Il giudice deve motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche

Sebbene il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo possa giustificarsi in base al rilievo implicito conferito a dati significativi emergenti dal tenore complessivo della motivazione, nondimeno, a fronte di una specifica richiesta dell’imputato, volta all’ottenimento della più ampia riduzione, il giudice del merito non può esimersi dall’esplicitare, anche sommariamente, le plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta, dando così conto del corretto uso del potere discrezionale affidatogli dalla legge .

È il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 9408/21, depositata il 10 marzo. La Corte d’Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza di prime cure, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, e rideterminava la pena inflitta all’imputato per aver costretto al compimento di atti sessuali una minore infraquattordicenne. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, dolendosi, per quanto d’interesse, per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche già applicate nel giudizio di primo grado nella loro massima estensione. Sul tema la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il giudice dell’appello, nel valutare la sussistenza delle circostanze aggravanti non deve necessariamente prendere in considerazione gli elementi dedotti dalla parte, neppure disattenderli, essendo invece sufficiente che, nel valorizzare gli elementi sfavorevoli e quindi ostativi alla diminuzione del trattamento sanzionatorio, abbia operato una complessiva valutazione di congruità rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena ex art. 27 Cost. v. Cass.Pen. n. 39396/16 . Nel caso di specie, risulta mancante la valutazione da parte dei Giudici del gravame in ordine alle specifiche censure formulate con l’atto di appello sul trattamento sanzionatorio. La Corte afferma dunque il principio secondo cui sebbene il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo possa giustificarsi in base al rilievo implicito conferito a dati significativi emergenti dal tenore complessivo della motivazione, nondimeno, a fronte di una specifica richiesta dell’imputato, volta all’ottenimento della più ampia riduzione, il giudice del merito non può esimersi dall’ esplicitare , anche sommariamente, le plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta, dando così conto del corretto uso del potere discrezionale affidatogli dalla legge . Per questi motivi, la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per un nuovo giudizio sul punto alla Corte d’Appello di Firenze.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 febbraio – 10 marzo 2021, n. 9408 Presidente Sarno – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 12 dicembre 2019 ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Lucca il 16 ottobre 2017 all’esito di un giudizio abbreviato e, per l’effetto, ha rideterminato la pena irrogata dal primo giudice nei confronti di D.C.E. , imputato del reato di cui agli artt. 609-bis, 609-ter e 609-quater c.p.p. e art. 61 c.p.p., n. 5 ed art. 11 c.p.p., per aver costretto al compimento di atti sessuali una minore infraquattordicenne fatti commessi il omissis . Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, avv. Massimo Panzani, deducendo i motivi di seguito enunciati. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, lamentando che i giudici del gravame, nonostante l’espressa richiesta formulata con i motivi di appello, avrebbero ingiustificatamente ritenuto di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche, già applicate nel giudizio di primo grado, nella loro massima estensione. Osserva, a tale proposito, che la Corte territoriale non avrebbe in alcun modo esplicitato i motivi per i quali ha ritenuto di non accogliere la richiesta difensiva, la quale avrebbe peraltro consentito di far rientrare la pena entro il limite per la concessione della sospensione condizionale e nonostante la difesa avesse evidenziato come l’imputato si fosse sottoposto ad un percorso psicoterapeutico, all’esito del quale era anche emerso che il comportamento tenuto non era compatibile con la sua personalità e, molto probabilmente, era stato invece indotto dalle libagioni durante le feste natalizie, evidenziando, altresì, l’assenza di interessi specifici nei confronti dei bambini. 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la carenza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ridotta entità della riduzione della pena conseguente all’applicazione dell’ulteriore attenuante riconosciuta, quella prevista dall’art. 62 c.p., n. 6. Rileva che la Corte di appello ha applicato, in concreto, una riduzione inferiore ad un settimo, giustificando tale scelta in ragione della non scarsa gravità dei fatti e delle modalità insidiose della condotta, facendo ricorso, tuttavia, ad elementi di valutazione che risultano riferibili alla pena base ma non anche alla specifica attenuante del risarcimento del danno, risarcimento che, nel caso in esame, era stato corrisposto in misura pari a 60.000 Euro, somma oltremodo gravosa in relazione alle modeste condizioni economiche dell’imputato. Aggiunge, inoltre, che la motivazione offerta si porrebbe in contrasto anche con le risultanze della consulenza medica, la quale aveva evidenziato le modalità giocose e non violente della condotta, che invece la Corte territoriale non ha preso in considerazione. 4. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. La difesa ha inviato memoria di replica a mezzo PEC il 28 gennaio 2021 ribadendo la richiesta di accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è solo in parte fondato. 2. Va preliminarmente osservato che il ricorrente non pone in discussione la ricostruzione dei fatti e l’accertamento di responsabilità effettuato dai giudici del merito, perché le censure formulate attengono esclusivamente alla quantificazione della pena in ragione delle riduzioni operate a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti, ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate. 3. Ciò premesso, osserva il Collegio che, con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, di cui tratta il primo motivo di ricorso, questa Corte ha avuto modo di osservare come il giudice d’appello, nel valutare gli effetti riduttivi delle attenuanti nella determinazione della pena, non deve necessariamente prendere in considerazione gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, neppure per disattenderli, essendo sufficiente che, nel valorizzare quelli sfavorevoli ritenuti rilevanti e, pertanto, ostativi ad una ulteriore riduzione del carico sanzionatorio, abbia operato una complessiva valutazione di congruità rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. Sez. 7, n. 39396 del 27/5/2016, Jebali, Rv. 268475 . Nel far ciò, la richiamata pronuncia ha ritenuto di dare continuità ad un risalente, ma ancor valido orientamento, secondo il quale, nell’applicazione di un criterio eminentemente discrezionale, come quello concernente la determinazione della riduzione della pena conseguente alla concessione di una circostanza attenuante, non si può pretendere dal giudice di merito la precisazione di specifiche ragioni, essendo sufficiente che possa desumersi dalla motivazione che il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale con senso di equità e di proporzione Sez. 5, n. 699 del 8/5/1967, Amadei, Rv. 10478 . 4. Alla luce di tale condivisibile principio deve rilevarsi che, nel caso di specie, difetta ogni valutazione da parte dei giudici del gravame in ordine alla specifica censura formulata con l’atto di appello. Invero, la sentenza impugnata, dopo una puntuale ricostruzione dei fatti come accertati nel giudizio di primo grado, illustra i motivi di appello, ivi compreso quello concernente la mancata applicazione delle riconosciute circostanze attenuanti generiche, rispetto al quale viene dato conto anche delle ragioni poste dalla difesa a sostegno della specifica doglianza e, segnatamente, del comportamento successivo al reato, volto ad intraprendere un percorso psicoterapeutico all’esito del quale sarebbe emerso che il comportamento tenuto non era compatibile con la personalità dell’imputato ed era stato, molto, probabilmente, indotto dalle libagioni consumate durante il pranzo natalizio, mentre dai test psicodiagnostici non sarebbe emerso alcun interesse specifico verso i minori. Ciononostante, nel rideterminare la pena, i giudici del merito hanno tenuto conto esclusivamente dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, riconosciuta in primo grado, senza però applicare la relativa riduzione, mentre per le attenuanti generiche la riduzione operata dal primo giudice è rimasta invariata, senza che la Corte territoriale specificasse le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere la richiesta difensiva, con la quale non si è, di fatto, confrontata. Lo specifico motivo di appello è rimasto, dunque, senza adeguata risposta e non risulta, dal tenore complessivo della motivazione, che le ragioni dell’implicito rigetto del motivo di gravame possano altrimenti desumersi. 5. Deve conseguentemente affermarsi che, sebbene il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo possa giustificarsi in base al rilievo implicito conferito a dati significativi emergenti dal tenore complessivo della motivazione, nondimeno, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, volta all’ottenimento della più ampia riduzione, il giudice del merito non può esimersi dall’esplicitare, anche sommariamente, le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, dando così conto del corretto uso del potere discrezionale affidatogli dalla legge. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente a tale punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, la quale dovrà conformarsi al principio appena enunciato, ferma restando l’irrevocabilità del riconoscimento della responsabilità per i fatti di cui all’imputazione. 6. Il secondo motivo di ricorso è invece infondato. Deve osservarsi, a tale proposito, che la Corte di appello ha espressamente motivato circa l’incidenza, sul calcolo della pena, della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, ma le ragioni esposte sono state ritenute dal ricorrente non pertinenti. Nella sentenza impugnata i giudici dell’appello hanno giustificato il contenimento della riduzione applicata per l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, nella misura quantificata, ritenendo determinanti la gravità dei fatti, attuati con modalità insidiose e ponendo in essere le condotte vincendo più volte le resistenze fisiche della bambina, così da procurarle anche dolore . Occorre a tale proposito ricordare come, con specifico riferimento alle ipotesi di violenza sessuale, si sia avuto modo di riconoscere la compatibilità con l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, precisando che il risarcimento del danno deve intervenire, prima del giudizio, in misura integrale, non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia forma di accordo in via transattiva Sez. 3, n. 16146 del 14/3/2008, Pannese, Rv. 239869 . Si è invece esclusa l’applicabilità dell’attenuante quando il danno risarcibile sia di natura psichica o morale, poiché le sue conseguenze non sono suscettibili di spontanea ed efficace elisione od attenuazione Sez. 3, n. 14959 del 13/1/2015, S., Rv. 263049 Sez. 3, n. 24090 del 13/3/2008, Zanoni , sebbene altre pronunce siano di segno opposto Sez. 3, n. 28753 del 19/3/2013, M, Rv. 256671 . Si è altresì affermato che ai fini della configurabilità della attenuante in questione - che ha natura soggettiva e trova la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa, quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio - rappresenta una prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, sicché lo stesso deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale così, in motivazione, Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C, Rv. 278368, la quale a sua volta richiama Sez. 3, n. 33724 del 8/7/2005, Cilia, non massimata. V. anche Sez. 4, n. 34380 del 14/7/2011, Allegra, Rv. 251508 . Tali criteri di valutazione sono, dunque, quelli che il giudice deve considerare ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, che attiene al risarcimento del danno ed alla riparazione di ogni effetto dannoso del reato considerati quali sintomi evidenti di resipiscenza. Nel caso di specie, come si è detto, non è in discussione l’avvenuto risarcimento del danno, sulla congruità ed integralità del quale i giudici dell’appello non formulano obiezioni, bensì la adeguatezza della motivazione sulle ragioni della minore riduzione applicata. Ritiene il Collegio che, sul punto, la sentenza impugnata non sia censurabile, in quanto, gli argomenti criticati sono stati posti unicamente a sostegno della quantificazione della riduzione applicata in ragione della riconosciuta attenuante, evidentemente apprezzando l’efficacia riparatoria del risarcimento quale indice di ravvedimento e minore pericolosità sociale tenuto conto delle modalità dell’azione e della gravità della condotta, offrendo così un’adeguata giustificazione dell’esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento dell’art. 62-bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.