Ristrutturazione a rilento, costi gonfiati e casa ridotta a un cantiere: artigiano condannato

Vittima una persona affetta da una insufficienza mentale. Per diverso tempo è stata obbligata a vivere in una condizione di degrado a causa del cantiere perenne presente dentro casa. L’artigiano ha portato avanti a rilento i lavori di ristrutturazione ma contemporaneamente ha chiesto e ottenuto dal suo cliente ripetuti acconti.

Lavori a rilento, casa ridotta a un cantiere e costi gonfiati così l’artigiano edile si è approfittato del suo cliente, una persona facilmente raggirabile. Questo deprecabile comportamento gli costa però carissimo condanna penale per circonvenzione di incapace e obbligo di risarcire la parte lesa versandole 60mila euro Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 14554/21, depositata il 19 aprile . Scenario dell’assurda vicenda è la provincia friulana. Lì la conoscenza tra due uomini – Dario e Italo, nomi di fantasia – dà origine a un incarico lavorativo – per la ristrutturazione di una casa – che si tramuta in una sorta di odissea, culminata poi in una battaglia giudiziaria. Tutto comincia quando Dario – persona affetta da un’insufficienza mentale di grado lieve-moderato – affida a Italo il compito di ristrutturargli casa. I lavori partono ma, nonostante il trascorrere del tempo, vanno sempre più a rilento , pur provvedendo Dario a versare ripetuti acconti a Italo. Alla fine, con l’appartamento che è un cantiere aperto e Dario costretto a vivere per quasi due anni senza luce e gas, con il pavimento allo stato grezzo e i servizi igienici separati, Italo ha incassato circa 60mila euro, tra assegni e contanti . Inevitabile l’intervento dell’amministratore di sostegno di Dario. Consequenziale l’azione giudiziaria nei confronti di Italo, che si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per circonvenzione di incapace , avendo egli percepito circa 60mila euro per lavori di ristrutturazione che potevano ammontare al massimo a 35mila euro circa . Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’artigiano. Per i Giudici di terzo grado, difatti, per parlare, in questa vicenda, di circonvenzione di incapace ai danni di Dario non è necessario verificare con esattezza il valore dei lavori eseguiti rispetto a quelli appaltati, essendo sufficiente la differenza tra quelli pagati e quelli eseguiti . Anche perché l’atto pregiudizievole perpetrato da Italo non va ravvisato nella eccessiva onerosità del contratto di appalto per la ristrutturazione della casa, ma nel pagamento di ingenti acconti superiori all’importo complessivo convenuto, ancora prima del completamento dei lavori . A sostegno di questa visione, poi, anche le conclusioni di un geometra, il quale ha riferito che rispetto alla consistenza dei lavori appaltati, gli interventi, che si protraevano da oltre un anno, con disagio per Dario che non aveva altro luogo dove abitare, non erano per nulla completati ed erano stati realizzati in minima parte, sicché avevano un valore di circa 12mila euro, di gran lunga inferiore agli acconti già percepiti da Italo. In sostanza, l’artigiano ha approfittato della condizione di fragilità psichica della persona offesa e l’ha indotta a versare somme di denaro indebite, non connesse allo stato di avanzamento dei lavori e gli ha cagionato un grave pregiudizio in ragione dell’ingiustificato ritardo nell’esecuzione dei lavori appaltati , peraltro impedendogli di abitare in un ambiente confortevole . Sacrosanta, quindi, anche la cifra stabilita in Appello come risarcimento in favore di Dario. Su questo fronte i magistrati del ‘Palazzaccio’ sottolineano non soltanto il danno patrimoniale ma anche il danno morale cagionato alla persona offesa dal disagio procuratole per avere l’artigiano prolungato arbitrariamente i lavori di ristrutturazione , costringendo Dario a una evidente situazione di degrado.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 febbraio – 19 aprile 2021, n. 14554 Presidente Cervadoro – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza resa il 3 marzo 2017 dal Tribunale di Udine che ha dichiarato la responsabilità di L.C. in ordine al delitto di circonvenzione di incapace in danno di C.G. , che induceva a corrispondere la complessiva somma di 60.400 Euro quale corrispettivo per lavori di ristrutturazione che potevano ammontare al più a 35.000 Euro circa. 2. Avverso la detta sentenza propone ricorso l’imputato deducendo 2.1 violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1 per mancata assunzione di una prova decisiva a discarico, avendone la parte fatto richiesta nel corso dell’istruttoria dibattimentale, e vizio di motivazione in ordine al diniego della richiesta di perizia tecnica d’ufficio avente ad oggetto la quantificazione delle opere appaltate ed eseguite dall’imputato. La corte ha fondato il proprio convincimento su una relazione tecnica relativa al valore delle opere eseguite nell’appartamento della persona offesa, commissionata dall’amministratore di sostegno, ma tale consulenza risulta fallace e non tiene in considerazione tutti i lavori effettivamente svolti dall’imputato. La corte ha ritenuto non necessario l’accertamento peritale chiesto dalla difesa, ma nell’affermare che l’importo degli acconti versati dalla persona offesa eccedeva il valore delle opere realizzate è incorsa in diverse contraddizioni logiche. Inoltre le affermazioni del teste di P.G. secondo cui gli acconti sarebbero superiori ai 60.400 Euro documentati è basata su considerazioni erronee che avrebbero reso assolutamente necessario un accertamento peritale. 2.2 Violazione di legge nella parte in cui si afferma che il pregiudizio patrimoniale per la persona offesa del reato di circonvenzione di incapace sia ravvisabile nella mera circostanza che in corso d’opera i lavori pagati siano superiori a quelli eseguiti. Il reato di circonvenzione di incapace ricorre laddove vi sia un’induzione a compiere un atto di disposizione pregiudizievole per il soggetto passivo, abusando dello stato di vulnerabilità, ma tale pregiudizio non può essere integrato dal pagamento in adempimento di un regolare contratto di appalto. 2.3 Vizio di motivazione in punto di risarcimento del danno in favore della parte civile nella misura di 60.000 Euro poiché non tiene conto del valore delle opere effettivamente eseguite. Considerato in diritto 1.II ricorso è inammissibile. Va ribadito in questa sede che al Giudice di legittimità è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, è - e resta - giudice della motivazione. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 . La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in ordine al giudizio di colpevolezza, in relazione a tutti i profili dedotti dal ricorrente, e le argomentazioni della corte non risultano apparenti, nè manifestamente illogiche o contraddittorie. Per contro deve osservarsi che il ricorrente, pur deducendo formalmente vizi della motivazione e violazioni di legge nella valutazione del materiale probatorio, reitera in maniera pedissequa le censure formulate con l’atto di gravame e tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. 1.1 Il primo motivo è inammissibile perché generico in quanto non si confronta con le specifiche argomentazioni della corte d’appello, la quale ha correttamente escluso la necessità di procedere ex art. 603 c.p.p. ad un accertamento peritale in ordine alla consistenza del valore dei lavori effettuati dall’imputato, sul rilievo che il delitto di circonvenzione di incapace è un reato di pericolo ed è sufficiente che il soggetto incapace compia, per effetto dell’induzione posta in essere dall’agente, un atto che abbia la potenziale capacità di cagionargli un pregiudizio patrimoniale. Non è pertanto necessario, alla stregua della consulenza già acquisita, verificare con esattezza il valore dei lavori eseguiti rispetto a quelli appaltati, essendo sufficiente che risulti comunque una differenza tra quelli pagati e quelli eseguiti, considerato che, nella prospettazione accusatoria, l’atto pregiudizievole non è stato ravvisato nella eccessiva onerosità, pure sussistente, del contratto di appalto per la ristrutturazione dei lavori, ma nel pagamento di ingenti acconti superiori all’importo complessivo convenuto, ancora prima del completamento dei lavori. La corte inoltre ha precisato che la difesa non ha contestato le conclusioni cui è pervenuto il geometra incaricato dall’amministratore di sostegno P.D. , il quale ha riferito che rispetto alla consistenza dei lavori appaltati gli interventi, che si protraevano da oltre un anno, con disagio per la persona offesa che non aveva altro luogo dove abitare, non erano per nulla completati ed erano stati realizzati in minima parte, sicché avevano un valore di circa 12.000 Euro, di gran lunga inferiore agli acconti già versati dalla persona offesa. 1.2 Il secondo motivo è manifestamente infondato poiché la corte ha ben spiegato come l’imputato,approfittando della condizione di fragilità psichica della persona offesa, lo abbia indotto a versare somme di denaro indebite, non connesse allo stato avanzamento lavori e abbia cagionato un grave pregiudizio in ragione dell’ingiustificato ritardo nell’esecuzione dei lavori appaltati. 1.3 II motivo è inammissibile poiché contiene in sostanza censure di merito in quanto lamenta l’eccessiva onerosità della condanna al risarcimento del danno, senza confrontarsi con le argomentazioni al riguardo svolte dalla corte, che ha valorizzato non soltanto il danno patrimoniale ma anche il danno morale cagionato alla persona offesa dal disagio procuratole per avere prolungato arbitrariamente i lavori di ristrutturazione, impedendogli di abitare in un ambiente confortevole. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si ritiene congrua determinare in 2000 Euro in favore della Cassa delle Ammende. Nulla si ritiene di liquidare in favore della parte civile costituita, che si è limitata a richiamare nella sua memoria le conclusioni del Procuratore Generale e a depositare la richiesta di liquidazione senza svolgere alcuna attività processuale in ipotesi di rilievo ai fini della decisione. v. sul punto Sez. 2 -, Sentenza n. 24619 del 02/07/2020 Ud. dep. 01/09/2020 Rv. 279551 - 02 . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 favore della Cassa delle Ammende.