Assegni famigliari e sequestro preventivo: quando non opera il divieto di pignoramento

La Corte ha affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto di pignoramento delle somme percepite a titolo di assegno per il nucleo familiare non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare.

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza n. 6537/21, depositata il 19 febbraio. Una coppia ricorre in Cassazione avverso l’ordinanza di annullamento del Tribunale di Firenze che si era pronunciato sulla richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo di alcune somme, finalizzato alla confisca per equivalente . Essi si lamentano, tra i vari motivi, della non assoggettabilità a sequestro di tali somme in quanto derivanti dal versamento degli assegni famigliari . La Corte afferma a riguardo il principio di diritto secondo il quale, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto , stabilito dall’art. 22. d.P.R. n. 797 del 1955, di pignoramento delle somme percepite a titolo di assegno per il nucleo familiare non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare . Per questo motivo, il ricorso è inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 ottobre 2020 – 19 febbraio 2021, n. 6537 Presidente Lapalorcia – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1.I sigg.ri Gi. Pi. e Or. Ca., articolando due motivi, ricorrono per l'annullamento dell'ordinanza del 17/06/2020 del Tribunale di Firenze che, pronunciando sulla richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, della somma di Euro 445.796,86, corrispondente al profitto del reato di cui all'art. 10-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000, loro provvisoriamente ascritto per le annualità 2013 Euro 257.194,00 e 2015 Euro 188.602,86 , ha annullato il decreto limitatamente alla somma di Euro 188.602,86 in quanto inferiore alla nuova soglia di punibilità stabilita dall'art. 8, D.Lgs. n. 158 del 2015 , confermandolo nel resto. 1.1.Con il primo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. b , cod. proc. pen., la non assoggettabilità a sequestro delle somme derivanti dal versamento degli assegni famigliari in quanto assolutamente impignorabili ai sensi degli artt. 545, commi primo e secondo, cod. proc. civ., e 22, D.P.R. n. 797 del 1955, e l'omessa motivazione sul punto, trattandosi di questione non rimandabile alla sede esecutiva, come erroneamente ritenuto dal tribunale del riesame sul rilievo che non è in discussione la legittimità del provvedimento impugnato. 1.2.Con il secondo motivo deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. b , cod. proc. pen., la particolare tenuità del residuo fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. il superamento della soglia di punibilità è pari al 3% e l'omessa motivazione sul punto da parte del Tribunale del riesame che ha rimandato la questione alla fase della 'piena cognitio'. 2.Gli argomenti difensivi sono stati ulteriormente illustrati con memoria del 29/09/2020 Considerato in diritto 3. Il ricorso della Ca. è inammissibile è infondato quello del Pi 4.La Ca., ancorché persona sottoposta a indagine per i reati per i quali si procede, non è titolare di alcuna situazione giuridica attiva lesa dal decreto di sequestro preventivo oggetto di riesame che ha attinto esclusivamente le somme giacenti sul conto corrente del quale il Pi. deduce di essere intestatario pag. 1 del ricorso . La ricorrente, perciò, non aveva e non ha alcun interesse concreto ad impugnare il provvedimento cautelare dal cui annullamento non trarrebbe alcun beneficio. 4.1.La legittimazione ad impugnare, attribuita all'imputato/persona sottoposta alle indagini dall'art. 322, comma 1, cod. proc. pen., deve essere coniugata con il principio secondo il quale per proporre impugnazione è necessario avervi interesse art. 568, comma 4, cod. proc. pen. . L'interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione stessa sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743 Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018 Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093 Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269 Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169 Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397 Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497 . 4.2.L'art. 322, cod. proc. pen., in ossequio a quanto prevede l'art. 568, comma 3, cod. proc. pen., secondo il quale il diritto di impugnazione spetta solo a colui al quale la legge espressamente lo conferisce, individua coloro ai quali spetta espressamente il diritto di proporre riesame avverso il decreto di sequestro. La specificazione, contenuta nel successivo comma quarto dello stesso art. 568, cod. proc. pen., secondo cui per impugnare occorre avervi interesse, rende chiara l'intenzione del legislatore di distinguere la legittimazione a proporre impugnazione dall'interesse ad impugnare. L'impugnazione è lo strumento processuale per ottenere un risultato concreto che può essere utilizzato solo da chi è legittimato a servirsene sicché l'impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non è legittimato o, pur essendolo, non ha interesse art. 591, comma 1, lett. a, cod. proc. pen. . 4.3.Illuminante, sul punto, Sez. U, Serafino, cit., per la quale la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. Sulla base di tale premessa, è stata affermata la carenza d'interesse dell'imputato - che aveva patteggiato la pena per il delitto di spaccio di modica quantità di stupefacenti, vedendosi confiscare la somma ricavata dalla cessione -a impugnare il capo relativo alla confisca, sul rilievo che la questione relativa alla legittimità di quest'ultima era meramente teorica e astratta, una volta esclusa l'esistenza, per il cedente, in una cessione illecita per contrarietà a norme imperative, di un diritto a rientrare nella disponibilità del prezzo ricavato, e cioè la tutelabilità jure civili della sua pretesa, configurabile, pertanto, come interesse di mero fatto. 4.4.Nel caso di specie, la ricorrente - come detto - non è proprietaria dei beni in sequestro dei quali non potrebbe mai essere disposta la restituzione in suo favore. Perciò, ancorché persona sottoposta alle indagini, persegue un interesse di mero fatto che rende privo di concretezza e attualità l'interesse a proporre sia il riesame che l'odierno ricorso. 4.5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso della Ca. consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. 5.Il ricorso del Pi. è infondato. 5.1.In sede di riesame il ricorrente, come anticipato, aveva dedotto l'assoluta impignorabilità, ai sensi degli artt. 545, primo e secondo comma, cod. proc. civ., e 22, D.P.R. n 797 del 1955, delle somme giacenti sul proprio conto corrente pari ad Euro 8.342,76 in quanto corrisposte dall'INPS nel mese di maggio 2020 a titolo di assegni per il nucleo familiare. Su detto conto, afferma il ricorrente, viene accreditato anche il sussidio di disoccupazione. 5.2.A norma dell'art. 545, cod. proc. civ., i. Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. 2. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza . 5.3.L'art. 22, D.P.R. n. 797 del 1955, recita Gli assegni familiari non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti se non per causa di alimenti a favore di coloro per i quali gli assegni sono corrisposti . 5.4.Gli assegni familiari sono stati sostituiti con gli assegni per il nucleo familiare dall'art. 2, comma 1, D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge n. 153 del 13 maggio 1988, che - come ricordato dalla Corte costituzionale - ha radicalmente innovato l'istituto degli assegni familiari, trasformandolo - con riguardo alla sola categoria dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, in servizio o in quiescenza, ed a quella dei lavoratori assistiti contro la tubercolosi - in assegno per il nucleo familiare, attribuito secondo un criterio selettivo fondato sulla limitatezza del reddito della famiglia in correlazione al numero delle persone facenti parte del nucleo familiare Corte cost., sentenza n. 516 del 1995 . Il comma 1 dell'art. 2, D.L. n. 69 del 1988, così recita Per i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall'assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali, a decorrere dal periodo di paga in corso al 1. gennaio 1988, gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato e la maggiorazione di cui all'art. 5, D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, cessano di essere corrisposti e sono sostituiti, ove ricorrano le condizioni previste dalle disposizioni del presente articolo, dall'assegno per il nucleo familiare . Il comma 3 del medesimo articolo fa salva la applicazione delle norme contenute nel testo unico sugli assegni familiari, approvato con D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, per tutto quanto non previsto dal medesimo articolo 2. Di qui la persistente applicazione, anche agli assegni per il nucleo familiare dei limiti alle azioni esecutive previste dall'art. 22, D.P.R. n. 797 del 1955, per gli assegni familiari. 5.5.Il Tribunale del riesame non ha affrontato la deduzione difensiva osservando che la questione attiene alle modalità esecutive del decreto di sequestro e non al decreto . 5.6.L'affermazione è errata. 5.7.Il tema posto dal ricorrente riguardava e riguarda la confiscabilità del bene sottoposto a sequestro preventivo e, dunque, un requisito di legittimità del decreto, non le sue modalità esecutive. L'art. 321, comma 2, cod. proc. pen., autorizza il giudice penale a disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca il legislatore utilizza un linguaggio del tutto simile se non proprio sovrapponibile a quello del primo comma, ultima parte, dell'art. 316, cod. proc. pen., che, nel disciplinare i presupposti e gli effetti del provvedimento di sequestro conservativo, ne limita l'applicazione ai casi in cui la legge ne consente il pignoramento . Come autorevolmente ricordato da Sez. U, n. 38670 del 21/07/2016, Culasso, la pignorabilità del bene costituisce un vero e proprio presupposto di legittimità del provvedimento sicché la catena dei rinvii, dall'art. 318 cod. proc. pen. all'art. 324, fino al comma 9 dell'art. 309, rende evidente come il controllo demandato al tribunale del riesame sia pieno e non soffra delimitazioni ma debba tendere alla verifica di legittimità della misura ablativa per tutti i suoi profili, compresi quelli di sostanza e derivazione civilistiche, salvo l'esercizio del potere di devoluzione al giudice civile ai sensi dell'art. 324, comma 8, cod. proc. pen. . Le Sezioni unite ne hanno tratto argomento per affermare, nel caso da loro scrutinato, che la questione relativa alla insequestrabilità dei beni conferiti nel fondo patrimoniale non riguarda la fase esecutiva del sequestro bensì la sua astratta legittimità. Allo stesso modo, hanno aggiunto, il tribunale del riesame deve accertare la legittimità del sequestro anche in relazione ai limiti imposti dall'art. 545 cod. proc. civ. crediti impignorabili o, ancora, alla normativa speciale sugli stipendi e compensi di qualunque specie dovuti ai pubblici dipendenti D.P.R. n. 180 del 5 gennaio 1950 o alla diversa normativa sugli assegni vitalizi, sulle polizze assicurative, etc o ai numerosi altri crediti regolati dal codice civile come sottratti al pignoramento, quali quelli di cui agli artt. 2117, 326 e 1881 senza tralasciare quelli previsti dal codice della navigazione . 5.8.Le basi logiche e giuridiche del ragionamento della Corte nel suo massimo consesso sono pienamente sovrapponibili al caso in esame nel quale, non diversamente da quello scrutinato dalle Sezioni unite, si discute per l'appunto, della confiscabilità dei beni sequestrati in quanto ritenuti assolutamente o relativamente impignorabili. I valori costituzionalmente garantiti della dignità della persona, della solidarietà sociale ed economica, del diritto del lavoratore ai mezzi indispensabili ad assicurare a sé stesso e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, a presidio dei quali è posto il divieto di pignoramento dei crediti indicati dall'art. 545 cod. proc. civ., sono inviolabili e non possono essere pregiudicati nemmeno dalla possibilità della loro confisca in sede penale. Il rango costituzionale di tali valori non rende la qualificazione del bene come confiscabile in sede penale indifferente alla natura civilistica del credito di cui è oggetto. Sicché il principio affermato dalle citate Sez. U, Culasso, Rv. 267592 - 01, secondo il quale in tema di impugnazione delle misure cautelari reali, le questioni attinenti al regime di pignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo sono deducibili con la richiesta di riesame e devono essere decise dal tribunale del riesame, al quale è demandato un controllo pieno , che deve tendere alla verifica di legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili , può essere esteso, senza alcun dubbio, anche alla confiscabilità dei beni sottoposti a sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321, comma 2, cod. proc. pen. 5.9.Il rinvio alla sede esecutiva deciso dal Tribunale del riesame in risposta alla deduzione difensiva sulla impignorabilità e dunque non confiscabilità delle somme giacenti sul conto corrente sequestrato si traduce in un vizio di omessa motivazione, legittimamente deducibile in questa sede di legittimità. Il vizio, tuttavia, pur sussistente, non ha natura decisiva perché la dedotta inconfiscabilità delle somme non ha fondamento. 5.10.Dalle stesse deduzioni difensive e dalla documentazione allegata al ricorso risulta che le somme accreditate sul conto corrente del Pi. nel mese di maggio dell'anno 2020 erano relative a crediti maturati a titolo di assegni per il nucleo familiare nel periodo che va dal 01/05/2015 al 31/12/2018 per un importo complessivo Euro 8.777,36 oltretutto superiore a quanto ancora presente sul conto in sede di sequestro. Oggetto di provvisoria ablazione, di conseguenza, non sono i crediti bensì somme già liquidate a titolo di pagamento di crediti pregressi la cui funzione non è più attuale. 5.11.Gli assegni per il nucleo familiare condividono con gli alimenti legali la natura di prestazione assistenziale materiale. Il loro presupposto è costituito da uno stato di bisogno attuale derivante dalla presenza di familiari a carico Cass. civ., Sez. L, n. 12886 del 19/12/1997, Rv. 511067 - 01 Cass. civ., Sez. L, n. 3918 del 27/04/1996, Rv. 497280 - 01 . Ne consegue che gli arretrati corrisposti a titolo di assegni per il nucleo familiare non assolvono più alla funzione di sostenere un bisogno economico attuale, soprattutto quando, come nel caso di specie, si tratta di periodi ben antecedenti al tempo dei pignoramento o del sequestro. Più semplicemente, tali somme perdono la loro identità di crediti alimentari e, pertanto, non sono sottoposte ai limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti, con conseguente applicazione del principio generale di cui all'art. 2740 cod. civ. in tal senso, cfr. Cass. civ., Sez. L, n. 26042 del 17/10/2018, Rv. 651193 - 01, secondo cui il trattamento pensionistico versato sul conto corrente e pignorato in data antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2015, di modifica dell'art. 545 c.p.c, è sottoposto all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del deposito irregolare . Solo per le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità dovute al rapporto di lavoro o di impiego, ivi comprese quelle a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, il legislatore ha espressamente previsto un limite quantitativo al pignoramento delle somme accreditate in data anteriore al pignoramento stesso art. 545, comma ottavo, cod. proc. civ., aggiunto dall'art. 13, comma 1, lett. I, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 . Una analoga disciplina non è stata prevista per gli assegni per il nucleo familiare. 5.12.Pertanto, deve essere affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto, stabilito dall'art. 22, D.P.R. n. 797 del 1955, di pignoramento delle somme percepite a titolo di assegno per il nucleo familiare non opera quando le somme siano già state corrisposte all'avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare in senso conforme, quanto al divieto, stabilito dall'art. 545 cod. proc. civ., di pignoramento delle somme percepite a titolo di credito retributivo o pensionistico in misura eccedente il quinto del loro importo, Sez. 2, n. 42553 del 22/06/2017, Rv. 271183 - 01 Sez. 3, n. 44912 del 07/04/2016, Rv. 268771 - 01 . 6.Anche la questione relativa alla immediata applicazione, in sede di riesame, della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto, non è stata gestita dal tribunale della libertà in modo coerente con gli insegnamenti della Corte di cassazione. 6.1.L'art. 129 cod. proc. pen., obbliga il giudice a rilevare immediatamente, in ogni stato e grado del processo, l'esistenza di una causa di non punibilità, anche in sede di riesame, ancorché ai limitati fini della decisione da assumere, decisione che, quando assunta dal tribunale del riesame o dal giudice della cautela, non vincola il pubblico ministero nelle sue determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale, tanto meno il giudice della piena cognitio' arg. ex. art. 22 cod. proc. pen. . Questa Corte ha costantemente affermato il principio che l'esistenza di una causa di non punibilità deve essere sommariamente verificata anche nella fase del riesame, quando essa risulti immediatamente dagli atti di causa. In tali ipotesi il giudice, qualora ritenga la sua sussistenza, deve trarre tutte le conseguenze opportune nell'ambito esclusivo della verifica dei presupposti del provvedimento adottato dall'autorità che procede, con riferimento all'astratta configurabilità del reato ipotizzato Sez. 2, n. 22407 del 14/05/2013, Rv. 255938 - 01 Sez. 2, n. 19180 del 16/04/2013, Rv. 255409 - 01 Sez. 2, n. 862 del 02/12/2002, Rv. 223479 - 01 Sez. 2, n. 2092 del 07/05/1996, Rv. 204729 - 01 . 6.2. tale principio non si sottrae la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto ove, in sede di riesame, la stessa emerga ictu oculi sulla base degli elementi indiziari raccolti così, Sez. 3, n. 8989 del 08/10/2019, Rv. 278415 - 01 . Errato, dunque, rimandare automaticamente la questione al giudice della cognizione piena quasi fosse l'unico in grado di effettuare tale valutazione. 6.3.E, tuttavia, anche in questo caso, la deduzione difensiva non è decisiva perché se si può astrattamente condividere che lo scostamento tra la somma non versata Euro 257.194,00 e la soglia di punibilità prevista dall'art. 10-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000 Euro 250.000,00 , non è particolarmente elevata, tuttavia, in sede cautelare, l'evidenza che impone l'immediata applicazione dell'art 129 cod. proc. pen., esige parametri decisamente più restrittivi e scostamenti minimi rispetto alla soglia di punibilità. Ciò, ovviamente, senza considerare che anche gli altri elementi che concorrono a qualificare il fatto come di speciale tenuità devono emergere con altrettanta evidenza. In questo senso si può forse cogliere, nella decisione impugnata, l'impossibilità di anticipare in sede cautelare un giudizio più informato sulla condotta ascritta al ricorrente che ne colga le cause ed il contesto complessivo impedendo di rilevarne, ictu oculi', la speciale tenuità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di Ca. Or. condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di Gi. Pi. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 14/10/2020.