La Suprema Corte torna ad occuparsi del c.d. captatore informatico, ribadendo i principi espressi dalle Sezioni Unite Penali

La Corte di legittimità riesamina un tema di stringente attualità, sottoponendo ad ulteriore scrutinio un mezzo di ricerca della prova di nuova codificazione e difficile inquadramento.

L’inoculazione di c.d . trojan horse su dispositivi in uso alla persona sottoposta ad indagini , infatti, costituisce un recente veicolo di potente intrusione nella vita privata, assicurando però l’acquisizione di molteplici informazioni sul prevenuto, di parziale rilevanza investigativa e superando i limiti fisici – ed il paradigma applicativo – dei precedenti strumenti di intercettazione ambientale. Lo fa, dinanzi a nuove censure che, tuttavia, non paiono scalfire la ricostruzione teorica promossa dagli Ermellini e, seppur con un perimetro diverso, fatta propria dal legislatore, con la disciplina introdotta dal d.l. n. 216/2017. Il caso. Il procedimento a quo s’era innescato in Puglia, in seguito alla contestazione di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata alla commissione di numerosi reati, tra i quali estorsione, rapina e cessione di sostanze stupefacenti, mossa ad un sodalizio locale, composto da due gruppi armati, affiliati allo scopo. Il Giudice per le Indagini Preliminari, con l’ordinanza restrittiva, aveva applicato ai prevenuti la misura di massima custodia ed avverso il provvedimento impositivo aveva interposto ricorso per Cassazione la difesa di uno di loro, deducendo quattro distinti motivi, aventi tutti ad oggetto errori procedurali implicanti l’ inutilizzabilità del contenuto delle captazioni , eseguite mediante software introdotto su un dispositivo utilizzato dall’indagato. Con l’atto, il deducente sostiene, in primis, che la fraudolenta installazione dell’ applicazione sul telefono del ricorrente impedirebbe di usare come fonte di prova il risultato conoscitivo, poiché l’acquisizione sarebbe avvenuta con modalità lesive di diritti fondamentali , garantiti dagli art. 2 e 15 della Carta, ed in pregiudizio alla proprietà privata, per l’indebita sottrazione di energia alle batterie di alimentazione, connessa al funzionamento del programma informatico. Secondariamente, critica l’indirizzo avallato dalla Sezioni Unite Scurato cfr. Cass., SS. UU. Pen., n. 26889/2016 – che, riconoscendo il carattere dinamico dell’intercettazione c.d. itinerante , ha fatto salvi i risultati di tali indagini anche quando siano stati ottenuti registrando dialoghi in luoghi diversi da quelli indicati nell’originario decreto – da ciò facendo conseguire la violazione dell’art. 266, comma secondo, c.p.p Infine, denuncia che sarebbero comunque viziati gli esiti dell’attività investigativa , posto che, per un verso, il captatore integrerebbe una forma di prova atipica incostituzionale, per i suoi connotati ontologicamente pregiudizievoli e, in ogni modo, non adeguatamente definiti e, per l’altro, le autorizzazioni dell’Autorità procedente che si erano succedute non avrebbero dato conto delle ragioni che avevano portato a preferirlo rispetto ad altre tecniche di acquisizione delle comunicazioni meno invasive. La sentenza. La Sezione V – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva concluso chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile – rigetta l’impugnazione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. L’Estensore riesce nell’intento di compendiare in una motivazione sintetica il ragionamento che porta a reputare infondate tutte le doglianze difensive, aiutato pure dalla presenza di chiare coordinate ermeneutiche – provenienti dal Massimo Consesso interpretativo – e legislative, stante il fresco intervento normativo teso a regolamentare lo strumento in discussione. In quest’ottica, sin da subito provvede a fugare ogni dubbio circa la compatibilità con la Costituzione di questo tipo di accertamenti, quanto meno rispetto alla protezione accordata al diritto di proprietà. Il bilanciamento dei diritti in campo. Appare evidente, per l’iter motivo, come il campo di tutela previsto dall’art. 42 Cost. non possa che restringersi dinanzi alla necessità di assicurare l’interesse pubblico all’accertamento dei delitti, peraltro particolarmente gravi, la cui sussistenza debba essere ricostruita tramite le indagini digitali in esame rimanendone esclusa l’operatività per reati di c.d. criminalità comune si cita, in proposito, Cass., Sez. I Pen., n. 50972/2019 obiettivo certamente prevalente, quando debba contemperarsi con la ridottissima compressione patrimoniale subita dal proprietario dello smartphone per l’assorbimento supplementare di energia elettrica provocato dal trojan. Analogamente, il Collegio boccia l’esegesi della norma di rito proposta dall’impugnante, che sembra perdere di vista il punto di equilibrio tra i valori in campo. La corretta lettura delle disposizioni di riferimento. Ed invero, per il codice di procedura penale il riferimento al luogo non integra un presupposto dell’autorizzazione, ma rileva solo per delimitarne i margini della motivazione del decreto, nella quale, quindi si dovranno indicare le situazioni ambientali oggetto della captazione . Si conferma, così, l’esigenza di rendere attuali le disposizioni evocate dalle doglianze difensive, declinando i canoni abituali nell’odierno contesto tecnologico, che, in considerazione delle potenzialità di monitoraggio delle comunicazioni dei nuovi mezzi di indagine, deve condurre ad un’interpretazione che pone l’accento, più che sui singoli luoghi, sulle parti della condotta sociale di ciascuno meritevoli d’essere esplorate, in quanto pertinenti all’inchiesta. Potrà essere invece valutata successivamente l’inutilizzabilità di specifiche porzioni delle captazioni, che contrastino con divieti di legge ad esempio, perché riguardanti conversazioni tra assistito e difensore . Conclusioni. La sentenza in commento riepiloga efficacemente i punti cardine della recente regolamentazione di software capaci di registrare le comunicazioni seguendo l’indiziato”, tutt’ora di matrice parzialmente pretoria per investigazioni alle quali, ratione temporis , non sia applicabile la normativa del 2017 . Sebbene l’approdo raggiunto sia, sul piano dogmatico, ineccepibile, resta qualche perplessità , al giurista pratico, sulla scarsa coerenza disciplinare – finalità intrinseca dell’inutilizzabilità – di un sistema costruito sull’espunzione a posteriori di dati comunque entrati nella cognizione degli investigatori, vulnerando una riservatezza che oggi, inevitabilmente, si declina soprattutto nel panorama digitale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 settembre 2020 – 22 marzo 2021, n. 10981 Presidente Vessichelli - Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento del 20 marzo 2020 il Tribunale di Lecce in funzione di riesame ha confermato l’ordinanza emessa, il 12 febbraio 2020, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, nei confronti di P.A.M. , con la quale veniva applicata nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di cui all’art. 416-bis c.p. capo A , artt. 81 e 110 c.p., L. n. 867 del 1967, artt. 2, 4 e 7, art. 612 c.p., comma 2, art. 416-bis.1 c.p. capo Al , artt. 110 e 81 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e 3 e art. 416-bis.1 c.p. capo A5 , art. 110 c.p., art. 378 c.p., comma 1, art. 416-bis.1 c.p. capo A14 , D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, capo C , 110, 73 TU Stup. capi Cl, C2, C25, C27, C28, C30, C34 . 1.1. Si tratta della contestazione di appartenenza al sodalizio criminale facente capo all’ergastolano Pe.Cr. , suddiviso in due gruppi, uno dei quali ritenuto riferibile a P.A.M. , operante in Lecce e comuni limitrofi, al sodalizio preposto al traffico di stupefacenti, nonché a reati fine concernenti armi, estorsioni e singole operazione di illecita cessione e detenzione di stupefacente. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, P.A.M. , denunciando, nei motivi di seguito riassunti, quattro vizi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione all’art. 191 c.p.p 2.1.1. La gravità indiziaria si fonda sugli esiti di captazioni svolte a mezzo captatore informatico, inoculato nei telefoni cellulari di G.M. , M.S. e L.A. , oltre che sulle dichiarazioni di Mo. e C.A. . Si tratta di sofware e malware inoculati in maniera furtiva, attraverso l’inganno dell’indagato, fatto cadere in errore ed indotto ad installare, personalmente, il virus trojan sul proprio dispositivo. Sicché, trattandosi di attività di apprensione occulta, di conversazioni tra presenti, con metodo illecito, secondo il ricorrente detta attività non potrebbe essere considerata autorizzata, posto che questa non può riguardare inganno o frode, nè essere tesa alla lesione della libertà di autodeterminazione consapevole, quale diritto fondamentale costituzionalmente garantito dall’art. 2 e 15 Cost Di qui la dedotta inutilizzabilità dei risultati acquisiti con il descritto mezzo di ricerca della prova, in quanto si tratta di prove assunte con modalità lesive di diritti fondamentali, come da giurisprudenza richiamata cfr. pag. 3 del ricorso . 2.1.2. In secondo luogo si osserva che le intercettazioni sono state effettuate sfruttando un dispositivo, di proprietà esclusiva degli stessi coindagati G. , L. e M. , utilizzando e, dunque, sottraendo energia elettrica dalle batterie di ciascuno dei dispositivi, in quanto necessaria per il funzionamento del software e del maiware e per la captazione itinerante . Si tratterebbe, quindi, di intercettazioni illecite perché poste in essere con lesione di un diritto fondamentale ed inviolabile, rappresentato dalla proprietà privata, tutelato dall’art. 42 Cost 2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione agli artt. 191 e 271 c.p.p. con manifesta illogicità del provvedimento. Si richiama la giurisprudenza della Suprema Corte a Sezioni Unite che ha ritenuto consentita l’intercettazione di conversazioni tra presenti attraverso il cd. captatore informatico, inoculato in dispositivi portabili anche in luogo di privata dimora, ex art. 614 c.p. ed anche se ivi non si stia svolgendo attività criminosa, con riferimento ai delitti di criminalità organizzata Sez. U, n. 26889 del 2016, ric. Scurato . Il Tribunale del riesame ha ritenuto superflua l’omessa indicazione del luogo ove si trovavano i dispositivi dove doveva avvenire la captazione incorrendo in errore, secondo il ricorrente, posto che vi sono dei luoghi per i quali, comunque, la captazione sarebbe vietata studi professionali, investigativi privati . Del resto, si indica come impossibile l’individuazione del luogo ove la captazione avviene trattandosi di strumenti itineranti, così aderendo ad un’impostazione che finisce per consentire la captazione ovunque, anche in luoghi come, ad esempio, lo studio del difensore in cui non sarebbe, comunque, consentita. Inoltre, si violerebbe l’art. 266 c.p.p., comma 2, che pretende l’indicazione del luogo in cui va fatta la captazione. In definitiva, si sostiene che intanto la captazione può essere autorizzata in quanto questa debba avvenire in luoghi espressamente indicati dal pubblico ministero, onde verificare e ponderare gli interessi coinvolti. Si critica l’impostazione della sentenza ric. Scurato, condivisa dal Tribunale del riesame di Lecce, secondo la quale i risultati dell’intercettazione devono ritenersi utilizzabili anche quando la captazione venga espletata in luogo diverso, riconoscendo il carattere dinamico dell’intercettazione itinerante, che, dunque, segue il soggetto, così finendo per ritenere l’intercettazione di comunicazioni tra presenti, in relazione ai delitti di criminalità organizzata, legittima ovunque essa avvenga. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza di norme processuali in tema di inutilizzabilità in relazione all’art. 191 c.p.p. in relazione al risultato delle intercettazioni con captatore informatico, di cui ai decreti indicati a pag. 15 del ricorso, in quanto strumento reputato non ancora consentito dal codice di rito. 2.3.1. Si richiama il D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, che ha introdotto la disciplina delle intercettazioni telematiche da remoto, con captatore informatico, norma indicata come in vigore dal 26 gennaio 2018. Tuttavia, per quanto concerne la disciplina di cui all’art. 4, il legislatore è intervenuto a posticiparne l’entrata in vigore slittata, allo stato, ai procedimenti iscritti dopo il 30 aprile 2020, data poi rinviata al 31 agosto 2020. 2.3.2. Si richiama, in secondo luogo, il concetto di prova atipica e si rinvia, anche per questa, alla necessaria costituzionalità della medesima, in quanto da acquisire in conformità ai diritti fondamentali ai fini della sua utilizzabilità per la decisione. Il ricorso fa riferimento alle pronunce delle Sezioni unite di questa Corte di legittimità, ric. Torcasio e quella del 2012 n. 28997, ric. Pasqua, che hanno ribadito, in via generale, l’impossibilità di aggiramento dei limiti posti dalla legge in relazione all’attività di indagine consentite e legittime es. in tema di acquisizione di corrispondenza . Da ultimo, si riporta la pronuncia n. 20 del 2017 della Corte Cost., in tema di corrispondenza epistolare e di differenza tra strumenti per captare comunicazioni, in genere, e quelli per acquisire corrispondenza. Da tale pronuncia il ricorrente trae il principio secondo cui, nel rispetto del canone di cui all’art. 15 Cost., in osservanza dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, non si possono prevedere forme di captazione occulta dei contenuti di conversazioni tra presenti. Si richiama la riforma Orlando che, unitamente, al citato D.Lgs. n. 216 del 2017, si è posta nel solco della sentenza di questa Corte di legittimità, ric. Scurato, ritenendo il captatore informatico strumento per le intercettazioni tra presenti, ponendo dei presupposti tecnici possibilità di attivazione da remoto con distinguo dei luoghi e, dunque, adozione dello strumento anche per intercettazioni ordinarie . Secondo il ricorrente, si sancisce l’inutilizzabilità di quanto intercettato nell’attività preliminare, preparatoria all’installazione del trojan e dei dati acquisiti al di fuori dei limiti di luogo e tempo previsti dal decreto autorizzativo. Inoltre, si è sancita la disattivazione definitiva dello strumento, al termine delle operazioni e significative previsioni di tipo operativo, non tenute in considerazione dalla pronuncia Scurato. 2.4. Con il quarto motivo si denuncia l’inutilizzabilità del risultato delle captazioni, per violazione dell’art. 267 c.p.p Non sarebbero indicati, nei decreti autorizzativi e nelle proroghe, le ragioni della scelta dello strumento di captazione informatico da remoto. Il giudice per le indagini preliminari, per tutti i decreti, si sarebbe limitato a riportare la formula di stile secondo cui sussiste l’assoluta necessità di ulteriori riscontri investigativi, da ottenere attraverso comunicazioni e conversazioni tenute dal destinatario, senza distinzione, nella motivazione, tra captazioni di conversazioni telefoniche o ambientali e di comunicazioni tra presenti, senza, peraltro, mai indicare le ragioni dell’uso del mezzo del cd. captatore informatico. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. In ordine alla dedotta fraudolenza del mezzo utilizzato per carpire le conversazioni intercettate ed intromettersi nel dispositivo elettronico, cioè del virus trojan inoculato ed attivato, secondo la prospettazione del ricorrente, indebitamente, con la collaborazione dello stesso soggetto intercettato, tratto in inganno, va osservato che la finalità di intercettare conversazioni telefoniche o ambientali consente all’operatore la materiale intrusione, per la collocazione dei necessari strumenti di rilevazione, negli ambiti e nei luoghi di privata dimora, oggetto di tali mezzi di ricerca della prova, senza che il pubblico ministero sia tenuto a precisare le modalità di intrusione delle microspie in tali luoghi e senza che la relativa omissione determini alcuna nullità Sez. 6, n. 41514 del 25/9/2012, Adamo, Rv. 253805 cfr. Sez. 6, n. 14547 del 31/1/2011, Di Maggio, Rv. 250032 Sez. 1, n. 24539 del 9/12/2003, dep. 2004, Rigato, Rv. 230097 . La finalità di intercettazione consente, poi, all’operatore l’introduzione, anche da remoto, nel dispositivo elettronico indicato nel decreto autorizzativo e di installare il trojan mediante le modalità tecniche necessarie. Del resto, in tema di intercettazioni tramite captatore informatico, l’intrusione nel dispositivo tramite trojan è una delle modalità attuative tipiche del mezzo di ricerca della prova, evidentemente ammessa nel provvedimento che dispone le operazioni di intercettazione, da reputarsi legittima tenuto conto del bilanciamento tra il soddisfacimento dell’interesse pubblico all’accertamento di gravi delitti, nei limiti di seguito specificati, tutelato dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., con il principio di inviolabilità della sfera di riservatezza e segretezza di qualsiasi forma di comunicazione previsto dall’art. 15 Cost., se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria. Detto bilanciamento, evidentemente, opera anche in relazione al diritto di proprietà privata, previsto dall’art. 42 Cost. ed evocato dal ricorrente, nella seconda parte del primo motivo, avuto riguardo alla dedotta illecita utilizzazione - mediante l’intercettazione con virus trojan - dell’energia acquistata dall’indagato, per la ricarica delle batterie del dispositivo elettronico infettato ed all’utilizzo di quest’ultimo. Infatti, è ovvio che le conseguenze di perdita di una quota del proprio diritto di proprietà da parte del soggetto intercettato, peraltro non particolarmente consistente dal punto di vista patrimoniale, appaiono recessive, rispetto all’obiettivo, egualmente legittimo, del soddisfacimento dell’interesse pubblico all’accertamento di gravi delitti, tutelato dal principio, di pari rango costituzionale, dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost. 2.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso non sono fondati. Va rilevato che, al momento dell’esecuzione dell’attività di intercettazione in contestazione, non era vigente la specifica disciplina dettata per il trojan horse dal D.Lgs. n. 216 del 2017. Detta norma, quanto alle disposizioni di interesse per il caso al vaglio, è entrata in vigore, per essere intervenute proroghe per effetto del D.L. n. 28 del 2020, in relazione a procedimenti penali iscritti a partire dal 1 settembre 2020. Sicché, nel caso di specie, trovano applicazione le regole previgenti da interpretarsi secondo i principi dettati, sul punto, da questa Suprema Corte nella sua più autorevole composizione, con la decisione n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905, cui il Collegio intende uniformarsi, condividendone le argomentazioni. 2.2.1. Secondo l’indicata pronuncia, la disciplina richiamata è quella delle intercettazioni tra presenti e, specificamente, dettata dagli artt. 266, 267 e 271 c.p.p. con le peculiarità introdotte, per i reati di criminalità organizzata, dal D.L. n. 152 del 1991, art. 13, convertito dalla L. n. 252 del 1991. La natura itinerante dei dispositivi adoperati come moderne microspie - smartphone, tabiet, computer - ed il fatto che tali dispositivi accompagnino le persone, anche nei luoghi riservati della vita privata, comporta che il captatore informatico possa essere utilizzato, secondo la normativa previgente, per realizzare intercettazioni tra presenti nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. A tali casi si riferisce la disciplina di cui all’art. 13 del D.L. cit. che, derogando ai presupposti fissati dall’art. 266 c.p.p., comma 2, permette la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità che ivi si stia svolgendo attività criminosa. In caso di reati di criminalità comune, invece, si è affermato che il mezzo in questione deve essere escluso, proprio in quanto non è possibile prevedere i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto ciò in quanto, al momento dell’autorizzazione, non sarebbe possibile verificare il rispetto della condizione di legittimità fissata dall’art. 266 c.p.p., comma 2 cfr. in questo senso, Sez. 1, n. 50972 del 25/06/2019, Chianchiano, Rv. 277862 . Soccorre, poi, sempre la citata pronuncia di questa Corte di legittimità, ric. Scurato, quanto all’individuazione della nozione di procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata. La Corte, nel suo consesso più autorevole, ha precisato che la qualificazione del fatto-reato, deve essere ancorata a sufficienti e sicuri elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso, rinvenibile senz’altro per il caso al vaglio, tenuto conto del tenore delle incolpazioni provvisorie di cui all’art. 416-bis c.p. capo A . 2.2.2. Ne deriva che, in tali procedimenti, il cd. trojan horse permette la captazione anche nei luoghi di privata dimora, prescindendo dall’indicazione di questi come sede di attività criminosa in atto sicché nemmeno risulta necessaria la preventiva individuazione di tali luoghi. Invero, l’indicazione di uno specifico luogo - quale condizione di legittimità dell’intercettazione - non risulta imposta dall’art. 266 c.p.p., comma 2. Il riferimento al luogo non integra un presupposto dell’autorizzazione, ma rileva solo per delimitare i margini della motivazione del decreto, nella quale, quindi, si dovranno indicare le situazioni ambientali oggetto della captazione. Tanto, al fine della determinazione delle modalità esecutive del mezzo di ricerca della prova, che avviene mediante la collocazione fisica di microspie. Un’esigenza di questo tipo è, invece, del tutto estranea all’intercettazione per mezzo del cd. virus informatico la caratteristica tecnica di tale modalità di captazione prescinde, invero, dal riferimento al luogo, trattandosi di intercettazione ambientale, dunque in re ipsa itinerante. Ne deriva che deve essere reputata legittima l’intercettazione tra presenti, eseguita a mezzo di captatore informatico, installato in un dispositivo portatile, nell’ambito di attività investigativa svolta in relazione a procedimenti per delitti di criminalità organizzata, senza che sia necessaria la preventiva individuazione ed indicazione dei luoghi in cui la captazione deve essere espletata. 2.3. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, si osserva che le Sezioni Unite, ric. Scurato hanno già valutato la compatibilità della conclusione raggiunta dal legislatore con i principi costituzionali, avendo questi optato per una più pregnante limitazione della segretezza delle comunicazioni e della tutela del domicilio, tenendo conto dell’eccezionale gravità e pericolosità, per l’intera collettività, quando i reati oggetto di attività investigativa sono di criminalità organizzata. Di qui, stante il dettato di cui all’art. 13 cit., l’assenza di ogni violazione di principi costituzionali posti a tutela della segretezza delle comunicazioni, del domicilio e della riservatezza. 2.3.1. Rispetto alla normativa vigente, le Sezioni Unite, ric. Scurato osservano che la peculiarità dell’intercettazione di cui si discute, sta nel fatto che il soggetto intercettato può recarsi, portando con sé l’apparecchio elettronico nel quale è stato installato il captatore, nei luoghi di privata dimora di altre persone, così dando luogo ad una pluralità di intercettazioni domiciliari. Si esclude, però, ogni rilevanza alla questione nel caso di delitti di criminalità organizzata, poiché il legislatore ha dato una significativa direttrice escludendo, espressamente, per le intercettazioni tra presenti in luoghi di privata dimora, disposte in procedimenti relativi a tali reati, il requisito autorizzativo che l’art. 266 c.p.p., comma 2, secondo periodo, richiede per tutte le altre intercettazioni. 2.3.2. Per quanto concerne l’eventualità che lo strumento utilizzato, consenta la registrazione di conversazioni di cui è vietata la captazione ad esempio tra imputato e difensore , si tratta eventualmente di valutare l’inutilizzabilità dei risultati di detta captazione, ove questa abbia violato specifici divieti di legge. Del resto, le pronunce della Corte Costituzionale n. 135 del 2002 e delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234270, in mot. sottolineano che captatore informatico è uno strumento messo a disposizione dalla moderna tecnologia, attraverso il quale è possibile effettuare una intercettazione ambientale. Dunque, non viene in rilievo una prova atipica , nè un aggiramento delle regole della prova tipica , poiché, già prima della entrata in vigore della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 216 del 2017, l’impiego del trojan horse, quale mezzo per eseguire la captazione di conversazioni tra presenti, era regolamentato dagli artt. 266, 267 e 271 c.p.p 3. Il quarto motivo è inammissibile per genericità. Tenuto conto della disciplina vigente al momento in cui sono stati emessi i decreti autorizzativi, relativi all’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, non era previsto indicare le ragioni dell’utilizzo di detto strumento, a fronte di delitti da accertare, inquadrabili in un contesto di criminalità organizzata. Peraltro, il Tribunale del riesame rende conto dell’esauriente motivazione dei decreti autorizzativi cfr. pagg. 6 e sgg. dell’ordinanza , circostanza con la quale il ricorrente non si confronta specificamente, sicché la critica si presenta genericamente formulata, anche in ordine all’interesse ad impugnare. Infatti, è noto il principio affermato da questa Corte a Sezioni Unite Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416 in tema di ricorso per cassazione, secondo cui è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne, altresì, l’incidenza sul complessivo compendio indiziario valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato. Con specifico riferimento alla dedotta inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni di comunicazioni Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608 si è, poi, affermato il condivisibile principio secondo il quale, qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare, specificamente, l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.