non modesta . Inequivocabile, quindi, il contesto dell’intera vicenda. Definitiva perciò la condanna del motociclista.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1 dicembre 2020 – 20 aprile 2021, n. 14609 Presidente Ciampi – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di Oristano del 18 febbraio 2019, con cui S.S. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi uno di arresto ed Euro mille di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, per essersi posto alla guida, in stato di ebbrezza alcolica g/l 0,94 del motociclo Yamaha R6 tg. in omissis . La sera del omissis , la Dacia Duster guidata da P.S. invadeva improvvisamente la carreggiata e si scontrava con la moto condotta da S.S. , causando la caduta sua e del passeggero, il giovane M.M. , che perdeva la vita in conseguenza del trauma cranico subito. La Corte territoriale ha escluso la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131 bis c.p 2. Il S. , a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 131 bis c.p Si deduce che il S. era stato assolto dall’accusa di omicidio colposo dell’amico e che era stata riconosciuta la responsabilità del solo conducente dell’auto Dacia. Per tale ragione doveva ritenersi verosimile che il S. , anche se non avesse assunto sostanze alcoliche, non sarebbe comunque riuscito ad evitare lo scontro. Il S. , peraltro, viaggiava ad una velocità inferiore al limite massimo consentito di 40 km/h e aveva posto in essere una manovra di fortuna, piegando la moto nel vano tentativo di evitare l’urto con l’auto. L’alcol è eliminato ad una velocità di 0,015 BAC concentrazione di alcol nel sangue per ora ne consegue che una persona con un BAC di 0,05% impiega tre ore e mezzo per eliminare l’alcol dal corpo. Pertanto, stante la lentezza nell’eliminazione del sangue dal corpo dell’assuntore, verosimilmente il tasso alcolico presente nel sangue del S. era simile a quello riscontrato al momento dell’arrivo in ospedale. 2.1. Nelle conclusioni scritte il ricorrente evidenzia che, sebbene la motivazione circa l’esclusione della causa di non punibilità non comporti l’obbligo di analizzare tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., nella fattispecie non erano emersi di rilevanza tale da escludere la formulazione di una prognosi favorevole all’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. In ordine all’unico motivo di ricorso, va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., comma 1, ma non occorre la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 . La norma di cui all’art. 131 bis c.p. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133 c.p., comma 1, e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al comma 2, includenti la condotta susseguente al reato Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278555 . Ciò posto sui principi di diritto operanti in materia, la Corte di appello ha logicamente evidenziato plurime circostanze, tutte distoniche con la causa di non punibilità invocata, evidenziando che il S. si era posto alla guida di una potente motocicletta, cioè di un veicolo per la cui condizione servono una speciale abilità ed un’attenzione assai vigile, avendo assunto bevande alcoliche in misura tale che, ancora a diverso tempo dall’incidente, nel sangue v’era una concentrazione alcolica di ben 0,94 gli e che, in detta circostanza, aveva fatto salire come passeggero l’amico poi deceduto nel successivo incidente, esponendolo ai rischi elevati derivanti dall’assunzione di alcolici in quantità non modesta. Il S. affronta in dettaglio il tema del tasso alcolemico, formulando censure non deducibili in sede di legittimità, a fronte di un ampio ed articolato apparato motivazionale della sentenza impugnata, che ha svolto un adeguato approfondimento del contesto dell’intera vicenda criminosa, nel corso della quale si era verificato l’evento letale ai danni dell’amico dell’imputato. 2. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.