Sesso mercenario, il cliente paga per tenere segreta la cosa: è estorsione

Condannate una lucciola” e una sua conoscente che hanno preso di mira un uomo anziano, minacciandolo di far conoscere la sua abitudine ad avere rapporti sessuali a pagamento e ottenendo denaro per il loro silenzio.

Condannata la lucciola” che minaccia un cliente di rendere pubblici i rapporti sessuali avuti con lui e si fa pagare per tacere. Logico parlare di estorsione Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 14222/21, depositata il 15 aprile . Ricostruita la delicata vicenda, che vede coinvolte due donne – Carla e Daria, nomi di fantasia – e un uomo anziano – Rosario, nome di fantasia –, i Giudici di merito non mostrano dubbi Carla e Daria vanno condannate perché responsabili di estorsione in concorso ai danni di Rosario. Quest’ultimo è stato difatti costretto a consegnare alle due donne alcune somme di denaro dopo avere subito la minaccia di vedere resi noti ai figli gli incontri a carattere sessuale da lui avuti, dopo aver pagato, con Daria. A rendere più grave l’azione criminosa delle due donne è, secondo i Giudici, anche l’età avanzata dell’uomo finito nella loro rete. In Cassazione le due donne provano a dare una lettura diversa della vicenda, sostenendo che il denaro dato loro da Rosario non possa essere considerato frutto di estorsione, vista, a loro dire, l’assenza di elementi attestanti una minaccia nei suoi confronti o una coartazione della sua volontà . Questa ricostruzione è però troppo fragile e non in grado di mettere in discussione il giudizio pronunciato in Appello. Difatti, dalla Cassazione arriva la conferma della condanna delle due donne, entrambe colpevoli di estorsione ai danni di Rosario, costretto a dare loro del denaro per evitare di vedere concretizzata la minaccia di rendere pubblica la notizia dei rapporti sessuali a pagamento da lui avuti con Daria.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 marzo – 15 aprile 2021, n. 14222 Presidente Cammino – Relatore Agostinacchio Fatto e diritto 1. Con sentenza del 12/02/2019 la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia del Tribunale di Sciacca del 16/02/2017 con la quale S.A. e B.J. erano state condannate a pene differentemente determinate, perché responsabili di estorsione in concorso in danno di I.S. , costretto a consegnare loro somme di denaro con la minaccia di rendere noti ai figli incontri a carattere sessuale avuti con la B. . 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambe le imputate, tramite i rispettivi difensori di fiducia. 3. La B. ha eccepito l’inutilizzabilità ex artt. 192 e 512 c.p.p., della denuncia, dei verbali di sommarie informazioni testimoniali e di riconoscimento fotografico provenienti dalla persona offesa ed acquisiti al fascicolo del dibattimento con ordinanza del 24/03/2016, perché in contrasto con norme costituzionali art. 111 e in violazione del principio del giusto processo. La contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5 e l’avanzata età dell’Interrante avrebbero dovuto far ritenere prevedibile l’insorgenza di una malattia invalidante e suggerire l’acquisizione della prova dichiarativa mediante incidente probatorio. Ha eccepito inoltre il vizio di motivazione circa la valutazione delle prove a base del giudizio di responsabilità testimonianze di familiari della persona offesa, interessati alla conservazione del patrimonio di costui , in assenza di elementi attestanti minaccia o coartazione della volontà. Ha infine lamentato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione. 4. La S. ha censurato con un unico motivo la mancata assunzione di una prova decisiva perizia in grado di appello al fine di valutare la capacità di intendere e di volere all’epoca di commissione del reato in considerazione delle contrastanti conclusioni mediche acquisite nel precedente grado di giudizio. 3. I ricorsi sono inammissibili perché reiterano i motivi prospettati con gli atti di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato Cass. sez. 2, sent. n. 27816 del 22/03/2019 - dep. 24/06/2019 - Rv. 276970 . 4. La corte territoriale ha infatti sottolineato che l’avanzata età non aveva reso di per sé prevedibile l’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni in precedenza rese dalla persona offesa quale presupposto per la loro utilizzazione in giudizio, evidenziando che solo molti anni dopo i fatti in esame la vittima si era ammalata di Alzheimer , patologia invalidante non prognosticabile al momento dell’escussione ha correttamente richiamato a riguardo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità Cass. sez. 4, sent. n. 24688 del 03/03/2016 - dep. 14/06/2016 - Rv. 267228 . Ha inoltre giustificato le ragioni della mancata rinnovazione istruttoria sulla capacità d’intendere e di volere della S. , attesa la completezza del quadro diagnostico in merito, sulla base della documentazione medica e dell’approfondimento peritale eseguito in primo grado, attestante - sempre con riferimento all’epoca dei fatti - un’alterazione della personalità in fase iniziale e solo in seguito aggravatasi, sino a divenire disturbo psicotico. 5. Circa l’accertamento di responsabilità, va rilevato che con doppia pronuncia conforme di condanna e analisi in fatto immune da rilievi sulla tenuta logica del ragionamento, i giudici di merito hanno stabilito la sussistenza della condotta estorsiva per la minaccia di rendere pubblica la notizia dei rapporti sessuali a pagamento con la B. , con l’ausilio della S. , e per l’ingiusto profitto conseguente all’elargizione di somme di danaro ottenute in tal modo dalla vittima. Il quadro probatorio - costituito da prove dichiarative di riscontro alle dichiarazioni dell’Interrante rese in fase predibattimentale e dall’esito degli accertamenti di polizia giudiziaria - è stato confutato in termini del tutto generici. 6. Anche il rilievo della B. sul trattamento sanzionatorio è all’evidenza infondato avendo la corte territoriale posto l’accento sulla minima entità della riduzione ulteriormente richiesta per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a fronte di una condotta in sé grave. 7. L’inammissibilità dei ricorsi determina, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Sentenza a motivazione semplificata.