Figlia adolescente difficile da gestire: offenderla, minacciarla e sottoporla a privazioni materiali non è una soluzione

Riprende vigore l’accusa nei confronti di una coppia. Sotto i riflettori i comportamenti tenuti da quest’ultima tra le mura domestiche nei confronti della figlia avuta dalla madre durante un precedente matrimonio.

Minacciare la figlia di cacciarla di casa, offenderla – definendola brutta, grassa, stupida, una nullità” – e negarle momentaneamente il bagno, l’acqua calda, le scorte alimentari e, infine, alcune comodità , come uno specchio e una piastra per i capelli, rende plausibile l’accusa di maltrattamenti in famiglia” Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 8320/21 depositata il 2 marzo . A finire sotto accusa è una coppia. Sotto i riflettori i comportamenti tenuti da quest’ultima nei confronti della figlia minorenne della donna, nata durante un precedente matrimonio poi conclusosi con la separazione coniugale. Ricostruita la delicata vicenda, i Giudici del Tribunale condannano la coppia a sedici mesi di reclusione ciascuno , obbligandola anche a versare un adeguato risarcimento alla ragazza, costituitasi parte civile. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che la ragazza è stata maltrattata , avendole la madre e il suo nuovo compagno resa insostenibile la convivenza familiare . In Appello, però, a sorpresa, le accuse vengono ritenute prive di solidità. I Giudici di secondo grado ritengono certa la attendibilità delle deposizioni della ragazza e della sorella ma, tuttavia, escludono l’esistenza di condotte oggettivamente maltrattanti e di uno stato di avvilimento e soggezione nella persona della ragazza. In particolare, viene posta in evidenza la conflittualità familiare sfociata in frequenti discussioni e in iniziative di dubbia efficacia educativa da parte dell’uomo e della donna , prive, però, secondo i Giudici, di univoco significato di prevaricazione e sottomissione della ragazza . Inoltre, a fronte dei comportamenti strani dell’uomo , per i Giudici d’Appello manca la prova dell’abitualità e dell’inserimento in una ripetizione persecutoria e quindi maltrattante, tanto da potersi semmai inquadrare tali comportamenti quali dispetti . Immaginabile la reazione della ragazza alla decisione della Corte d’Appello. Consequenziale il ricorso in Cassazione, ricorso con cui il suo legale pone in evidenza l’esistenza di un quadro di ripetitivi comportamenti ingiuriosi e vessatori della coppia che, non riuscendo a gestire il rapporto con la fase adolescenziale della ragazza e con il malessere derivato dalla separazione dei genitori, l’hanno indotta ad abbandonare la casa familiare . Evidente, secondo il legale, l’errore compiuto in secondo grado, laddove gli episodi di aggressività verbale dell’uomo sono stati classificati come reazioni di un adulto incapace di controllo , mentre lo stato generico di paura della giovane è stato catalogato come determinato soprattutto da emozioni soggettive, legate al fatto che la madre non la proteggesse . Le perplessità manifestate dall’avvocato sono condivise dai Giudici della Cassazione, i quali osservano che le condotte descritte come oggettivamente vessatorie non sono state tuttavia ritenute idonee a integrare l’elemento materiale del reato contestato sull’assunto apodittico che le espressioni svalutanti e denigratorie abitualmente rivolte dall’uomo, persona adulta, nei confronti di una ragazza adolescente sei brutta e grassa”, sei stupida, sei una nullità”, hai il cervello piccolo” , le minacce di cacciarla di casa – con la compiacenza della madre – e le privazioni materiali fatte patire dalla coppia alla ragazza e alla sorella asportazione della chiave del bagno, dello specchio e della piastra per lisciare i capelli spostamento del televisore per impedirne la fruizione interruzione dell’acqua calda chiusura a chiave delle scorte alimentari costituissero espressione di una mera situazione conflittuale della giovane con la madre e il convivente di costei . Illogico, quindi, escludere il reato ipotizzato, cioè maltrattamenti in famiglia , osservano dalla Cassazione, soprattutto alla luce della puntuale ricostruzione probatoria del contesto familiare, caratterizzato da plurimi e ripetuti atti d’ingiurie, minacce e angherie varie, tali da sottoporre la ragazza a un regime di vita vessatorio . Poco plausibile, poi, anche la versione edulcorata offerta dalla madre, la quale ha presentato i fatti come maldestri tentativi di arginare le difficoltà nel percorso educativo della figlia adolescente , con la quale ha da sempre avuto un rapporto conflittuale , ha aggiunto la donna. Ma il comportamento della ragazza, pur in varie occasioni reattivo, non sminuisce la portata delle condotte descritte e addebitate alla coppia, chiariscono dalla Cassazione. Riprende quindi vigore l’accusa nei confronti della coppia. E ora, a fronte del materiale probatorio acquisito, è necessario un ulteriore processo in Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 febbraio – 2 marzo 2021, n. 8320 Presidente Criscuolo – Relatore Giorgi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25/09/2018 il Tribunale di Cagliari ha condannato S.G. e C.V. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile per il reato di cui agli artt. 110 e 572 c.p., per avere commesso atti di maltrattamento nei confronti di P.C. , figlia minore della C. , rendendole insostenibile la convivenza familiare. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Cagliari ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice circa la consistenza in fatto del reato contestato e pur ritenendo la attendibilità delle deposizioni della parte offesa e della sorella considerati fondati i rilievi difensivi in ordine alla sussistenza di condotte oggettivamente maltrattanti e di uno stato di avvilimento e soggezione in capo a P.C. , in riforma della pronuncia di primo grado assolveva entrambi gli imputati perché il fatto non sussiste . Ad avviso della Corte territoriale, da un lato il Tribunale non aveva sufficientemente approfondito nell’esame delle due sorelle il tema della conflittualità familiare sfociante in frequenti discussioni e in iniziative di dubbia efficacia educativa da parte di entrambi gli imputati, tuttavia prive di univoco significato di prevaricazione e sottomissione del soggetto passivo dall’altro, pur rimarcando comportamenti strani di S. , riteneva che mancasse la prova dell’abitualità e dell’inserimento in una ripetizione persecutoria e quindi maltrattante, tanto da potersi semmai inquadrare quali dispetti . 2. Il difensore della parte civile ha presentato ricorso avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, denunziando la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al travisamento e alla valutazione contraddittoria delle prove dichiarative in particolare dei testi P.C. e C.M. , oltre la persona offesa , dalle quali emergerebbe un quadro di ripetitivi comportamenti ingiuriosi e vessatori degli imputati che, non riuscendo a gestire il rapporto con la fase adolescenziale di C. e con il malessere derivato dalla separazione dei genitori, la avevano indotta ad abbandonare la casa familiare, minaccia questa proferita esplicitamente. La sentenza impugnata, pur avendo ritenuto attendibile la circostanziata deposizione accusatoria della persona offesa, che aveva elencato condotte integranti oggettivamente il delitto di maltrattamenti, in modo incongruo ha concluso per l’insussistenza del reato. Sotto diverso profilo la Corte territoriale ha erroneamente classificato gli episodi di aggressività verbale dell’imputato come reazioni di un adulto incapace di controllo e lo stato generico di paura della giovane come determinato soprattutto da emozioni soggettive, legate al fatto che la madre non la proteggesse. 3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9, senza l’intervento delle parti. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso della difesa della parte civile sono fondati. 2. Va rilevato che effettivamente la Corte territoriale, nel ribaltare il costrutto accusatorio condiviso dal primo giudice, ha contraddittoriamente e perciò illogicamente valutato le circostanziate dichiarazioni della parte offesa pure ritenuta attendibile oltre alle testimonianze di P.C. , C.M. , P.S. , che ne costituivano riscontro estrinseco. Le condotte descritte in sentenza come oggettivamente vessatorie non sono state tuttavia ritenute idonee a integrare l’elemento materiale del reato contestato sull’assunto apodittico che le espressioni svalutanti e denigratorie abitualmente rivolte da S. , persona adulta, nei confronti di una ragazza sedicenne sei brutta e grassa , sei stupida, sei una nullità , hai il cervello piccolo , le minacce di cacciarla di casa con la compiacenza della madre e le privazioni materiali fatte patire da entrambi gli imputati alla persona offesa e alla sorella asportazione della chiave del bagno, dello specchio e della piastra per lisciare i capelli, spostamento del televisore per impedirne la fruizione, interruzione dell’acqua calda, chiusura a chiave delle scorte alimentari costituissero espressione di una mera situazione conflittuale della giovane con la madre e il convivente di costei. Appare quindi contrastata dai rilievi fattuali la conclusione dei giudici di appello circa l’insussistenza del reato, a fronte della puntuale ricostruzione probatoria del contesto familiare caratterizzato invece da plurimi e ripetuti atti d’ingiurie, minacce e angherie varie, tali da sottoporre la persona offesa a un regime di vita vessatorio. Come esattamente osservato dal P.G. nella requisitoria, la Corte territoriale ha tentato di contemperare la ricostruzione della persona offesa con quella edulcorata resa dalla madre S. è rimasto assente dal dibattimento , che pur non avendo negato gli accadimenti descritti da P.C. , li ha descritti come maldestri tentativi di arginare difficoltà nel percorso educativo della figlia adolescente, con cui aveva da sempre avuto un rapporto conflittuale. Tuttavia il comportamento della persona offesa, pur in varie occasioni reattivo, non sminuisce la portata delle condotte descritte. In conclusione, l’apprezzamento in fatto del materiale probatorio acquisito risulta affetto da un serio deficit valutativo, che ne vulnera il necessario rigore logico. 3. Risultano pertanto fondate le censure della parte civile in punto di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata e di contraddittorietà della stessa con le evidenze probatorie, attesa l’erroneità e l’insufficienza dei parametri di giudizio adottati, sicuramente non dotati di adeguata capacità ricostruttiva ed esplicativa dei fatti contestati agli imputati. Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata che, trattandosi di caducazione in accoglimento esclusivo del ricorso della parte civile per i soli effetti della responsabilità civile, comporta, ai sensi degli artt. 576 e 622 c.p.p., il rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello sezione civile della Corte di appello di Cagliari . P.Q.M. Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 572 c.p., e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.