Scrive a un altro detenuto per chiedere un aiuto in materia legale: in bilico il blocco della missiva

Non sufficiente, secondo i Giudici della Cassazione, il richiamo del Tribunale di sorveglianza al pericolo che il destinatario della lettera possa rafforzare il proprio peso specifico rispetto alla criminalità e all’interno della struttura penitenziaria.

Va messo in discussione il provvedimento con cui viene trattenuta la missiva indirizzata da un detenuto ad un altro detenuto e contenente, in sostanza, la richiesta di un consiglio in materia legale. Non sufficiente, difatti, la considerazione del Tribunale di sorveglianza, secondo cui il destinatario della lettera possa così consolidare la propria posizione di supremazia rispetto al resto della popolazione carceraria, posizione dovuta anche al potenziale ruolo di difensore da lui esercitato nell’interesse di altri detenuti Cassazione, sentenza n. 9309/21, sez. I Penale, depositata l’8 marzo . Linea di pensiero comune per Giudice di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza legittimo il trattenimento di una missiva indirizzata a un detenuto da un altro detenuto, ristretto in un diverso istituto penitenziario . Si è appurato che il mittente aveva chiesto al detenuto consigli sulla propria situazione giuridica . E questo dettaglio è sufficiente, secondo i Giudici, per ipotizzare un pericolo per l’ordine e la sicurezza interna degli istituti penitenziari italiani, derivante dal fatto che la corrispondenza, per il suo concreto contenuto, favorisce il consolidamento della posizione di supremazia rivestita dal destinatario rispetto al resto della popolazione detenuta, inevitabilmente rafforzata dal potenziale ruolo di difensore da lui esercitato nell’interesse di altri soggetti ristretti in carcere . Col ricorso in Cassazione il detenuto destinatario della missiva contesta la decisione del Tribunale di sorveglianza. In particolare, egli sostiene, tramite il proprio legale, che è stata male interpretata la normativa in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle sole comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al proprio interno qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e l’ordine interno dell’istituto, quale non può essere considerata la richiesta di aiuto rivolta , come in questo caso, da un detenuto ad altro soggetto che, versando nella medesima condizione, abbia maggiore familiarità con la materia giuridica e processuale . Tali obiezioni sono ritenute plausibili dai Giudici del ‘Palazzaccio’ e sufficienti a mettere in discussione la decisione presa dal Tribunale di sorveglianza. In premessa viene ricordato dalla Cassazione che la norma è mirata a circoscrivere e meglio dettagliare i motivi per cui il detenuto può patire limitazione all’esercizio della libertà di corrispondenza, di cui egli è titolare al pari di qualunque altro individuo, e, vieppiù, renderli conoscibili e prevedibili . Ciò comporta logicamente l’obbligo, per l’autorità giudiziaria che disponga il trattenimento della missiva, di motivare la decisione , così da evitare interventi intrusivi rispetto all’esercizio della libertà di corrispondenza del detenuto . E in questa ottica è stata la giurisprudenza a chiarire che la motivazione del provvedimento di trattenimento deve dar conto del fatto che la corrispondenza visionata determina, per il suo contenuto, una situazione di pericolo per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, oppure per l’ordine e la sicurezza dell’istituto . Ma, va precisato, non può bastare l’indicazione di un mero sospetto , bensì è necessario indicare gli elementi concreti da cui è desunto il pericolo . Peraltro, il magistrato di sorveglianza può disporre il trattenimento della corrispondenza non soltanto in ragione del contenuto della comunicazione, ma anche sulla base del giudizio di inaffidabilità soggettiva di colui che ha trasmesso la missiva al detenuto o che sia destinatario della corrispondenza da quest’ultimo inviata . In questa vicenda specifica, però, osservano i giudici della Cassazione, il blocco della missiva non pare davvero giustificato. Secondo il Tribunale di sorveglianza la richiesta mira ad ottenere assistenza legale dal destinatario, esperto in materia giuridica e quest’ultimo, se la lettera fosse consegnata, potrebbe consolidare la propria leadership nell’ambiente della criminalità organizzata ed all’interno della popolazione carceraria, accreditandone il ruolo di sapiente e valido paladino della causa dei detenuti . In sostanza, l’esigenza posta a giustificazione dell’operato trattenimento è rinvenuta nel pericolo del rafforzamento del prestigio criminale del detenuto ma questo sospetto, osservano i giudici della Cassazione, non è accompagnato dall’esposizione di elementi concreti che accreditino quella che resta, in buona sostanza, una semplice illazione . Anche perché l’invio, da parte di un detenuto, di una singola missiva che – al di là dei toni accorati, sintomatici di cieca fiducia nel destinatario, che la contraddistinguono vedi tu cosa si deve fare solo tu mi puoi aiutare in questo caso ” – contiene una istanza di ausilio rivolta a persona che, grazie allo studio, ha maturato competenze giuridiche rappresenta un elemento in sé non in grado di dimostrare le ravvisate potenzialità offensive poste alla base del blocco della missiva. Proprio per questo, per un indispensabile approfondimento, la questione dovrà essere nuovamente esaminata dal Tribunale di sorveglianza, chiamato a tenere conto, ovviamente, delle indicazioni date dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 febbraio – 8 marzo 2021, n. 9309 Presidente Siani – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 23 ottobre 2019 il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo proposto da A.A. avverso il decreto con cui, il 20 maggio 2019, il Magistrato di sorveglianza di Cuneo ha disposto il trattenimento di una missiva indirizzatigli da un altro detenuto, ristretto in diverso istituto penitenziario. Premesso che il mittente aveva chiesto ad A. consigli sulla propria situazione giuridica, ha ritenuto la sussistenza di un pericolo per l’ordine e la sicurezza interna degli istituti penitenziari italiani, derivante dal fatto che la corrispondenza, per il suo concreto contenuto, favorisce il consolidamento della posizione di supremazia rivestita da A. rispetto al resto della popolazione detenuta, inevitabilmente rafforzata dal potenziale ruolo di difensore da lui esercitato nell’interesse di altri soggetti ristretti in carcere. 2. A.A. propone, con l’assistenza dell’avv. Stefania Gottero, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere il Tribunale di sorveglianza male interpretato la normativa in materia di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, che ammette il trattenimento delle sole comunicazioni dal contenuto illecito, che celino al proprio interno qualcosa o contengano scritti pericolosi per la sicurezza e l’ordine interno dell’istituto, quale non può essere considerata la richiesta di ausilio rivolta da un detenuto ad altro soggetto che, versando nella medesima condizione, abbia maggiore familiarità con la materia giuridica e processuale. 3. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e, pertanto, merita accoglimento. 2. La disciplina del trattenimento della corrispondenza, in entrata o in uscita, dei detenuti, novellata dalla L. 8 aprile 2004, n. 95, è contenuta nella L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 18-ter essa si applica indistintamente a tutti i soggetti reclusi e, quindi, anche a quelli sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis, per i quali, ulteriormente, il comma 2-quater, lett. e , prevede la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo che per quella con i membri del Parlamento o con le autorità Europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. L’art. 18-ter, dispone, al comma 5, che l’autorità giudiziaria di cui al comma 3 - individuata nel Magistrato di sorveglianza, nel caso di condannati e internati, ovvero nel giudice che procede, per gli imputati -qualora ritenga che la corrispondenza non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che sia trattenuta e che, in tale evenienza, il detenuto o l’internato sia immediatamente informato. La norma non introduce un esplicito obbligo motivazionale che, tuttavia, deve intendersi immanente in virtù - oltre che del necessario rispetto dell’art. 15 Cost., che prevede che la libertà e la segretezza della corrispondenza possano essere limitati solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria - della ratio ispiratrice dell’intervento operato dalla L. 8 aprile 2004, n. 95. Tale riforma, infatti, è stata adottata allo scopo di porre rimedio alla situazione che, in costanza di applicazione della previgente normativa, aveva condotto a reiterate sentenze di condanna della Corte EDU nei confronti dello Stato italiano, motivate dall’assenza di apposita disciplina in ordine alla durata delle misure di controllo sulla corrispondenza dei detenuti ed ai motivi che potevano giustificarle, nonché dall’insufficiente chiarezza nell’indicazione dell’estensione e delle modalità di esercizio della facoltà di valutazione spettante alle autorità competenti in materia cfr., tra le tante, sent. 23.2.2010, Mariano c/Italia sent. 14.10.2004, Vargas c/Italia sent. 28.9.2000 Messina c./Italia . 3. Al cospetto di una modifica normativa intesa a circoscrivere e meglio dettagliare i motivi per cui il detenuto può patire limitazione all’esercizio della libertà di corrispondenza, di cui egli è titolare al pari di qualunque altro individuo, e, vieppiù, di renderli conoscibili e prevedibili, l’obbligo, per l’autorità giudiziaria che disponga il trattenimento, di motivare la decisione rappresenta suo logico ed ineludibile portato, necessario per consentire al catalogo delle ragioni imposte per il controllo ed il trattenimento di svolgere la propria funzione di argine agli interventi intrusivi rispetto all’esercizio della libertà di corrispondenza del detenuto. Posto, allora, che l’art. 18-ter, comma 5, non contempla espressamente i casi in cui l’autorità giudiziaria può legittimamente disporre il trattenimento, è spettato alla giurisprudenza di legittimità il compito di chiarire che tanto può accadere a condizione che la lettura della corrispondenza metta in luce una delle esigenze indicate nel comma 1 il collegamento funzionale tra visto di controllo e trattenimento autorizza, dunque, l’impiego dei criteri elaborati in relazione al primo istituto al fine di delimitare l’ambito applicativo del secondo in questo senso, cfr. tra le altre, Sez. 1, n. 51187 del 17/05/2018, Falsone, Rv. 274479 . La motivazione del provvedimento di trattenimento deve, in altri termini, dar conto del fatto che la corrispondenza visionata determina, per il suo contenuto, una situazione di pericolo per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, oppure per l’ordine e la sicurezza dell’istituto. È stato, altresì, chiarito che, affinché detto onere motivazionale possa ritenersi soddisfatto, non basta l’indicazione di un mero sospetto della sussistenza dei presupposti del trattenimento, ma è necessario indicare gli elementi concreti da cui è stato desunto il pericolo per una delle esigenze di cui al comma 1 dell’art. 18-ter così, tra le tante, Sez. 5, n. 32452 del 22/02/2019, Falsone, Rv. 277527 . A tal fine, in passato, sono stati ritenuti sufficienti l’impiego di poche, ma incisive parole, dimostrative del fatto il magistrato di sorveglianza, lungi dall’indugiare nella mera ripetizione di formule di stile, ha offerto un’adeguata disamina dello specifico contenuto dello scritto trattenuto Sez. 1, n. 3713 del 04/12/2008, Lioce, Rv. 242525 , ovvero l’indicazione di elementi concreti che portino ad argomentazioni presuntive non espresse in termini di certezza, cioè in grado, quantomeno, di far ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura del testo Sez. 1, n. 9689 del 12/02/2014, Virga, Rv. 259472 . La motivazione del provvedimento di trattenimento può, dunque, essere sintetica, senza che ciò ne determini in sé l’illegittimità sotto altro aspetto, non è necessario che si dimostri che il contenuto della missiva inciti alla commissione di reati o contenga messaggi che mettono in pericolo indagini e investigazioni, richiedendosi solo che vengano indicati gli elementi concreti da cui si desuma, ad esempio, che il mittente sta cercando di trasmettere un messaggio occulto attinente ad una delle esigenze enunciate all’art. 18-ter. 3.1. Di recente, è stato ribadito che il controllo può riguardare esclusivamente la presenza o meno nel testo della stessa di elementi grafici che ne alterino l’apparente significato al fine di veicolare messaggi in violazione delle specifiche previsioni relative al suddetto regime Sez. 1, n. 31047 del 20/10/2020, Carpi, Rv. 279762 Sez. 1, n. 14870 del 04/03/2020, Guarino, Rv. 279124 . Trattasi, a giudizio del Collegio, di indirizzo che, nella sua formulazione letterale, si presta ad essere precisato e, in qualche misura, specificato, dovendosi rilevare - alla luce della ratio, sopra delineata, che presiede alla normativa sul trattenimento della corrispondenza e della gamma delle ipotesi fattualmente prospettabili - che l’esigenza di prevenzione dei reati ed il pericolo per l’ordine e la sicurezza dell’istituto possono ravvisarsi anche in assenza di un divario tra il contenuto apparente della comunicazione ed il messaggio effettivo da veicolare al destinatario. È, invero, ben possibile che una missiva che non celi un significato recondito o cifrato possa, in sé, produrre un effetto tale da mettere a repentaglio i beni a cui presidio si pone la normativa in materia di visto di controllo sulla corrispondenza e suo trattenimento. Al riguardo, va, da un canto, considerato che anche un contenuto esposto in modo chiaro e diretto può legittimare il trattenimento, quando, ad esempio, connotato da attitudine istigatoria rispetto alla commissione di reati. Dall’altro, è utile osservare che, se, come attestato dal diffuso indirizzo ermeneutico cui si è fatto cenno, il pericolo per i beni de quibus agitur, derivante dall’inoltro della missiva, deve essere ricollegato al contenuto della missiva, centrale si rivela l’esegesi della lettera, operazione che giocoforza risente, oltre che dell’eventuale carattere allusivo o criptico della comunicazione, delle circostanze che la accompagnano e, più in generale, del contesto esterno di riferimento. Echi di tale prospettiva si rinvengono, del resto, nella giurisprudenza di questa Corte, che non ha mancato di affermare, in apparente - ma, in realtà, insussistente, discutendosi, in quel caso, della personalità del soggetto con il quale il detenuto sottoposto al regime speciale ha intrattenuto la corrispondenza - contrasto con l’orientamento sopra richiamato, che In tema di controllo sulla corrispondenza dei detenuti sottoposti al regime di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, il magistrato di sorveglianza può disporre il trattenimento della corrispondenza non soltanto in ragione del contenuto della comunicazione, ma anche sulla base del giudizio di inaffidabilità soggettiva di colui che ha trasmesso la missiva al detenuto o che sia destinatario della corrispondenza da quest’ultimo inviata Sez. 1, n. 52525 del 17/05/2018, Falsone, Rv. 274407 . 4. Ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata non abbia fatto corretto governo delle coordinate ermeneutiche appena tratteggiate. Il Tribunale di sorveglianza assume che la richiesta, in quanto mirante ad ottenere da A. , esperto in materia giuridica, assistenza legale, potrebbe consolidare, se la lettera che la contiene fosse consegnata al destinatario, la leadership dell’odierno ricorrente nell’ambiente della criminalità organizzata ed all’interno della popolazione carceraria, accreditandone il ruolo di sapiente e valido paladino della causa dei detenuti. L’esigenza posta a giustificazione dell’operato trattenimento è, quindi, rinvenuta nel pericolo del rafforzamento del prestigio criminale di A. , certamente apprezzabile nell’ottica delineata dalla norma della cui applicazione si discute in quanto atta ad integrare le esigenze di cui al comma 1 dell’art. 18-ter. Il provvedimento impugnato si palesa, però, gravemente carente perché fondato su un sospetto, non accompagnato dall’esposizione degli elementi concreti che accreditano quella che resta, in buona sostanza, una semplice illazione. L’invio, da parte di un detenuto, di una singola missiva che - al di là dei toni accorati, sintomatici di cieca fiducia nel destinatario, che la contraddistinguono vedi tu cosa si deve fare solo tu mi puoi aiutare in questo caso - contiene una istanza di ausilio rivolta a persona che, grazie allo studio, ha maturato competenze giuridiche, è, infatti, un elemento in sé non in grado di dimostrare le ravvisate potenzialità offensive dei beni giuridici tutelati. A diversa valutazione potrebbe, invece, pervenirsi, sulla scorta di una più ampia e completa disamina - della quale il provvedimento impugnato non si è fatto carico - del contesto nel quale la spedizione della missiva si inserisce, che tenga conto dei concorrenti fattori di origine soggettivo ed oggettivo, quali, ad esempio, la caratura delinquenziale del mittente, il numero e la frequenza di analoghe richieste di consulenza, rivolte ad A.A. , la concentrazione della loro provenienza da determinati istituti penitenziari. 5. Il provvedimento impugnato si connota, dunque, per sostanziale assenza di motivazione, che ne impone l’annullamento con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Torino per una rinnovata valutazione che, libera nell’esito, colmi le gravi lacune sopra evidenziate. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.