Contratto d’affitto d’azienda, fallimento e sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta

Il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dalla l.fall. art. 223, comma 2, n. 2, è configurabile anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa.

Sul tema la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13383/21, depositata il 9 aprile. La Corte d’Appello di Perugia confermava la sentenza con cui il Tribunale di Perugia aveva assolto due imputati dal reato ci cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223, comma 2, n. 2 , l. fall., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società Alfa e Beta, poiché il fatto non sussiste in relazione al fallimento cagionato attraverso operazioni dolose , incentrate su un contratto d’affitto d’azienda tra le due suddette società . Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Perugia ricorre in Cassazione, lamentando la violazione di legge in ordine alla ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi del delitto in questione. Il ricorso è fondato in quanto, come chiarito dal costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, , in tema di fallimento determinato da operazioni dolose , che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare Cass. nn. 17690/2010, 38728/2014, Cass. 45672/2015 . La dimostrazione della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta impropria determinata da operazioni dolose non si esaurisce, inoltre, nell’accertare che il fallimento sia una esclusiva ed inevitabile conseguenza dell’operazione dolosa, sicché, una volta verificato che il fallimento si sarebbe comunque verificato a prescindere dalla condotta dolosa, il delitto non sarebbe configurabile. Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dal R.D. n. 267/1942, art. 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, nè la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., nè il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile cfr. Cass. n. 40998/2014 e Cass. n. 8413/2013 . Sussiste il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale anche in presenza di un’iniziativa economica in sé legittima, che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori. Cass. n. 24024/2015 . Ed ancora, in altro condivisibile orientamento, è configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dalla L.fall. art. 223, comma 2, n. 2, anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa Cass. n. 40998/2014 . Nel caso di specie la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere ad una rigorosa verifica della conformità della richiamata operazione di affitto d’azienda agli interessi economici della società Alfa e dell’incidenza di tale operazione sulla possibilità per l’anzidetta compagine sociale di continuare a svolgere la sua attività. Per questi motivi la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 dicembre 2020 – 9 aprile 2021, n. 13383 Presidente Catena – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Perugia confermava la sentenza con cui il tribunale di Perugia, in data 19.7.2016, aveva assolto P.G. e P.V. dal reato di cui alla L.Fall., art. 216, comma 1, n. 1 e L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2 , loro in rubrica ascritto, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante, rispettivamente, della società s.r.l. ed omissis s.r.l. , con la formula perché il fatto non sussiste, in relazione al fallimento della s.r.l. , cagionato, come da contestazione, attraverso operazioni dolose, incentrate su di un contratto di affitto d’azienda tra le due società, per il quale era previsto un canone di 90.000.000 Euro annui in favore della società fallita, che, tuttavia, quest’ultima, era per lo più destinata a non incassare. 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Perugia, lamentando violazione di legge in ordine alla ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui si discute. 3. Con requisitoria scritta del 28.11.2020, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga accolto 4. Il ricorso è fondato e va accolto. Ed invero, come chiarito dal costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità sul punto, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare. cfr. Cass., Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315 Cass., Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207 Cass., Sez. 5, Sentenza n. 45672 del 01/10/2015, Rv. 265510 . Evidente, dunque, l’errore di diritto addebitabile alla corte territoriale, evidenziato dal ricorrente, laddove il giudice di appello escludeva la possibilità di configurare la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in parola, alla luce di una pretesa incertezza sulla finalità perseguita attraverso l’operazione di affitto del ramo d’azienda, che, nella prospettiva accusatoria, ha svolto una funzione determinante nella causazione del fallimento della s.r.l. . Affermare che non è possibile stabilire se la suddetta operazione fosse finalizzata a salvare il salvabile ovvero se con essa i soggetti agenti si siano rappresentati ed abbiano scientemente accettato anche il rischio del fallimento della società affittante , dimostra una non sufficiente consapevolezza del concreto atteggiarsi dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria per operazioni dolose. Elemento che, come si è detto, da un lato, non richiede la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare, dall’altro, non è influenzato dalle motivazioni poste a sostegno dell’operazione dolosa, fosse anche la convinzione di agire per la salvezza della società in crisi economica, in quanto quel che si richiede è solo la dimostrazione della consapevolezza e della volontà, da parte del legale responsabile, dell’operazione dolosa nella sua dimensione naturalistica, del contrasto dell’operazione stessa rispetto agli interessi della società e della astratta prevedibilità dell’evento di dissesto, quale conseguenza della condotta posta in essere dall’amministratore in contrasto con i doveri di quest’ultimo verso la società, proprio perché contraria agli interessi della società stessa. La motivazione della corte territoriale va censurata anche con riferimento al punto in cui il giudice di appello ha evidenziato l’insufficiente dimostrazione che sia stata proprio l’operazione di affitto d’azienda a determinare il fallimento , posto che, in considerazione dello stato di progressiva e sempre più grave difficoltà economica vissuta dall’azienda quanto meno a partire dal 2009 il fallimento, con ogni probabilità, si sarebbe comunque determinato anche a prescindere dall’estremo tentativo di salvataggio della società mediante l’operazione di affitto . La dimostrazione della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta impropria determinata da operazioni dolose non si esaurisce, infatti, nell’accertare che il fallimento sia una esclusiva ed inevitabile conseguenza dell’operazione dolosa, sicché, una volta verificato, in ipotesi, che il fallimento si sarebbe comunque verificato, a prescindere, cioè dalla condotta dolosa, il delitto non sarebbe configurabile. Come chiarito, infatti, dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dal R.D. 16 maggio 1942, n. 267, art. 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, nè la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., nè il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile cfr. Cass., Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189 Cass., Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, Rv. 259051 . Proprio in applicazione di tali principi è stato correttamente affermato che sussiste il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale anche in presenza di un’iniziativa economica in sé legittima, che si riferisca ad una impresa in stato pre-fallimentare, producendo riflessi negativi per i creditori. Nella specie, l’iniziativa economica era consistita nella cessione di un ramo di azienda di un’impresa in stato fallimentare, effettuata per un prezzo corrispondente alla differenza algebrica tra attività e passività del ramo di azienda ma che, per la sua esiguità, aveva reso la cedente priva di beni e della possibilità di proseguire utilmente l’attività, con conseguente sottrazione di ogni garanzia per i crediti non compresi nel trasferimento cfr., Cass., Sez. 5, n. 24024 del 01/04/2015, Rv. 263943 . Ed ancora, in altro condivisibile arresto, sempre richiamato dal ricorrente, si è evidenziato come sia configurabile il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dalla L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2, anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. In questo caso la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva qualificato come operazione dolosa la vendita a prezzo di mercato di un bene immobile costituente l’unico ramo d’azienda di una società e che, pur se seguita dall’effettivo conseguimento del corrispettivo, aveva tuttavia privato l’impresa della possibilità di svolgere l’attività per cui era stata costituita cfr. Cass., Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262188 . La corte territoriale, pertanto, non avrebbe dovuto liquidare in poche battute il fondamentale profilo della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato nei termini innanzi indicati, ma avrebbe dovuto procedere ad una rigorosa verifica della conformità della richiamata operazione di affitto d’azienda agli interessi economici della società s.r.l. e della incidenza di tale operazione sulla possibilità per l’anzidetta compagine sociale di continuare a svolgere la sua attività. 5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla corte di appello di Firenze per nuovo esame sui punti indicati in motivazione, che andrà svolto conformemente ai principi di diritto innanzi richiamati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello di Firenze per nuovo esame.