Droga ceduta ma mai pagata: condannato per estorsione lo spacciatore che pretende il denaro pattuito

Confermata la condanna per un uomo, colpevole di avere pressato, anche con messaggi minatori, la persona a cui aveva ceduto la droga e che non aveva mai versato il denaro pattuito. Evidente, secondo i Giudici, la gravità della condotta, non catalogabile come esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.

Cocaina acquistata ma mai pagata . Pretendere con forza il denaro per la droga fornita vale una condanna per estorsione. Impossibile catalogare l’episodio come mero esercizio arbitrario delle proprie ragioni” Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 8603/21 depositata il 3 marzo . Ricostruita la vicenda, i Giudici di merito ritengono doverosa la condanna dell’uomo sotto processo. Evidente la sua responsabilità penale per il reato di estorsione . A inchiodarlo le dichiarazioni della persona offesa i riscontri forniti dai messaggi di contenuto minatorio rinvenuti sul cellulare della persona offesa i riscontri derivanti dalle dichiarazioni del padre della persona offesa , senza dimenticare poi l’arresto dell’uomo sotto processo, arresto avvenuto in occasione di una consegna controllata di denaro, contrassegnato preventivamente dalle forze dell’ordine . Decisiva poi la constatazione della mancanza di qualsivoglia legittimo titolo per prendere le somme de quibus in quanto collegate alla compravendita di sostanza stupefacente . In aggiunta, poi, i Giudici di secondo grado escludono la possibilità di riconoscere l’ attenuante del risarcimento del danno , in considerazione del carattere non satisfattivo della somma corrisposta, somma inidonea a fornire ristoro anche del solo danno morale in ragione della accentuata gravità delle condotte in discussione, gravità che comporta anche la negazione delle circostanze attenuanti generiche . Su quest’ultimo punto i Giudici pongono in rilievo la protrazione nel tempo delle condotte a carattere estorsivo e del collegamento tra la condotta e lo spaccio di stupefacenti , mentre vengono considerati irrilevanti i dati rappresentati dalla incensuratezza dell’uomo sotto processo e dalla offerta da lui presentata di una modesta somma per il risarcimento del danno , offerta che ha rappresentato, osservano ancora i Giudici, un mero espediente per evitare che la parte civile si costituisse in giudizio . Col ricorso in Cassazione, però, il ricorrente accusato di estorsione ribadisce tramite il proprio avvocato la tesi dell’ esercizio arbitrario di proprie ragioni . Secondo il legale, in particolare, sul tema della possibile legittima pretesa azionabile va tenuta presente anche la mera convinzione soggettiva di agire nell’esercizio di un diritto, rimanendo invece irrilevante il fatto che tale diritto non consentisse di ottenere effettivamente quanto preteso . Centrale nella linea difensiva è, quindi, il riferimento all’acclarata esistenza di un rapporto economico connesso alla compravendita di stupefacenti . Dalla Cassazione ribattono in modo netto, ricordando che ai fini della ipotizzabilità dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è qualificante il fine di esercitare un preteso diritto, da intendersi quale pretesa tutelabile davanti all’autorità giudiziaria. Di conseguenza, qualora non sia possibile individuare una pretesa legittima, ovvero si tratti di pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria, la condotta deve essere qualificata come estorsione . Questa prospettiva è pienamente applicabile alla vicenda in esame, poiché la pretesa di ottenere il corrispettivo della vendita di stupefacenti non risulta né legittima né esercitabile davanti alla autorità giudiziaria, né sul punto è invocabile il carattere putativo della legittimità della pretesa stessa , chiariscono i magistrati. Fatta chiarezza sul reato, viene anche respinta l’ipotesi di un ridimensionamento della condotta tenuta dal reo. Ciò perché è ritenuto evidente il danno morale arrecato alla persona offesa, alla luce delle peculiari circostanze dei fatti , del fatto che la contestata estorsione si inseriva in plurime condotte della stessa specie che già avevano portato a esborsi per decine di migliaia di euro e, infine, del coinvolgimento della stessa famiglia della persona offesa .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 ottobre 2021 – 3 marzo 2021, n. 8603 Presidente Rago – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna dell'odierno ricorrente in ordine a fattispecie di estorsione aggravata già pronunciata con sentenza 25 gennaio 2018 dal Tribunale di Bergamo. A fondamento della affermata penale responsabilità i seguenti elementi - le dichiarazioni della persona offesa TO. Ma. - i riscontri forniti dai messaggi di contenuto minatorio rinvenuti sul cellulare della persona offesa - i riscontri derivanti dalle dichiarazioni del teste TO. Lu., padre della persona offesa, - gli ulteriori riscontri derivanti dall'arresto dell'imputato successivamente ad una consegna controllata di denaro contrassegnato preventivamente dalla PG e dal relativo sequestro de danaro medesimo - il fatto che l'imputato fosse stato trovato in possesso di due coltelli - la mancanza di qualsivoglia legittimo titolo per prendere le somme de quibus in quanto collegate alla compravendita di sostanza stupefacente. La Corte territoriale ha inoltre escluso la possibilità di riconoscere l'attenuante del risarcimento del danno in considerazione del carattere non satisfattivo della somma corrisposta inidonea a fornire ristoro anche del solo danno morale in ragione della accentuata gravità delle condotte. Parimenti è stata esclusa la possibilità di riconoscere le circostanze attenuanti generiche in conseguenza della gravità della condotta e segnatamente della protrazione nel tempo delle condotte a carattere estorsivo e del collegamento tra la condotta e lo spaccio di stupefacenti da considerarsi elemento avente rilevanza assorbente rispetto all'incensuratezza o all'offerta di una modesta somma per il risarcimento del danno, quest'ultima considerata un mero espediente per evitare che la parte civile si costituisse in giudizio. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato AT. Vi. articolando i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione della vicenda alla stregua dell'esercizio arbitrario di proprie ragioni. Il ricorrente afferma che la sentenza de qua risulterebbe genericamente motivata perché terrebbe in considerazione soltanto le dichiarazioni della persona offesa tanto da ritenere sussistente l'aggravante dell'uso dell'arma pur in assenza di specificazioni di tempo e di luogo in ordine a tale condotta. In relazione poi alla ritenuta insussistenza di una legittima pretesa azionabile, segnala come dovrebbe ritenersi rilevante anche la mera convinzione soggettiva di agire nell'esercizio di un diritto rimanendo irrilevante il fatto che tale diritto non consentisse di ottenere effettivamente quanto preteso. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod pen. Il ricorrente ritiene illegittimo e incongruo che la Corte territoriale abbia fatto riferimento esclusivamente alle dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa mentre avrebbe dovuto tenersi conto del fatto che questa era portatrice di un interesse economico e non vi era alcun riscontro in ordine alla quantificazione delle somme asseritamente già versate dall'imputato. Inoltre, la posizione debitoria della persona offesa riguardava, a parere della difesa, non un danno ma un prezzo non pagato per l'acquisto di cocaina. 2.3. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla contestata aggravante. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine all'esistenza di un rapporto economico incontestato ed incontestabile connesso alla compravendita di stupefacenti e avrebbe piuttosto dovuto considerare l'incensuratezza e la mancanza di carichi pendenti dell'imputato medesimo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Quanto al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi che questa Corte ha evidenziato che - ai fini della ipotizzabilità dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni - è qualificante il fine di esercitare un preteso diritto, da intendersi quale pretesa tutelabile davanti all'autorità giudiziaria. Di conseguenza, qualora non sia possibile individuare una pretesa legittima ovvero si tratti di pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria la condotta deve essere qualificata come estorsione Sez. 2, Sent. n. 1901 del 20/12/2016 Rv. 268770 - 01 . Nel caso di specie, la pretesa di ottenere il corrispettivo della vendita di stupefacenti non risulta né legittima né esercitabile davanti alla autorità giudiziaria né sul punto è invocabile il carattere putativo della legittimità della pretesa stessa. 3. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che l'art. 62, n. 6 cod. pen. contiene una previsione che si incentra sul danno economicamente risarcibile, che impone una motivata valutazione dei caratteri di completezza e congruità del risarcimento offerto che - ove esclusi-legittimano un giudizio negativo anche in contesto con qualsivoglia dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa Sez. 1, Sentenza n. 11207 del 29/09/1994 Rv. 199623 - 01, Sez. 5, Sentenza n. 26388 del 20/03/2013 Rv. 256322 - 01 . Nel caso di specie, la motivazione in punto sussistenza ed entità del danno morale risulta logica e coerente in relazione alle peculiari circostanze dei fatti, al fatto che la contestata estorsione si inseriva in plurime condotte della stessa specie che già avevano portato a esborsi per decine di migliaia di Euro, al coinvolgimento della stessa famiglia del ricorrente si vedano sul punto le dichiarazioni del padre della persona offesa TO. Lu. . Le contestazioni del ricorrente in punto credibilità della persona offesa risultano peraltro inammissibili in quanto non si confrontano né con gli ampi profili di coerenza intrinseca ed estrinseca del dichiarante né con i riscontri richiamati dalla Corte e riportati in sede di descrizione del fatto. 4. Quanto al terzo motivo di ricorso, deve osservarsi che il diniego delle circostanze attenuanti generiche è fondato su motivazione in fatto che valorizza -in maniera logica e lineare - modalità e gravità della condotta. Al proposito, deve ribadirsi il principio affermato da questa Corte secondo cui il giudice del merito non ha alcun onere - ai fini del diniego delle medesime circostanze - di prendere in considerazione tutti gli ulteriori elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti rimanendo sufficiente l'indicazione dei profili di fatto ritenuti qualificanti Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 e rimanendo disattesi o superati tutti gli altri Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 . Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020