“Dammi la fede”: tono e contesto rendono più grave la rapina

Confermata in Cassazione la valutazione compiuta in Tribunale. I dettagli dell’episodio e il tono usato dal rapinatore sono sufficienti per parlare di rapina aggravata dalla minaccia.

Prima gli ha scippato catenina e braccialetto, poi gli ha ordinato di consegnare anche la fede nuziale. Il tono minaccioso e il contesto dell’episodio sono sufficienti, secondo i Giudici, per parlare di rapina aggravata Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 13641/21, depositata il 12 aprile . In Tribunale viene accolto l’appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero e mirato alla riqualificazione dell’episodio, che viene catalogato non più come furto con strappo aggravato dalla minore difesa bensì come rapina aggravata . Questa modifica viene contestata dall’uomo sotto processo, il quale propone ricorso in Cassazione, mettendo sul tavolo le dichiarazioni della persona offesa, la quale ha escluso di essere stata minacciata e sottolineando l’assenza di specifiche circostanze di tempo e di luogo tali da indurre la persona offesa a provare detto timore . I Giudici di terzo grado ribattono richiamando la ricostruzione dell’episodio. In particolare, viene posto in evidenza che la sottrazione della fede nuziale , a differenza di quella della catenina e del braccialetto direttamente sottratte dall’indagato, è dovuta alla condotta della persona offesa, la quale la sfilò dal dito perché intimorita a seguito dell’espressa intimazione rivoltale a mo’ di comando dal rapinatore. Quest’ultimo utilizzò a tale specifico fine un verbo di carattere imperativo e determinativo , annotano i Giudici, richiamando proprio le dichiarazioni della persona offesa, ossia me lo ha chiesto e mi ha fatto molto paura, difatti ero molto scosso e spaventato” e con fare minaccioso mi intimava di dargli la fede nuziale”. Secondo i magistrati, tenuto conto che la consegna della fede nuziale conseguiva alla delittuosa sottrazione di altri due oggetti di valore una catenina e un braccialetto ed avveniva a seguito del repentino manifestarsi del rapinatore mentre la persona offesa citofonava alla sua abitazione, sita in una via privata , correttamente si è ricondotto il contesto in cui si colloca l’ultima azione di impossessamento alla persistenza di una condizione di inferiorità psicologica della vittima , condizione alla quale il rapinatore ha dato direttamente causa e di cui ha approfittato per ottenere l’ultimo valore preso di mira. Sacrosanto, quindi, parlare di rapina aggravata dalla minaccia , alla luce del principio secondo cui la minaccia costitutiva del reato di rapina, oltre che essere palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 marzo – 12 aprile 2021, n. 13461 Presidente Imperiali – Relatore Ariolli Ritenuto in fatto 1. L.R. ricorre per cassazione per l’annullamento dell’ordinanza con cui il Tribunale di Torino ha accolto l’appello cautelare del pubblico ministero limitatamente alla riqualificazione del reato di cui al capo A della rubrica provvisoria, da furto con strappo aggravato dalla minore difesa a rapina aggravata. Al riguardo, deduce la violazione degli artt. 624-bis e 628 c.p. ed il vizio di motivazione. In particolare, il Tribunale aveva travisato la prova alla luce del tenore letterale delle dichiarazioni della p.o. la quale aveva escluso di essere stata minacciata nè nelle s.i.t. rilasciate emergevano specifiche circostanze di tempo e di luogo tali da indurre la p.o. a provare detto timore. 2. Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria scritta del 24/2/2021, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile. La sottrazione della fede nunziale, a differenza di quella della catenina e del braccialetto direttamente sottratte dall’indagato, è dovuta alla condotta della p.o. la quale la sfilò dal dito perché intimorita a seguito dell’espressa intimazione rivoltale a mò di comando dal ricorrente, il quale utilizzò a tale specifico fine un verbo di carattere imperativo e determinativo, per come è stato ricavato dal contenuto delle dichiarazioni rese dalla p.o. in sede di s.i.t. perché me lo ha chiesto e mi ha fatto molto paura, difatti ero molto scosso e spaventato e di denuncia questi con fare minaccioso mi intimava di dargli la fede nunziale . Tenuto conto che la consegna della fede nunziale, per quanto precisato dai provvedimenti di merito, conseguiva alla delittuosa sottrazione di altri due oggetti di valore la catenina e il braccialetto ed avveniva a seguito del repentino manifestarsi dell’imputato mentre la p.o. citofonava nella sua abitazione, sita in una via privata , correttamente si è ricondotto il contesto in cui si colloca l’ultima azione di impossessamento alla persistenza di una condizione di inferiorità psicologica dell’offeso alla quale l’imputato ha dato direttamente causa e di cui ha approfittato per ottenere l’ultimo valore preso di mira. Il Tribunale del riesame risulta, quindi, avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la minaccia costitutiva del reato di rapina, oltre che essere palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera cfr. Sez. 2, n. 44347 del 25/11/2010, Rv. 249183, fattispecie di illecita perquisizione strumentalmente diretta all’impossessamento di valori Sez. 2, n. 41475 dell’8/6/2018, non mass. . 4. Consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.