Obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva in caso di appello-bis

Nel giudizio di rinvio, qualora, in presenza di una pronuncia di condanna emessa in primo grado, si produca un ribaltamento tra le decisioni d’appello, la prima, assolutoria, poi annullata, e la seconda, di condanna, emessa all’esito del giudizio di rinvio derivato dall’annullamento da parte della Corte di Cassazione, in relazione a quest’ultimo non sussiste l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, poiché in tal caso si configura un’ipotesi di doppia pronuncia conforme” che salda la condanna all’esito del giudizio rescissorio con quella emessa dal primo giudice .

Sul tema, la Suprema Corte con la sentenza n. 6552/21, depositata il 19 febbraio. Il Tribunale di Palmi condannava un imputato per i reati di omicidio aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione, tentato omicidio dell’unico testimone di quanto accaduto, detenzione e porto di arma comune da sparo. La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ribaltava la decisione, ma la pronuncia veniva annullata dalla Corte di Cassazione. La vicenda è dunque tornata all’attenzione della Corte d’Assise calabrese quale giudice del rinvio. La Corte confermava dunque la condanna. L’imputato ricorre dunque in Cassazione, lamentando sia la violazione dell’art. 603 c.p.p., in quanto la Corte d’Assise d’Appello sarebbe venuta meno all’obbligo di rinnovare dinanzi a sé la prova dichiarativa da parte del testimone oculare dei delitti sia la violazione degli artt. 192 c.p.p. e 575 c.p. per l’illogicità e carenza nella valutazione del compendio indiziario operata dalla Corte territoriale. La Suprema Corte ha affermato, a riguardo, il seguente principio di diritto nel giudizio di rinvio, qualora, in presenza di una pronuncia di condanna emessa in primo grado, si produca un ribaltamento tra le decisioni d’appello, la prima, assolutoria, poi annullata, e la seconda, di condanna, emessa all’esito del giudizio di rinvio derivato dall’annullamento da parte della Corte di Cassazione, in relazione a quest’ultimo non sussiste l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, poiché in tal caso si configura un’ipotesi di doppia pronuncia conforme” che salda la condanna all’esito del giudizio rescissorio con quella emessa dal primo giudice . Per questo motivo, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 novembre 2020 – 19 febbraio 2021, n. 6552 Presidente de Gregorio – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, decidendo quale giudice del rinvio a seguito dell’annullamento della prima sentenza d’appello datata 1.6.2016 che aveva ribaltato la condanna emessa in primo grado assolvendo l’imputato, ha confermato la decisione di condanna emessa dalla Corte d’Assise del Tribunale di Palmi del 7/3/2015 nei confronti di C.S. alla pena di trent’anni di reclusione ed al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili in ordine ai reati di - omicidio ai danni di I.D. , aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione capo A tentato omicidio di D.E. , anch’esso aggravato negli stessi termini e commesso altresì con la finalità di occultare il suddetto omicidio capo B - detenzione e porto di arma comune da sparo, aggravati dal nesso teleologico con gli altri reati capo C . L’annullamento è stato disposto dalla Prima Sezione Penale di questa Corte di legittimità con sentenza n. 39755 del 10/1/2018. 2. Secondo la ricostruzione che ha portato alla condanna dell’imputato, C.S. , il giorno 29.9.2012, si era recato nel fondo di I.D. e gli aveva sparato quattro colpi di pistola, uccidendolo successivamente, l’imputato aveva tentato di uccidere anche D.E. , l’unico testimone di quanto accaduto, operaio di nazionalità bulgara presente sul posto per eseguire dei lavori, senza tuttavia che i colpi esplosi all’indirizzo di quest’ultimo ne provocassero la morte la vittima, infatti, era stata attinta al volto ed era caduto in terra, mentre C. , credendolo morto, si era allontanato. D.E. , invece, era riuscito ad ottenere soccorso, era stato ricoverato in ospedale in rianimazione, sottoposto a due interventi chirurgici e curato, ma, a seguito delle ferite, aveva perduto un occhio. Egli, quale unico testimone oculare dei fatti, è stato sentito più volte nel corso delle indagini, anche subito dopo i fatti e, successivamente, in audizione con incidente probatorio. La sua testimonianza è stata fondamentale per l’individuazione dell’imputato quale autore dei delitti da parte del giudice di primo grado, che ha tratto il proprio convincimento, peraltro, anche da ulteriori elementi esterni a i risultati di accertamenti stub che avevano rivelato tracce di sparo su C.S. e su alcuni suoi indumenti b diverse testimonianze dalle quali si era individuato un possibile movente del delitto, collegato a questioni relative ad una servitù di passaggio sul fondo agricolo teatro dei fatti e sul quale erano in corso lavori, diretti proprio ad impedire l’esercizio di detta servitù. Viceversa, in seguito all’impugnazione da parte dell’imputato, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione di condanna emessa in primo grado, lo ha assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, con sentenza del 1 giugno 2016, decisione poi annullata dalla Corte di cassazione. La distanza argomentativa tra le due decisioni di merito si era realizzata, in particolare, sul valore del riconoscimento dell’imputato come autore dei delitti effettuato dal testimone oculare D.E. . Secondo la Corte d’Assise d’Appello, il riconoscimento non poteva dirsi certo poiché messo in discussione da alcuni elementi, soprattutto ricollegabili a discrasie fra le varie dichiarazioni di costui in alcuni passi, infatti, D.E. aveva reso indicazioni riferite ai fratelli C. , A. e S. , e non solo al secondo. Inoltre, gli ulteriori indizi acquisiti, esterni alle dichiarazioni, come le tracce di sparo su C.S. , non erano dimostrativi della sua certa responsabilità, perché giustificabili in modo alternativo. 3. In seguito al ricorso per cassazione proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, la Prima Sezione Penale ha annullato la sentenza di riforma in chiave assolutoria della Corte d’Assise d’Appello rilevando alcune carenze motivazionali del provvedimento di overturning nella valutazione di attendibilità/inattendibilità del testimone oculare, e precisamente - non era stata condotta un’analisi dettagliata dell’intero compendio probatorio disponibile, in modo da tener conto del peso di tutti gli elementi indiziari emersi - non si era tenuto conto delle condizioni di salute precarie del testimone oculare dei fatti al momento in cui, inizialmente, aveva indicato nel fratello dell’imputato C.A. , l’autore del reato, salvo poi correggersi in tutte le successive dichiarazioni, ascrivendo invece i delitti a C.S. anche nel corso dell’incidente probatorio e spiegando le ragioni dell’iniziale errore, che egli stesso aveva ricondotto alle difficoltà dovute al momento particolarmente concitato, immediatamente successivo alle gravi lesioni subite - non si erano valutate adeguatamente le difficoltà espressive del testimone dovute al fatto che egli non è italiano pur essendo in grado di esprimersi in maniera elementare in lingua italiana - non era stata spiegata in maniera logica e convincente dalla Corte territoriale la sua sottovalutazione indiziaria delle tracce stub sugli indumenti e sul corpo dell’imputato e le ragioni sulla base delle quali aveva ritenuto credibile la versione difensiva alternativa di costui - C.S. ha raccontato di aver aperto, nella mattina del giorno dei reati, un armadio contenente armi e di aver in tal modo subito la contaminazione di particelle di residui di sparo -, spiegazione che, invece, si comprende la Cassazione ritiene poco verosimile - non era stata spiegata la rilevanza della circostanza costituita dal fatto che gli indumenti sui quali erano state trovate tracce stub non corrispondevano a quelli indossati dall’aggressore secondo il testimone, posto che era stato accertato come la contaminazione avesse riguardato anche il corpo dell’imputato - era stata insufficiente l’analisi della sentenza assolutoria d’appello anche sul tema del movente delittuoso, in mancanza di qualsiasi ricerca od approfondimento di moventi alternativi, tali da mettere in crisi, anche su questo piano, la ricostruzione del primo giudice. 4. La sentenza del giudice del rinvio impugnata dinanzi al Collegio, dal canto suo, ha preso atto delle indicazioni di annullamento ed ha rinnovato, rispetto alla precedente sentenza di appello, il giudizio valutativo sulle dichiarazioni rese dal testimone chiave D. , riconsiderando le sue condizioni di salute al momento in cui aveva indicato C.A. , e non il fratello, odierno imputato, come autore del delitto. 5. Avverso la sentenza rescissoria ha proposto ricorso l’imputato, tramite i difensori, avv. Staiano e avv. Gatto, deducendo quattro distinti motivi. 5.1. Il primo argomento di censura evidenzia violazione di legge in relazione all’art. 603 c.p.p La Corte d’Assise d’Appello sarebbe venuta meno all’obbligo di rinnovare dinanzi a sé la prova dichiarativa costituita dall’esame del testimone oculare dei delitti, D. , nonostante la giurisprudenza della Corte EDU preveda tale necessità ai fini di realizzare un giusto processo in caso di testimonianza decisiva della quale sia stata proposta una valutazione differente rispetto ad altro giudice, per affermare la colpevolezza dell’imputato. Nel caso di specie doveva risolversi sia l’incertezza quanto al contenuto del narrato del teste, sia l’incertezza relativa alla sua reale capacità di esprimersi nella lingua italiana e di comprenderla, sicché la nuova assunzione testimoniale dinanzi al giudice chiamato a decidere nel giudizio di rinvio era essenziale, anche alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite Dasgupta e Patalano. 5.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e art. 575 c.p. per la valutazione del compendio indiziario operata dalla Corte territoriale, che si ritiene illogica e gravemente carente, soprattutto avuto riguardo alla prova chiave del processo, e cioè la testimonianza della vittima sopravvissuta. Passando in rassegna, dunque, le dichiarazioni del teste D. e confrontando brani della sentenza impugnata con brani di quella assolutoria annullata, la difesa evidenzia come - nelle prime dichiarazioni rese il giorno 1.10.2012 durante il suo ricovero e subito dopo i fatti, il testimone oculare ebbe ad indicare non l’imputato, ma il fratello C.A. quale autore dei reati e tale racconto è stato illogicamente svilito dalla sentenza rescissoria, che ha voluto, invece, ritrovare spazi di incertezza e scarsa lucidità narrativa da parte sua, dovuti ad una condizione di salute non necessariamente abbinabile ad un deficit cognitivo od espressivo, peraltro mai accertato dai sanitari dell’ospedale ove era ricoverato e dove fu sentito a sommarie informazioni dai Carabinieri che stavano conducendo le indagini inoltre, si è prestato credito alla spiegazione del testimone circa la sua scarsa capacità di comprensione della lingua italiana in assenza di un’interprete spiegazioni fornite in sede di incidente probatorio , travisando sia la testimonianza del capitano R. - che lo aveva ascoltato in ospedale - sia della Dott.ssa P. che lo aveva curato, i quali entrambi hanno convenuto pacificamente sul fatto che D. parlasse e comprendesse la nostra lingua - la sentenza del giudice del rinvio ha ritenuto in modo illogico che la mancata individuazione fotografica dell’imputato, quale autore del reato, nelle sommarie informazioni del 9.10.2012 da parte del testimone oculare, sia irrilevante, anche perché al giudice non era consentito alcun confronto, stante la non acquisizione dell’album fotografico tale affermazione è apodittica e sarebbe stata superabile dall’acquisizione di detto documento, che ben poteva essere disposta. Si ignora il dato, inoltre, che il riconoscimento vi fu, in quella sede, ma con l’indicazione del fratello dell’imputato quale autore dei fatti. Si contesta, altresì, la motivazione del provvedimento impugnato - nel punto relativo alla ritenuta credibilità del testimone D. , nonostante le aporie e contraddizioni evidenti del suo narrato, attribuendo queste ultime alle sue condizioni di salute e, in maniera del tutto insufficiente, all’assenza di motivi di astio da parte sua nei confronti dell’imputato - in relazione al superamento dell’antinomia costituita dalla incongruenza tra la descrizione degli indumenti indossati dall’autore dei delitti svolta dal teste e i vestiti del ricorrente sui quali sono state repertate le particelle residue di spari da arma da fuoco. La Corte territoriale ha in maniera congetturale spiegato tale incongruenza sostenendo che l’imputato si sia cambiato i vestiti ed abbia contaminato quelli nuovi indossati, sui poi sono stati ritrovati di residui di sparo - in ordine alla plausibilità e affidabilità degli accertamenti tramite stub , che sarebbero possibili in modo utile , secondo letteratura scientifica che si cita e a giudizio della consulenza tecnica di parte svolta, solo in un tempo molto breve dallo sparo, pari ad un delta di due/quattro ore. Ebbene, nel caso del ricorrente i prelievi sono stati effettuati a distanza di oltre quattro ore dai fatti alle 18.40 del giorno dell’omicidio, avvenuto tra le 14 e le 14.30 , sicché non possono rivestire carattere di affidabilità. Si contestano, infine, con il medesimo motivo di ricorso, sia le affermazioni relative alla certezza del movente svolte dalla sentenza rescissoria, là dove si dimentica che la famiglia C. era sempre stata rispettosa delle modalità legali per far valere i propri diritti sul fondo, promuovendo controversie dinanzi ai giudici nel corso degli anni sia quelle riferite alla circostanza di valenza indiziaria costituita dalle capacità ed abilità di tiro con armi da fuoco accertate nel ricorrente, facendo leva meramente sulla passione sportiva di costui e la frequentazione da parte sua del poligono locale. 5.3. Il terzo argomento difensivo attinge, ai sensi dell’art. 606 c.pp., comma 1, lett. b ed e , la motivazione sulla sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico rispetto al delitto di tentato omicidio, che sarebbe stato commesso dal ricorrente per garantirsi l’impunità dall’ancor più grave reato di omicidio, aggravante che la difesa ritiene incompatibile con l’assenza di volontà di uccidere e far sparire il testimone oculare desumibile dalle circostanze dell’azione. 5.4. Infine, un quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione illogica quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, escluse in considerazione delle sole modalità della condotta senza procedere ad una valutazione soggettiva di meritevolezza delle stesse. 6. In data 9.11.2020 sono stati depositati motivi nuovi dai difensori dell’imputato, avv. Staiano e avv. Accorretti, che evidenziano due ulteriori argomenti di censura. 6.1. Anzitutto, si deducono molteplici violazioni di legge processuale e vizio di motivazione illogica quanto alla ritenuta non necessità di rinnovare la prova dichiarativa costituita dalla testimonianza di D.E. . Si argomenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di istruzione dibattimentale, allorché si proceda per un reato diverso da quelli espressamente previsti dall’art. 190-bis c.p.p., è consentita la lettura delle dichiarazioni rese dal testimone nel corso dell’incidente probatorio solo successivamente alla rinnovazione del suo esame, ove richiesto dalle parti e possibile. Ed invece, sia il primo giudice che la Corte d’Assise d’Appello in sede rescissoria si sono limitati a rigettare la richiesta di ascoltare il teste, ritenendo sufficienti le dichiarazioni assunte in contraddittorio anticipato in incidente probatorio. Inoltre, nel giudizio rescissorio, il giudice d’appello non ha compreso la portata del motivo di impugnazione della difesa, diretto non soltanto ad ottenere la rinnovazione istruttoria ex art. 603 c.p.p. ma anche a contestare il cattivo esercizio dei poteri ex art. 190 c.p.p. riconosciuti al giudice di primo grado in caso di prova testimoniale assunta già in sede di incidente probatorio. Ma tale disposizione non predica la necessità della rinnovazione della prova dichiarativa bensì soltanto la sua non irrilevanza o superfluità e su questi caratteri la Corte territoriale non si è espressa. In ogni caso, anche il rigetto della richiesta di rinnovazione in appello ex art. 603 c.p.p. è viziato da una motivazione solo apparente, laconica e meramente ripetitiva del dato normativo, priva di specificità e contestualizzazione rispetto a quanto argomentato nell’atto di impugnazione. Del resto, lo stesso argomentare della sentenza rescissoria, oscillante e necessariamente volto a sciogliere distonie della prova, conforta la fondatezza della richiesta difensiva di rinnovazione istruttoria. Avrebbero imposto tale esito, peraltro, anche il mancato, iniziale riconoscimento dell’imputato da parte di D. e la stessa necessità di disporre una perizia sugli accertamenti stub , ai quali si è conferito un supervalore, oltre le indicazioni della giurisprudenza di legittimità in tale ambito. Si evidenzia ancora, sotto il profilo normativo, l’applicabilità nel giudizio di rinvio della disposizione prevista dal nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p. Sez. 5, n. 32011 del 11/6/2019, Romano Monachelli, Rv. 277250 . Nel caso di specie, sebbene in primo grado vi fosse stata condanna dell’imputato, sicché la condanna in appello oggi impugnata non si presenta come decisione di ribaltamento rispetto a tale decisione, tuttavia lo diventa rispetto a quella pronunciata nel primo giudizio d’appello, concluso dall’assoluzione poi annullata dalla Corte di cassazione. Ed anche nel caso di specie, la diversità di esiti tra le due decisioni di secondo grado si fonda su una differente valutazione della prova dichiarativa decisiva. L’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, che prevede l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa da parte del giudice d’appello in caso di riforma della sentenza assolutoria, per tali ragioni dovrebbe essere interpretato nel senso della sua applicabilità anche in caso di ribaltamento in sede di giudizio di rinvio del precedente esito assolutorio d’appello annullato dalla sentenza rescindente della Suprema Corte, qualora, ovviamente, sia centrale la questione sull’attendibilità della prova dichiarativa. Si creerebbe, altrimenti, una disparità di trattamento tra posizioni analoghe, ponendosi anche una questione di legittimità costituzione dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e dell’art. 627 c.p.p., comma 2, nelle parti in cui non prevedono esplicitamente tale possibilità, che eventualmente si chiede al Collegio di valutare, qualora non ritenesse di accogliere il motivo sulla necessità di rinnovare la prova dichiarativa e sul relativo difetto di motivazione. 4.2. La seconda censura attiene al vizio di violazione di legge in relazione alla contestazione di omicidio e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, invocando anche il principio di motivazione rafforzata e più convincente disatteso dal giudice di rinvio. Non si sarebbe data risposta ai motivi d’appello riferiti all’inattendibilità del teste D. , desumibile dalla contraddittorietà delle versioni che hanno caratterizzato il suo racconto all’inadeguatezza delle giustificazioni che lui stesso adduce per spiegare la diversità del suo narrato, che non trovano conferma nelle dichiarazioni degli altri testimoni all’inattendibilità delle dichiarazioni rese anche dalla moglie di D. , prima scarne, poi generose di dettagli all’esistenza del movente, smentito dagli avvocati difensori dell’imputato nei giudizi riferiti alla controversia relativa ai fondi confinanti, i quali hanno negato che perdurasse una controversia irrisolta e che la famiglia C. fosse pericolosa . Si contestano ancora numerosi passaggi della ricostruzione in fatto svolta nella sentenza impugnata e, in particolare, gli esiti della perizia stub , reiterando l’argomento dell’eccessivo tempo trascorso tra delitto e prelievo del reperto si sarebbero, in generale, rivelati molteplici errori di travisamento della prova, in particolare quanto alla spiegazione delle diverse individuazioni fornite dal testimone oculare dell’autore dei reati, prima indicato nel fratello del ricorrente e solo dopo nell’attuale imputato, legate a condizioni di salute e difetti di comprensione linguistica non corrispondenti ai dati probatori raccolti. In particolare, si evidenzia che la Dott.ssa P. , che curò il testimone al momento del suo accesso in ospedale gravemente ferito, ha dato atto del suo stato vigile e collaborativo , che è stato svilito senza adeguata motivazione dalla sentenza impugnata, con l’obiettivo di ritenere irrilevanti le prime dichiarazioni del teste e mantenere ferma la sua attendibilità generale, facendo leva sulle sue condizioni di salute gravi al momento dell’assunzione di sommarie informazioni del 1.10.2012. La difesa eccepisce ancora l’incoerenza della svalutazione del mancato riconoscimento da parte del testimone dell’imputato quale autore del delitto nelle sommarie informazioni rese il 9.10.2012 e, parallelamente, dell’ipervalutazione dell’incidente probatorio del 12 novembre 2012, che non è stato affatto risolutivo rispetto alle incertezze sul quadro di gravità indiziaria lamentate dal ricorrente. Mancherebbe altresì qualsiasi motivazione da parte della sentenza rescissoria su alcuni aspetti in fatto della ricostruzione della vicenda, prospettati dagli atti d’appello D. aveva affermato contraddittoriamente di non aver visto compiutamente in viso l’aggressore perché attinto quando era di spalle, ma al tempo stesso lo aveva riconosciuto la ricostruzione dell’omicidio non era compatibile con gli spostamenti del ricorrente accertati nella mattina dei delitti non erano corrispondenti alla descrizione dell’agente operata dal testimone nè i vestiti del ricorrente sui quali sono state trovate le tracce di sparo, nè i suoi tratti somatici. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Anzitutto è opportuno procedere a chiarire alcuni approdi ermeneutici consolidati che conducono, per molta parte dei motivi proposti, ad una soluzione di inammissibilità, motivata dall’incoerenza della loro formulazione, orientata ad una prospettiva rivalutativa in fatto, rispetto al perimetro normativo previsto per il sindacato di legittimità. Come noto, infatti, i vizi motivazionali ed argomentativi di una pronuncia di merito possono essere dedotti in sede di legittimità purché volti entro un orizzonte preciso e ben delimitato, diretto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo del provvedimento impugnato, potendo ritenersi inadeguato, con conseguenze di annullamento, soltanto quell’impianto motivazionale che sia afflitto da manifesta illogicità. Esula, pertanto, dai poteri della Corte di cassazione, avuto riguardo ai vizi di motivazione, procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece ed in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559 Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 cfr. altresì Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, Falbo, Rv. 264441 Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215 Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716 Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965 . I motivi di ricorso, dunque, non possono tendere, a pena di inammissibilità, ad ottenere una ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, che il ricorrente ritenga maggiormente plausibili, senza tuttavia addurre contraddizioni decisive o manifeste illogicità nell’analisi probatoria e nel ragionamento ricostruttivo sviluppato dal provvedimento impugnato, il quale, invece, si muova entro direttrici di coerenza e chiarezza argomentative. In tale inammissibile prospettiva, invece, si muovono le ragioni di ricorso per la gran parte proposte dai ricorrenti, come si evidenzierà di qui a breve. 3. Deve darsi atto, tuttavia, preliminarmente, della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso aventi natura procedurale e preliminare ed attinenti, da un lato, alla mancata rinnovazione della prova dichiarativa costituita dal principale testimone del processo, D.E. , ai sensi dell’art. 603 c.p.p. e dell’art. 6 CEDU dall’altro, alla mancata riassunzione della sua testimonianza ai sensi dell’art. 190 c.p.p. ed al valore dell’incidente probatorio in dibattimento. 3.1. Quanto a tale secondo profilo di doglianza, se ne deve dichiarare l’inammissibilità per genericità. Invero, il Collegio ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l’incidente probatorio comporta la sua utilizzazione in sede dibattimentale senza alcun bisogno di procedere - si intende, obbligatoriamente - alla sua rinnovazione a seguito di richiesta del difensore, avanzata in ragione della necessità di provvedere ad integrazioni ovvero a contestazioni della stessa, risultando diversamente vanificata la funzione stessa dell’incidente probatorio così Sez. 4, n. 1832 del 23/10/2014, dep. 2015, Ventre, Rv. 261771 . Qualora la difesa ritenga necessario integrare la prova ovvero contestare nuove emergenze processuali, rientra nel potere discrezionale del giudice del dibattimento valutarne la completezza, salvo il diritto della parte di impugnare la relativa decisione. Non si ignora, d’altra parte, che, secondo una ricostruzione interpretativa presente in dottrina e nella giurisprudenza di questa stessa Corte, e richiamata dal ricorrente cfr. Sez. 1, n. 21731 del 20/2/2019, Alabi Kumbayo, Rv. 275895, che si ispira a Sez. U, n. 2 del 15/1/1999, Iannasso, Rv. 212395 nello stesso senso vedi anche Sez. 6, n. 40981 del 26/9/2008, G.C., non massimata , la prova dichiarativa raccolta in sede di incidente probatorio - con anticipazione del contraddittorio - pur se inserita nel fascicolo per il dibattimento, non è, per ciò solo, utilizzabile in sede di successivo giudizio, ma, allorché si proceda per un reato diverso da quelli espressamente previsti dall’art. 190-bis c.p.p., è consentita la lettura delle dichiarazioni rese dal testimone nel corso dell’incidente probatorio solo successivamente alla rinnovazione del suo esame, ove richiesto dalle parti e possibile. L’effetto di utilizzabilità deriva, sulla base di tale seconda opzione, dal contegno processuale tenuto dalle parti o dalla esistenza di deroghe a monte, alla disciplina ordinaria quale quella dettata dall’art. 190-bis citato dipendenti dal fatto di reato per cui si procede. Ciò perché l’anticipazione del contraddittorio in sede preliminare di incidente probatorio davanti al GIP, se da un lato garantisce circa le modalità di raccolta delle dichiarazioni in ragione di un pericolo di dispersione o di inquinamento della fonte, come risulta dalle ipotesi di cui all’art. 392 c.p.p., comma 1 , dall’altro rappresenta un vulnus al principio di immediatezza. Da ciò deriva la disciplina di legge di cui all’art. 511 c.p.p., comma 2, ove si afferma che, pur trattandosi di atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo , perché - aggiunge la sentenza citata - diventato impossibile ovvero perché nessuna delle parti lo richiede. La sentenza n. 21731 del 2019 espressamente non si ritiene in contrasto con il citato precedente arresto, n. 1832 del 2015, Ventre, Rv. 261771, in ragione della peculiarità della fattispecie decisa da tale pronuncia. Il Collegio evidenzia come oggi la questione debba essere letta anche alla luce delle affermazioni delle Sezioni Unite da ultimo svolte nella decisione Sez. U, n. 41736 del 30/5/2019, Bajrami, Rv. 276754, che ha puntualizzato alcuni approdi interpretativi condivisibili e frutto di una lettura complessiva del sistema processuale quanto alla valenza della prova assunta in dibattimento, decidendo per il caso di mutamento del giudice. L’obiezione di fondo che ispira il motivo di ricorso proposto, infatti, evoca il principio di immediatezza, oltre che fondarsi ovviamente su una lesione del diritto alla prova ex art. 190 c.p.p Ebbene, le Sezioni Unite, proprio partendo dalla citata pronuncia del massimo collegio nomofilattico del 1999, Iannasso, hanno chiarito che - la facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali presuppone la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all’art. 468 c.p.p. - in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile - l’intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Per giungere a tali affermazioni di principio, le Sezioni Unite hanno esaminato ampiamente il sistema processuale vigente, alla ricerca di un filo logico trasversale che risolva la questione dell’utilizzabilità, e della necessità di nuova acquisizione, delle prove che si siano formate dinanzi ad altro giudice, nello stesso o in diverso procedimento. In proposito, affermano le Sezioni Unite che l’art. 238 c.p.p., comma 5, a norma del quale, salvo quanto previsto dall’art. 190-bis c.p.p., le parti hanno il diritto di ottenere, ex art. 190 c.p.p., previa valutazione da parte del giudice di non manifesta superfluità, l’ammissione dell’esame delle persone le cui dichiarazioni confluite in verbali di prove di altro procedimento penale, assunte in incidente probatorio od in dibattimento siano state acquisite, e risultino utilizzabili contro l’imputato, ai sensi dell’art. 238, comma 2-bis, se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova. Orbene, se il legislatore ha espressamente attribuito al giudice il potere discrezionale di non ammettere in caso di manifesta superfluità le istanze probatorie volte ad ottenere la pedissequa reiterazione degli esami di soggetti dei quali siano stati acquisiti verbali di dichiarazioni rese in procedimenti diversi e quindi anche dinanzi a giudici diversi, purché in presenza del difensore dell’imputato , non si riuscirebbe francamente a comprendere la ragione per la quale dovrebbe essere preclusa al giudice la possibilità di operare analoga valutazione di non manifesta superfluità ai fini dell’ammissione della richiesta di reiterazione di esami già svolti in dibattimento nell’ambito del medesimo processo, nel contraddittorio fra tutte le parti interessate, regolarmente costituite e rappresentate, dinanzi allo stesso giudice inteso come autorità giudiziaria competente , pur diversamente composto. Un’interpretazione diversa da quella qui sostenuta comporterebbe indubbi problemi di compatibilità con il principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost., e ciò non può che indurre l’interprete a prescegliere l’interpretazione costituzionalmente legittima. Analoghe argomentazioni possono essere adottate nel caso di specie. Se il legislatore ha previsto che possano essere introdotte ed utilizzate nel dibattimento, ai sensi dell’art. 238 c.p.p., comma 2-bis, prove dichiarative assunte - tra l’altro - in incidente probatorio svoltosi in altro procedimento, purché alla presenza dei difensori dell’imputato, ed ha previsto il potere discrezionale del giudice di non ammettere, in caso di manifesta superfluità, le istanze probatorie volte ad ottenere la pedissequa reiterazione degli esami di soggetti dei quali siano stati acquisiti verbali di dichiarazioni rese in incidente probatorio in procedimenti diversi, purché in presenza del difensore dell’imputato, non si riuscirebbe a comprendere la ragione per la quale dovrebbe essere preclusa al giudice la possibilità di operare analoga valutazione di non manifesta superfluità ai fini dell’ammissione della richiesta di reiterazione di esami già svolti in incidente probatorio tenutosi nell’ambito del medesimo processo. L’esame delle persone che abbiano reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio, pertanto, può essere richiesto dalle parti, ma sarà ammesso solo previa valutazione da parte del giudice di non manifesta superfluità, sia per l’ipotesi di incidente probatorio reso in altro procedimento ai sensi dell’art. 238 c.p.p., comma 5, che richiama l’art. 190 c.p.p. , sia nel caso di prova dibattimentale assunta da giudice diversamente composto come affermato dalle Sezioni Unite espressamente , sia - deve aggiungersi - nel caso di incidente probatorio disposto nello stesso procedimento in cui si valuta l’utilizzabilità della prova dichiarativa. Ciò nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo e, al contempo, rispettando le garanzie difensive e procedurali del processo equo ai sensi dell’art. 6 CEDU Del resto, le Sezioni Unite trovano conferma della loro impostazione dalla più recente giurisprudenza costituzionale è richiamata la sentenza n. 132 del 2019 Corte Cost. che ha messo in luce le incongruità dell’attuale disciplina, se interpretata nel senso che il combinato disposto dell’art. 525 c.p.p., comma 2, art. 526 c.p.p., comma 1, e art. 511 c.p.p. obblighi il giudice del dibattimento a disporre la ripetizione dell’assunzione della prova dichiarativa ogni qualvolta muti la composizione del collegio giudicante, laddove le parti processuali non acconsentano alla lettura delle dichiarazioni rese dai testimoni innanzi al precedente organo giudicante, osservando che soltanto nel caso in cui il dibattimento sia fortemente concentrato nel tempo, celebrandosi in un’unica udienza o in più udienze che si susseguano senza soluzione di continuità, come previsto dall’art. 477 c.p.p., il principio di immediatezza risulta funzionale rispetto ai suoi obiettivi essenziali e cioè, da un lato, quello di consentire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale , utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio ordinanza n. 205 del 2010 Corte Cost. e, dall’altro, quello di assicurare che il giudice che decide non sia passivo fruitore di prove dichiarative già da altri acquisite. Aggiungono le Sezioni Unite che, secondo i giudici costituzionali, il diritto della parte alla nuova audizione dei testimoni di fronte al nuovo giudice o al mutato collegio non è assoluto, ma modulabile entro limiti di ragionevolezza dal legislatore, restando ferma - in particolare - la possibilità per il legislatore di introdurre presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio del diritto in questione Corte Cost. n. 132 del 2019 che cita le ordinanze n. 205 del 2010 n. 318 del 2008 e n. 67 del 2007 . Le linee essenziali di tale argomentare si valorizzano nell’analisi di un istituto processuale, quale è quello dell’incidente probatorio, che configura, per esplicita volontà legislativa, una deroga al principio di immediatezza nell’assunzione probatoria e, al contempo, assicura il pieno rispetto delle garanzie difensive delle parti esso non avrebbe ragione di esistere e di essere previsto se fosse imposta una regola di riassunzione generalizzata e tout court della prova dichiarativa, svincolata da qualsiasi valutazione del giudice di sua non superfluità e solo all’esito della quale potrebbe procedersi ad utilizzare le dichiarazioni rese in incidente probatorio. Nel caso sottoposto al Collegio, dunque, non doveva procedersi obbligatoriamente, ai fini dell’utilizzabilità delle dichiarazioni già assunte in incidente probatorio, al nuovo esame del testimone ex artt. 190 e 511 c.p.p., ma detto esame poteva essere richiesto ed il giudice avrebbe potuto ammetterlo ai sensi dell’art. 190 c.p.p., qualora non l’avesse ritenuto superfluo. L’art. 190-bis c.p.p., pure evocato dalla difesa del ricorrente, conferma tali conclusioni risolvendosi in una deroga al principio della generale ripetibilità della prova dichiarativa assunta in incidente probatorio qualora sia ritenuta utile dal giudice e non superflua, ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p., anche su indicazione delle parti nei termini previsti dall’art. 468 c.p.p., poiché, in determinati casi, prevede che tale prova possa essere riassunta, ma impone al giudice di circoscrivere il suo apprezzamento a quei soli casi nei quali l’esame riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze. La ragione ultima ed assorbente dell’inammissibilità del motivo proposto, pertanto, nel caso di specie, si fonda sul fatto che il ricorso non evidenzia se, in dibattimento dinanzi al primo giudice, la difesa abbia indicato nella propria lista testi D.E. , nè tantomeno se siano state specificate le puntuali circostanze sulle quali si riteneva non superflua la richiesta di dover risentire il testimone rispetto a quanto già acclarato nell’incidente probatorio, limitandosi il ricorrente, a sostenerne una generalizzata indispensabilità che non ne definisce le ragioni e finisce per essere solo un vuoto simulacro di giustificazione. Il dato semantico eccepito, e relativo al fatto che il giudice d’appello abbia operato una valutazione di non necessità, piuttosto che di non superfluità, scolora di significato di fronte alla circostanza che non si argomenta in ogni caso alcuna ragione specifica che superi la verifica di superfluità cui è giunta la Corte d’Assise d’Appello e che è pacificamente evincibile dall’intera, ampia motivazione del provvedimento impugnato, benché non espressamente richiamata nell’ordinanza contestata con cui non è stata disposta la rinnovazione della prova richiesta. Peraltro, correttamente la Corte di merito ha applicato lo statuto della rinnovazione ex art. 603 c.p.p., sostanzialmente valutando la sussistenza di tutte le condizioni per poter decidere con la prova dichiarativa già acquisita, senza necessità di procedere alla sua rinnovazione, ai sensi del comma 1 della disposizione in esame. Sotto tale profilo, anche l’altra parte del primo motivo di ricorso relativo alla denunciata apoditticità ed insufficienza delle ragioni argomentative del giudice del rinvio per escludere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con specifico riguardo alla prova testimoniale di D.E. , è manifestamente infondata, poiché smentita non soltanto dall’espressa risposta della Corte d’Assise d’Appello ma anche e soprattutto dall’intera ricostruzione della piattaforma probatoria, che, nel suo snodarsi logico, di cui si dirà al paragrafo 4, conferma la valutazione di insussistenza dell’esigenza di risentire la vittima del tentato omicidio, testimone oculare, altresì, dell’omicidio di I.D. . D’altronde, l’attenzione e lo scrupolo dei giudici nel rinvio nel decidere secondo le indicazioni derivate dall’annullamento e pienamente esercitando i propri poteri valutativi sono dimostrati dal fatto che, con la medesima ordinanza con cui si è rigettata la suddetta richiesta di rinnovazione della prova dichiarativa, si è ritenuto di disporre, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., una nuova perizia relativamente ad un diverso aspetto della piattaforma probatoria ed indiziaria, e cioè gli accertamenti peritali sui prelievi effettuati sul corpo e sugli indumenti dell’imputato, nonché l’accertamento balistico sui bossoli e sull’arma legittimamente da lui detenuta, compresi gli esiti comparativi da esame stub . 3.2. Quanto al secondo vizio procedurale eccepito, il ricorrente, nel primo motivo di ricorso e, ancor meglio, nel primo dei motivi nuovi ulteriormente proposti, ha sostenuto la tesi della necessità della rinnovazione della prova dichiarativa nel giudizio di rinvio dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello, in seguito ad annullamento da parte della Corte di cassazione della precedente sentenza assolutoria di secondo grado, sebbene il primo giudice abbia condannato l’imputato, sicché la condanna in appello non si presenta formalmente come decisione di ribaltamento nello snodo verticale del processo, bensì lo è solo in senso orizzontale , e cioè nel confronto con la prima pronuncia d’appello liberatoria poi annullata. Anche in tale ipotesi, infatti, secondo la difesa, la diversità di esiti tra le due decisioni di secondo grado si radica su una differente valutazione della prova dichiarativa decisiva, il che renderebbe applicabile la regola dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e l’obbligo di rinnovare la prova dichiarativa da parte del giudice d’appello in caso di riforma della sentenza assolutoria. A giudizio del ricorrente, a ragionare altrimenti, si creerebbe una disparità di trattamento tra posizioni analoghe, ponendosi anche una questione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e dell’art. 627 c.p.p., comma 2, nelle parti in cui non prevedono esplicitamente tale possibilità. In proposito, molto sinteticamente, valga rammentare che, quanto alla necessità di disporre la rinnovazione della prova dichiarativa che faccia parte del bagaglio cognitivo dei due giudizi di merito chiusi, nelle fasi di primo e secondo grado, da esiti contrapposti, l’elaborazione interna ha subito una forte spinta in avanti per l’interazione e le ricadute della giurisprudenza delle Corti Europee ed in particolare della Corte EDU, di seguito soprattutto alla decisione Dan c. Moldavia del 05/11/2011 che in realtà è stata preceduta da altre pronunce, a partire dal caso Bricmont c. Belgio del 07/07/1989, e poi, tra le tante, Costantinescu c. Romania del 27/06/2000 Sigurbòr Arnarsson c. Islanda del 15/07/2003 Destrehem c. Francia del 18/05/2004 Garda Ruiz c. Spagna del 21/01/2006 , secondo cui l’affermazione nel giudizio di appello della responsabilità dell’imputato prosciolto in primo grado sulla base di prove dichiarative è consentita solo previa nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione, a pena di violazione dell’art. 6 CEDU, e in particolare del par. 3, lett. d , che assicura il diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico più recentemente, cfr. Manolachi c. Romania del 05/03/2013 Flueras c. Romania del 09/04/2013 Manoli c. Moldavia del 28/02/2017 Lorefice c. Italia del 29/06/2017 . Nella scia di tale giurisprudenza assolutamente prevalente sebbene in alcune isolate occasioni la Corte EDU abbia escluso la violazione dell’art. 6 CEDU allorché, pur in assenza di una nuova audizione dei testimoni, il giudice di appello sia pervenuto al convincimento della responsabilità dell’imputato motivando in maniera particolarmente approfondita la propria diversa conclusione rispetto a quella cui era pervenuto il giudice di primo grado cfr. Chiper contro Romania, 27 giugno 2017 Kashlev contro Estonia, sentenza 26 aprile 2016 , le Sezioni Unite hanno stabilito che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267487 . La sentenza di condanna emessa in violazione di tale obbligo di rinnovazione è affetta da vizio di motivazione per violazione del canone di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267492 Sez. U, n. 18620 del 19/1/2017, Patalano, Rv. 269785 cfr. anche Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-272431 e Sez. U, n. 14426 del 28/1/2019, Pavan, Rv. 275112 , ciò perché la presunzione di innocenza costituzionalmente tutelata impone, al fine di giungere alla riforma in senso di condanna, la scelta del metodo di acquisizione probatoria epistemologicamente più affidabile per l’apprezzamento della prova dichiarativa, e cioè quello che si basa sui principi di oralità e immediatezza. Le medesime regole interpretative valgono anche in caso di appello proposto dalla parte civile ai soli fini civili. Costituiscono prove orali decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell’esito della condanna Sez. U Dasgupta, Rv. 267491 . Il legislatore, dal canto suo, preso atto dell’evoluzione giurisprudenziale richiamata e delle ineludibili istanze provenienti dalle Corti Europee cfr., per l’evoluzione più recente, anche la sentenza Tondo c. Italia del 22 ottobre 2020 e Dan c. Moldavia n. 2 del 10 novembre 2020 , con la novella rappresentata dalla L. n. 103 del 23 giugno 2017, ha introdotto l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in caso di appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di primo grado assolutoria per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, mediante l’aggiunta del comma 3-bis all’art. 603 c.p.p Peraltro, le Sezioni Unite, con la citata sentenza Troise del 2018, hanno offerto un’interpretazione della nuova disciplina normativa che la modella come coerente con i propri arresti, offrendo un quadro coeso tra le opzioni giurisprudenziali, per come sintetizzate, e gli orizzonti applicativi della nuova disposizione processuale. 3.2. a. Tanto premesso, è necessario evidenziare la diversità della fattispecie in esame sia rispetto al perimetro legislativo disegnato dall’art. 603 c.p.p., nuovo comma 3-bis, sia avuto riguardo all’orizzonte di tutela disegnato dalle Corti Europee e dalle Sezioni Unite per i casi overturning di condanna in appello che siano stati adottati senza la riassunzione della prova dichiarativa decisiva. Nel caso proposto, infatti, a ben vedere, non si verte in un’ipotesi di ribaltamento tra il primo ed il secondo grado di giudizio di merito, bensì la dissonanza esiste tra due giudizi d’appello, il primo, emesso in senso assolutorio, il secondo, in chiave di condanna, all’esito del giudizio di rinvio derivato dall’annullamento da parte della Corte di cassazione. Giova premettere, altresì, come questa Sezione abbia recentemente chiarito che il campo applicativo della regula iuris prevista dalla disposizione di nuovo conio non comprende ipotesi diverse da quella di ribaltamento in chiave di condanna tra primo e secondo grado, sicché non soggiace all’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa la sentenza di conferma di quella di assoluzione già emessa in primo grado Sez. 5, n. 5716 del 8/7/2019, dep. 2020, Righetto, Rv. 278322 mentre è ricompresa l’ipotesi di appello proposto dalla parte civile Sez. 5, n. 32854 del 15/4/2019, Gatto, Rv. 277000 Sez. 5, n. 15259 del 18/2/2020, Menna, Rv. 279255 . Le Sezioni Unite, peraltro, già in precedenza erano intervenute per chiarire che tale obbligo non sussiste in caso di overturning assolutorio in appello, e cioè quando la condanna di primo grado subisca un ribaltamento favorevole all’imputato Sez. U, n. 14800 del 2018, Troise, cit. . Quanto al giudizio di rinvio, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, sì, come evocato dal ricorrente, l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 603, comma 3-bis, cit., in assenza di disposizioni transitorie che prevedano diversamente, anche in tale fase processuale, seppure la norma sia entrata in vigore successivamente alla sentenza di annullamento, ma sempre che, beninteso, ne ricorrano i presupposti Sez. 5, n. 32011 del 11/6/2019, Romano Monachelli, Rv. 277250, citata dal ricorrente . Il Collegio condivide tale impostazione e ritiene applicabile la regola processuale dettata dall’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, anche al giudizio d’appello di rinvio che si innesti su un’assoluzione pronunciata in primo grado in senso conforme, si veda Sez. 5, n. 3007 del 24/11/2020, dep. 2021, Marino . Le stesse Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-272431, hanno infatti evidenziato che l’interpolazione operata dal legislatore sul testo normativo dell’art. 603 c.p.p. non contempla eccezioni di sorta, ma consente l’applicabilità della regola posta dal nuovo comma 3-bis ad ogni tipo di giudizio . E tuttavia, si ribadisce, l’affermazione è valida purché ricorrano i presupposti applicativi, i quali, come emerge chiaramente anche dalla predetta pronuncia n. 32011 del 2019 di questa Sezione, citata dal ricorrente a sostegno della sua tesi, sono pur sempre che la mancata rinnovazione della prova dichiarativa sia intervenuta in un’ipotesi di overturning di condanna della sentenza di assoluzione di primo grado. Così non è, invece, nel diverso caso di ribaltamento tra i due giudizi d’appello che siano sorti, in seguito ad annullamento con rinvio, da una sentenza di condanna emessa in primo grado. In proposito, deve segnalarsi che, in una diversa prospettiva, una recente sentenza di questa Corte di legittimità, ha affermato che, nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non ricorre alcun obbligo di rinnovazione d’ufficio della prova dichiarativa ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, atteso che il giudice del rinvio, nell’ambito del perimetro delibativo fissato dalla pronuncia rescindente, è libero di valutare autonomamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto di annullamento, mentre l’eventuale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 2, è subordinata allo scrutinio in ordine alla rilevanza per la decisione delle prove nuovamente richieste dalle parti con i motivi di appello Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745, in una fattispecie, analoga a quella sottoposta al Collegio dall’odierno ricorrente, di ribaltamento tra la prima sentenza d’appello assolutoria annullata e la seconda di condanna emessa in seguito all’annullamento della prima in sede di legittimità ed all’esito del giudizio di rinvio . Da un punto di vista processuale, si è ritenuto che il paradigma normativo dell’art. 627 c.p.p. non soggiaccia alla regola dell’obbligo di rinnovazione, prevedendo che il giudice del rinvio sia chiamato ad esercitare le proprie funzioni rescissorie all’interno di uno specifico perimetro delibativo che gli viene tracciato dalla pronuncia rescindente della Suprema Corte Sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Rv. 273628 ed operando la specifica disposizione del comma 2 del citato art. 627, secondo cui se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione delle prove rilevanti per la decisione . Sotto altro profilo, secondo la richiamata sentenza, non sono pertinenti, al fine di giustificare l’obbligo di rinnovazione in sede di rinvio della prova dichiarativa, in caso di ribaltamento della prima sentenza d’appello all’esito del giudizio di rinvio, i richiami evidenziati dal ricorrente alla giurisprudenza convenzionale, in quanto essi si riferiscono al caso ordinario di ribaltamento in appello di un giudicato assolutorio in primo grado. In particolare, si è detto, per gli imputati per i quali opera l’annullamento, si ripropone una sequenza processuale che non esige una rinnovazione ex officio, in quanto il giudice del rinvio, pur nel rispetto di quanto stabilito dalla sentenza rescindente, giudica alla stregua dei motivi di appello proposti dagli imputati e non sulla scorta di un’impugnazione avanzata dal pubblico ministero. Nè può riconoscersi, poi, al ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di secondo grado assolutoria la qualità di condizione per l’applicazione dell’invocata regola di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3-bis. Infatti tale impugnazione, essendo collegata a motivi di merito, esaurisce la sua funzione esclusivamente nel giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio sarà quindi tenuto a confrontarsi esclusivamente con le motivazioni della sentenza di annullamento, alla stregua degli atti di appello degli imputati, e non con i motivi di ricorso avanzati dal pubblico ministero in sede di legittimità . Sotto il profilo più specifico del senso da attribuire al ribaltamento tra sentenze d’appello all’esito del giudizio di rinvio, un’ulteriore pronuncia, quasi coeva a quella appena esaminata e resa in una fattispecie analoga di ribaltamento in malam partem della prima sentenza assolutoria d’appello all’esito del giudizio di rinvio, ha affermato che un’interpretazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, quale quella che vorrebbe estenderne il campo applicativo anche al giudizio di rinvio andrebbe oltre il dato letterale, poiché la disposizione normativa fa espresso riferimento all’appello del pubblico ministero e non già al ricorso per cassazione, che è l’impugnazione della parte pubblica che ha condotto al ribaltamento denunziato Sez. 5, n. 52052 del 12/11/2019, n. m. , sottolineando acutamente la cassazione della prima sentenza di appello da parte di questa Corte ha fatto sì che oggi, con la riedizione della motivazione . e riguardando la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare che è stata confermata, ci si trova al cospetto di una doppia conforme, ipotesi in cui non si apprezza la violazione denunziata dal ricorrente . Il Collegio condivide tale ultima prospettiva ed i suoi approdi, che intende ribadire anche con un’ulteriore osservazione. Come si è puntualizzato in premessa del paragrafo, l’ipotesi in esame differisce profondamente da quella esaminata dalla giurisprudenza di legittimità e dalle pronunce della Corte EDU, nonché dalla disciplina dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis nel caso di ribaltamento di condanna che intervenga tra le due sentenze d’appello coinvolte nella dinamica del giudizio di annullamento con rinvio, infatti, la sentenza di primo grado e quella successiva di appello che la conferma, all’esito del giudizio rescissorio disposto dalla Cassazione, formano una diade non già intimamente contraddittoria, bensì del tutto coerente una doppia pronuncia conforme di condanna - come affermato anche dalla sentenza n. 53052 del 2019 - che non si presta alle obiezioni fondanti della linea interpretativa disegnata dagli approdi suddetti in tema di overturning di condanna che si sviluppa nell’ordinaria dialettica tra primo e secondo grado. Ma vi è di più. La pretesa distonia orizzontale tra i due giudizi d’appello, determinata dall’annullamento in sede di legittimità e dagli esiti del rinvio ex art. 627 c.p.p., in realtà non esiste, in quanto la sentenza rescindente della Corte di cassazione ha eliminato la sentenza annullata dal novero delle pronunce legittimamente emesse, tanto che di essa non deve tener conto il giudice del rinvio se non come paradigma negativo per non incorrere nei medesimi errori già oggetto delle censure in sede di legittimità cfr. Sez. 6, n. 42028 del 4/11/2010, Regine, Rv. 248738 Sez. 5, n. 42814 del 19/6/2014, Cataldo, Rv. 261760 Sez. 3, n. 34794 del 19/5/2017, F., Rv. 271345 . In sintesi, la sentenza che il ricorrente pone come primo termine di paragone del giudizio di ribaltamento - quella dagli esiti assolutori - in realtà è stata eliminata, travolta dalle conseguenze radicali degli effetti rescindenti dell’annullamento, e, pertanto, non può assurgere a polo di comparazione con la nuova sentenza d’appello che, uniformandosi al vincolo di rinvio, ha pronunciato una diversa decisione, questa volta conforme a quella di primo grado. L’inammissibilità per manifesta infondatezza delle ragioni del ricorrente, dunque, emerge in modo evidente. In conclusione deve affermarsi il seguente principio di diritto Nel giudizio di rinvio, qualora, in presenza di una pronuncia di condanna emessa in primo grado, si produca un ribaltamento tra le decisioni d’appello, la prima, assolutoria, poi annullata, e la seconda, di condanna, emessa all’esito del giudizio di rinvio derivato dall’annullamento da parte della Corte di cassazione, in relazione a quest’ultimo non sussiste l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, poiché in tal caso si configura un’ipotesi di doppia pronuncia conforme che salda la condanna all’esito del giudizio rescissorio con quella emessa dal primo giudice. Resta ferma, come detto, l’applicabilità dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e, in ogni caso, dell’obbligo di rinnovazione istruttoria della prova dichiarativa decisiva disegnato dal diritto vivente, al giudizio di rinvio nella diversa ipotesi, invece, in cui, la condanna in appello intervenga all’esito della fase rescissoria, in presenza di un’assoluzione pronunciata in primo grado. 3.2.b. Egualmente immediata è la percezione di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità proposta in relazione all’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e art. 627 c.p.p Al di là della sua genericità quanto alla rappresentazione delle ragioni di rilevanza della questione, l’eccezione di incostituzionalità è palesemente priva di fondamento, avuto riguardo alle possibili violazioni degli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 2, artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 par. 2 e 3 lett. d Convenzione EDU, per la evidente diversità delle due situazioni giuridiche proposte come irragionevolmente destinatarie di differenti discipline. In proposito, soccorrono ancora una volta i principi dettati dalle Sezioni Unite, che, nella teoria di sentenze rappresentate dalle pronunce Dasgupta, Patalano, Troise e Pavan, hanno evidenziato come è lo stretto collegamento fra la regola del ragionevole dubbio e il principio costituzionale della presunzione di innocenza ad imporre al giudice d’appello il rispetto di un più elevato standard argomentativo per la riforma di una sentenza assolutoria e che la garanzia della rinnovazione istruttoria, al contempo, interviene per controbilanciare il rischio di una prima condanna in appello una condanna emessa per la prima volta in appello , qualunque sia la natura, ordinaria o a cognizione contratta come nel rito abbreviato , del procedimento penale. Per questo, la stessa Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 124 del 2019, decidendo per la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, come interpretato dal diritto vivente e in particolare dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione quanto alla sua applicabilità ai processi celebrati con rito abbreviato, ha chiarito che la regola della prova epistemologicamente più valida quella riassunta nel contraddittorio dinanzi al giudice si collega all’esigenza di superare l’implicito ragionevole dubbio determinato dall’adozione di decisioni contrastanti nelle diverse fasi processuali - una prima di assoluzione, una seconda di condanna - e, dunque, di assicurare una piena tutela dell’interesse primario dell’imputato a non essere ingiustamente condannato. E la dilatazione dei tempi processuali, conseguente alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, trova giustificazione proprio nella necessità di un contatto diretto del giudice con i testimoni, imposta da tale esigenza. Parallelamente, secondo la Corte costituzionale, il principio della ragionevole durata del processo va contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, sicché il suo sacrificio non è sindacabile, ove sia frutto di scelte non prive di una valida ratio giustificativa, mentre invece al principio della ragionevole durata del processo possono arrecare un vulnus norme procedurali che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorretta da alcuna logica esigenza. Orbene, sarebbe del tutto illogico pretendere di riassumere i testimoni già sentiti in caso di doppia pronuncia conforme di condanna, anche all’esito di giudizio di rinvio - così come è stato affermato in caso di doppia conforme di assoluzione cfr. la citata sentenza n. 5717 del 2020 , ovvero di overturning assolutorio secondo l’insegnamento di Sez. U Troise - poiché in tal caso non vi è da superare in appello alcun ragionevole dubbio dettato specificamente dall’assoluzione di primo grado, nè da contrastare la presunzione di innocenza rafforzata da una tale assoluzione. A ritenere altrimenti, ed immaginando una necessità di rinnovare la prova dichiarativa decisiva estesa anche al caso di ribaltamento tra le sole sentenze d’appello, l’una assolutoria annullata con il giudizio rescindente, l’altra di condanna emessa all’esito del giudizio rescissorio un caso di overturning estraneo, dunque, alla dinamica verticale tra primo e secondo grado di giudizio , si finirebbe per snaturare la stessa struttura del giudizio d’appello, sostanzialmente cartolare, rendendolo un novum iudicium cfr. sul punto Sez. U Troise . In conclusione, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, e art. 627 c.p.p., per contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 2, artt. 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 par. 2 e 3 lett. d Convenzione EDU, nella parte in cui tali norme non prevedono, in presenza di una sentenza di condanna pronunciata in primo grado, l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva anche nel caso di ribaltamento tra due sentenze d’appello, l’una assolutoria, l’altra di condanna emessa all’esito del giudizio di rinvio, per la evidente diversità delle situazioni giuridiche proposte come irragionevolmente destinatarie di differenti discipline. 4. Venendo agli ulteriori profili di ricorso proposti, essi si rivelano manifestamente infondati ovvero formulati in fatto e, per questo, anch’essi inammissibili. La pronuncia rescissoria impugnata con ricorso al Collegio ha pienamente risposto al vincolo di rinvio ex art. 627 c.p.p., puntualizzato in maniera analitica dalla Prima Sezione Penale di questa Corte nella sentenza di annullamento, ed ha compiutamente disarticolato gli argomenti assolutori della decisione annullata. Anzitutto, si è sottolineata la non correttezza delle affermazioni svolte dalla precedente decisione d’appello in relazione alla discrasia delle dichiarazioni del testimone D. , che non avevano tenuto conto di come le condizioni fisiche di quest’ultimo, vittima del tentato omicidio, fossero molto serie e debilitate nella prima fase di assunzione delle sue sommarie informazioni, quando egli si trovava in ricovero ospedaliero in condizioni gravissime per le ferite subite dall’attentato. A riprova della totale attendibilità della testimonianza, sia sotto il profilo della dinamica dei delitti, sia quanto all’individuazione dell’imputato come autore di essi, la Corte di rinvio ha evidenziato le plurime indicazioni del ricorrente quale soggetto conosciuto da tempo e riconosciuto nel momento in cui gli ha sparato in volto, nonché il racconto concorde della moglie di D. teste de relato la cui testimonianza è pienamente utilizzabile secondo il principio del libero apprezzamento, essendo stato peraltro sentito il testimone di riferimento cfr. Sez. 6, n. 38064 del 5/6/2019, Pisani, Rv. 276062 e Sez. 6, n. 12982 del 20/2/2020, L., Rv. 279259 costei ha riferito di come il marito le abbia rivelato, immediatamente dopo l’intervento chirurgico subito ed una volta che si sentiva un pò meglio, di aver individuato il suo aggressore in quello dei fratelli C. che svolge la professione di ragioniere ed ha uno studio davanti al quale egli passa quasi quotidianamente, a riprova della piena sua conoscenza personale dell’imputato. La spiegazione delle divergenze iniziali riportate nelle sommarie informazioni, contestate in incidente probatorio al testimone e che avevano portato ad indicare nell’altro fratello l’aggressore omicida, è assolutamente logica e credibile, tenuto conto delle gravissime condizioni in cui si trovava la vittima sopravvissuta, colpita da un colpo di pistola ad un occhio, costretta in rianimazione, sottoposta ad intervento chirurgico delicatissimo, di eviscerazione del globo oculare sinistro, e solo dopo molte sofferenze risollevata nelle aspettative di vita e salute. In particolare, le assunzioni testimoniali avvenute nei giorni immediatamente dopo l’agguato sono state decisamente condizionate, secondo la ricostruzione della Corte d’Assise d’Appello, dal fatto che D. si trovava in una situazione di stress psico-fisico e dolore di tale rilevanza e gravità da costringere il capitano dei Carabinieri che lo ascoltava a dover interrompere di frequente l’assunzione di informazioni in ospedale la vittima era sottoposta a flebo, assistenza anestesiologica e respirazione con maschera d’ossigeno, aveva bisogno di riposo e non riusciva a parlare bene, il che acuiva i problemi espressivi e di comprensione, pure accertati, dovuti ad una conoscenza approssimativa della lingua italiana. A tal proposito, la sentenza oggi impugnata ricorda come anche in sede di incidente probatorio, e dunque successivamente alle sommarie informazioni rese nell’immediatezza del delitto, con una valutazione condivisa da tutte le parti processuali, era stato necessario nominare un interprete per procedere all’esame del testimone, per le rilevate sue difficoltà di comprensione ed espressione, appunto. La Corte di merito ritiene provata, pertanto, con ragioni del tutto plausibili, proprio quella incapacità linguistica che poteva aver dato luogo ad incomprensioni ed equivoci tali, considerate anche le precarie e gravi condizioni di salute del testimone, da far ritenere che egli, nelle dichiarazioni rese il 1.10.2012 e valutate dalla sentenza annullata come decisive per escludere la colpevolezza dell’imputato, stesse indicando come autore dei fatti non già quest’ultimo, appunto, bensì suo fratello. In proposito, nessun rilievo decisivo possono avere le risultanze mediche che davano la vittima come vigile e cosciente al momento dell’ingresso in ospedale il giudice del rinvio ha dato atto che, un conto è la possibilità di avere una capacità di comprensione minima vitale, altro è avere l’attenzione per riferire precisamente la drammatica vicenda subita alla polizia giudiziaria nelle ore immediatamente successive, tanto più con la scarsa padronanza linguistica dell’italiano che caratterizza D. . La sentenza rescissoria evidenzia ancora, con motivazione priva di aporie argomentative - l’irrilevanza del mancato riconoscimento fotografico dell’imputato da parte del testimone, sia per la sua non decisività in presenza di plurimi e diversi elementi di prova, sia perché, non essendo stato acquisito al dibattimento il fascicolo fotosegnaletico dal quale erano stati tratti i cartellini per le individuazioni, il giudice di merito non è stato posto in grado di testare l’affidabilità del risultato probatorio verificando la qualità delle fotografie, tanto più che lo stesso testimone D. rappresentò, al momento dell’individuazione, le sue difficoltà al riguardo per il formato troppo piccole delle immagini e la loro qualità. Tale circostanza, peraltro, sottolinea il Collegio, è del tutto marginale e priva di incidenza rispetto ad un’individuazione certa, ripetuta, derivante dalla conoscenza personale dell’autore dei fatti da parte della vittima, che ha spiegato di aver assistito direttamente ad un litigio sul fondo di proprietà di I. tra questi ed i due fratelli C. ed ha confermato di essere a conoscenza anche delle ragioni di astio tra loro - la valenza rassicurante e certa dell’incidente probatorio quanto al quadro di affidabilità delle dichiarazioni del testimone D. , sia nella ricostruzione della dinamica dei delitti, sia del movente dell’omicidio di I.D. e del tentato omicidio ai suoi danni, sia nell’individuazione dell’imputato come autore. D. , come anticipato, ha anche dato più volte spiegazione delle incoerenze del suo narrato dovute alla concitazione dei momenti immediatamente successivi al suo ferimento ed all’omicidio, nonché al dolore che stava provando ed alle condizioni di timore per la sua vita che lo spingevano evidentemente in parziale confusione - il decisivo riscontro probatorio alle dichiarazioni accusatorie di D. , costituito dall’analisi stub , che la Corte d’Assise d’Appello, in sede di rinvio, ha ritenuto di dover affidare ad una nuova perizia sui residui di sparo, molto approfondita e dall’esito più che confortante nel senso della condanna dell’imputato, sia per le tracce trovate sulla guancia e sulla mano dell’imputato, sia per aver escluso qualsiasi ipotesi di contaminazione dell’imputato alternativa alla sua condotta delittuosa, sia, infine, per l’assenza di particelle di alluminio a tenori elevati sulla pistola legalmente detenuta nell’armadio dall’imputato, a riprova del fatto che quelle presenti su corpo e indumenti di C.S. non potevano provenire da tale arma, a dispetto dell’alibi di costui che abbina le tracce all’aver avuto contatti, appunto, con tale pistola la mattina dell’omicidio analoga smentita, secondo la Corte, trova l’ulteriore spiegazione possibile che l’imputato fornisce della presenza su di sé di tracce di particelle derivanti da sparo, e cioè l’aver frequentato un’officina sempre in circostanze di tempo compatibili con i fatti è stato accertato, infatti, che sussistono importanti differenze dal punto di vista chimico tra i residui di impianti frenanti di auto e residui di armi da sparo, che li rendono non confondibili - la plausibilità del movente, accertato già nella sentenza di primo grado per essere riconducibile alla conflittualità risalente e pervicace tra le famiglie I. e C. , motivata dalla pretesa servitù di passaggio a carico del fondo di proprietà della prima ed a vantaggio di quello di proprietà della seconda. I.D. , dopo anni di contese giudiziarie, non concluse in sede civilistica proprio in merito alla sussistenza della servitù, attestate dalla documentazione acquisita nei giudizi di merito, intendeva impedire ai C. di usufruire di tale servitù e stava facendo realizzare, proprio da D.E. delle opere di interdizione al passaggio idonee allo scopo. Peraltro, nei mesi precedenti, l’ucciso era stato destinatario di una serie di episodi simbolicamente intimidatori che aveva anche denunciato ai Carabinieri aveva trovato divelti guardrail che aveva collocato all’inizio della strada di accesso per inibire il passaggio al fondo aveva ritrovato, in un’occasione, una tanica di benzina contenente liquido infiammabile all’ingresso del fondo e, in un’altra, due statue raffiguranti angeli con torce simili a quelli usati per ornare le tombe cimiteriali - le capacità di tiro con armi da fuoco dell’imputato, il quale era assiduo frequentatore del poligono di tiro di Palmi. 4.1. All’esito di tale analisi delle strutture portanti del ragionamento della Corte d’Assise d’Appello, devono ritenersi superate tutte le perplessità difensive che il ricorso fa assurgere a diverse ragioni di vizi motivazionali, anche per travisamento della prova, laddove esse invece volgono ad impegnare il Collegio in quella che nel par. 2 si è già definita un’inammissibile rivalutazione della piattaforma probatoria in senso più favorevole all’imputato, peraltro del tutto implausibile ed insostenibile in un pur sommario scrutinio relativo alla capacità di convincimento logico delle tesi prospettate. Si vogliono qui segnalare, tra l’altro e con ciò esaurendo l’analisi di motivi tanto particolareggiati quanto centrati in fatto e, dunque, sottratti al sindacato di questa Corte, le ragioni principali addotte dalla Corte di Assise d’Appello sulla tenuta della valutazione di credibilità ed attendibilità del teste e sull’affidabilità della perizia tecnico-balistica. Sotto il primo aspetto, dalla motivazione del provvedimento impugnato che riporta interi brani dell’incidente probatorio, è evidente che il teste ha tenuto ferma la sua linea d’accusa in modo convincente, nonostante sia stato sottoposto a duro controinterrogatorio da più di un difensore tutti hanno cercato di rimarcare la discrasia con le precedenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria a tutti D. ha risposto con risolutezza e ripetutamente che a sparare contro di lui e contro I. era stato, tra i due C. , il fratello ragioniere , che poi ha saputo chiamarsi S. , spiegando quanto avesse inciso sulla sua iniziale capacità di comprensione e di narrazione dei fatti, e, quindi, sull’erronea, iniziale indicazione dell’autore dei reati, la condizione di sofferenza e dolore provati. Quanto al secondo profilo, le risultanze dell’analisi balistica e chimica dei residui di sparo confortano pienamente dal punto di vista scientifico gli approdi della sentenza impugnata in punto di responsabilità dell’imputato le tracce di residui di spari trovate sulla guancia e sulla mano di C.S. l’esclusione di qualsiasi diversa ipotesi di contaminazione dell’imputato alternativa alla sua condotta delittuosa del tutto priva di riscontro, infatti, si è rivelata la diversa spiegazione offerta dal ricorrente, per la differenza tra le particelle derivanti dalla combustione da accensione di motori e quelle derivanti da sparo d’arma da fuoco l’assenza di particelle di alluminio a tenori elevati sulla pistola legalmente detenuta nell’armadio dall’imputato, a riprova del fatto che quelle presenti su corpo e indumenti di C.S. non potevano provenire da tale arma, a dispetto dell’ulteriore suo alibi. A tale rassicurante piano di prova, i motivi di ricorso oppongono, come detto, particolari asseritamente distonici del quadro disegnato per la responsabilità dell’imputato, irrilevanti o di portata congetturale smentiti, ovvero già superati dalla Corte d’Assise d’Appello ad esempio, la non corrispondenza dei vestiti del ricorrente con quelli dell’aggressore descritti dalla vittima, elemento di per sé privo di qualsiasi valore dirimente, visto che la contaminazione da polvere da sparo è stata riscontrata sul corpo stesso dell’imputato . 4.3. Inammissibili sono anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso. La ragione censoria riferita alla insussistenza dell’aggravante del nesso teleologico tra il reato di tentato omicidio di D. e quello di omicidio ai danni I. è manifestamente infondata ed anche genericamente formulata, apodittica e congetturale. I giudici del rinvio hanno concentrato la sua configurabilità in un dato inequivocabile il ricorrente, esperto tiratore, come si è rivelato essere dalla testimonianza del capitano dei carabinieri R. , che ha coordinato le indagini ed ha attestato le sue assidue frequentazioni al poligono di tiro di Palmi, ha mirato precisamente in una parte vitale del corpo di D. , il volto, con la finalità di uccidere un testimone scomodo - dunque per procurarsi l’impunità dal delitto di omicidio - e non già, come illogicamente sostenuto dalla difesa, per spaventarlo. Ed invero, la paura riguardo all’accaduto era già sicuramente presente nel sentire della vittima, la quale aveva visto uccidere con più colpi d’arma da fuoco il suo datore di lavoro pochi attimi prima dalla stessa persona, così come del tutto plausibile è la conclusione della Corte d’Assise d’Appello, secondo cui colui il quale spari ad una persona mirando al volto da distanza ravvicinata ha sicuramente l’intenzione di uccidere e del resto la stessa difesa non ha contestato la sussistenza del reato e non già solo quella di spaventare tale finalità, posto che non sussistevano ragioni di astio tra il ricorrente e la vittima, è logicamente stata attribuita alla volontà di eliminare un testimone oculare al fine di evitare l’identificazione come autore del delitto. Quanto al difetto di motivazione eccepito in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deve evidenziarsene la manifesta infondatezza. Il provvedimento impugnato ha argomentato la mancata concessione del beneficio, sia avuto riguardo alla gravità delle condotte commesse, sia all’assenza di elementi di segno positivo valorizzabili dalla personalità del ricorrente, a parte lo stato di incensuratezza. L’impostazione seguita corrisponde all’opzione interpretativa di questa Corte di legittimità secondo cui, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato Sez. 1, n. 39566 del 16/2/2017, Starace, Rv. 270986 Sez. 3, n. 44071 del 25/9/2014, Papini, Rv. 260610 . La ragione fondante della concessione delle circostanze attenuanti generiche ruota intorno all’esigenza, di cui si è fatto carico il legislatore, di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile. Pertanto, la meritevolezza di un tale adeguamento tra sanzione e disvalore del fatto commesso non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da determinare l’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio. Al giudice del merito chiamato a decidere, dunque, di una specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione spetta il compito di indicare plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, attraverso un giudizio di fatto la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269 Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 . Ed ancora, costituisce orientamento indiscusso sostenere che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente cfr. ex multis, da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899 . Nel caso del ricorrente, il giudice ha motivato in modo congruo, richiamando la gravità del fatto, per le modalità di realizzazione dell’omicidio, la dinamica e la volontà di procurarsi l’impunità da esso anche a costo di commetterne un altro, in assenza di elementi favorevoli di sorta e prendendo atto dell’insufficienza dello stato di incensuratezza di per sé stesso. 5. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. 5.1. Devono essere, altresì, decise le condanne alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che la Corte ritiene congruo determinare in Euro 4.800 per I.A. e P.D. , oltre accessori di legge Euro 4.000 per I.F. , I.V. , F.A. , B.A. , oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, D.E. e S.D. , nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la pronuncia Sez. U, ord. n. 5464 del 26/9/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 Il massimo collegio nomofilattico ha, infatti, chiarito che, nel giudizio di legittimità, in tema di liquidazione, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio che liquida in Euro 4.800 per I.A. e Plateroti Donatella, oltre accessori di legge Euro 4.000 per I.F. , I.V. , F.A. , B.A. , oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, D.E. e S.D. , nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.