Provano a raggirare il bancomat con una carta carburanti non di loro proprietà: legittima la condanna

A portare il caso in Cassazione è stato uno dei soggetti finiti sotto processo e condannati sia in primo che in secondo grado. Respinta la tesi difensiva, mirata a vedere riconosciuta l’ipotesi del reato impossibile.

Provare a raggirare il bancomat utilizzando una carta carburanti – di proprietà altrui – vale una condanna. Respinta la tesi difensiva, mirata a vedere riconosciuta l’ipotesi di reato impossibile. Ciò che conta, secondo i giudici, è l’evidente indebito utilizzo della tessera, a prescindere dal profitto poi non ottenuto Cassazione, sentenza n. 6184/20, sez. II Penale, depositata oggi . All’origine della vicenda giudiziaria c’è l’azione compiuta da alcuni uomini che prendono di mira due bancomat, provando a forzarli tramite l’utilizzo di una carta carburanti. Consequenziale l’accusa di indebito utilizzo di una carta di pagamento . A portare il caso in Cassazione è uno dei soggetti coinvolti e condannati sia in primo che in secondo grado. Tramite il legale di fiducia l’uomo sostiene l’inidoneità offensiva dell’azione incriminata. Ci si trova di fronte, difatti, a un maldestro tentativo di utilizzo improprio di una ‘carta carburanti ENI’, idonea solo all’acquisto di benzina, dalla quale nessuna utilità gli agenti avrebbero potuto mai trarre, tanto meno con gli strumenti a disposizione e l’hardware sportello automatico bancomat compulsato , osserva l’avvocato. Centrale nella linea difensiva è il richiamo alla assoluta inidoneità dell’azione a raggiungere un risultato utile qualsiasi . Dalla Cassazione ribattono però respingendo l’ipotesi del reato impossibile e chiarendo che la norma penale punisce la condotta di chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza , non essendone titolare , carte di credito o di pagamento . Il profitto è dunque oggetto di dolo specifico, che non necessariamente deve realizzarsi ai fini della integrazione del reato, mentre la condotta punibile è l’indebito utilizzo di una carta di credito o di pagamento quale certamente è la ‘carta carburanti ENI’ da parte di chi non ne è titolare . In sostanza, l’indebito utilizzo prescinde dalla conoscenza o dalla disponibilità del codice di accesso o dalla sua immissione in un apparecchio bancomat destinato al altri scopi, oltre che dal concreto conseguimento del profitto, che deve animare l’agire ma non necessariamente deve realizzarsi per ritenere concretizzato il reato. Per fare ulteriore chiarezza, poi, dalla Cassazione richiamano un precedente, ricordando che in passato si è affermato che il reato di indebita utilizzazione a fini di profitto di una carta di credito si consuma anche nell’ipotesi in cui l’utilizzazione di una ‘carta bancomat’, di provenienza furtiva, da parte di chi non è in possesso del codice PIN, è effettuata mediante la digitazione casuale di sequenze numeriche presso uno sportello di prelievo automatico di denaro, senza ottenere alcun prelievo di denaro . Quindi, indipendentemente dal conseguimento di un profitto per il soggetto agente o dal verificarsi di un danno per il legittimo titolare della carta , per la consumazione del reato non è necessario che la transazione giunga a buon fine , mentre può essere presa in considerazione, come in questo caso, la potenziale gravità patrimoniale della condotta .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 gennaio – 17 febbraio 2021, n. 6184 Presidente Diotallevi – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal medesimo tribunale, che aveva riconosciuto la responsabilità del ricorrente per il concorso nell'abusivo utilizzo di una carta di pagamento carburanti ENI. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore deducendo i seguenti motivi 2.1. Violazione della legge penale art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. , con riferimento all'art. 49, secondo comma, cod. pen. il fatto emerso all'esito dell'accertamento di merito non è offensivo, per inidoneità dell'azione. Trattasi invero di un maldestro tentativo di utilizzo improprio di una carta carburanti ENI, idonea solo all'acquisto di carburanti, dalla quale gli agenti nessuna utilità avrebbero potuto mai trarre, tanto meno con gli strumenti e l'hardware sportello automatico bancomat compulsato. 2.2. Medesimo vizio il ricorrente deduce in riferimento alla violazione e falsa applicazione della disposizione del codice penale art. 110 cod. pen. che sancisce la clausola di equivalenza causale nel concorso di persone nel reato, non essendo rimasto dimostrato quale concreto contributo causale abbia offerto il ricorrente all'azione condotta da altri soggetti presso lo sportello bancomat. 2.3. Vizio di motivazione per omissione art. 606, comma 1, lett. e, cod proc. pen. in riferimento alla negazione delle circostanze attenuanti generiche richieste con i motivi di gravame nel merito evidenziando la modesta gravità del fatto e la data remota dell'unico precedente penale che grava la biografia criminale del ricorrente. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati. 1.1. Con il primo motivo si censura la decisione di merito, che non ha riconosciuto cittadinanza al principio di offensività art. 49, secondo comma, cod. pen. nella fattispecie concreta, per assoluta inidoneità dell'azione a raggiungere un risultato utile qualsiasi. Va al riguardo osservato che non ricorre affatto ipotesi di reato impossibile, per inidoneità dell'azione, in quanto l'art. 55, comma 9, D.Lgs. 231/2007 ora art. 493 ter cod. pen. punisce la condotta di chi al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento il profitto è dunque oggetto di dolo specifico, che non necessariamente deve realizzarsi ai fini della integrazione del reato, mentre la condotta punibile è l'indebito utilizzo di una carta di credito o di pagamento quale certamente è la carta carburanti ENI da parte di chi non ne è titolare sicché l'indebito utilizzo prescinde dalla conoscenza o dalla disponibilità del codice di accesso o dalla sua immissione in un apparecchio bancomat destinata al altri scopi, oltre che dal concreto conseguimento del profitto, che deve animare l'agire, ma non necessariamente deve realizzarsi ai fini della integrazione della fattispecie. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato che il reato di indebita utilizzazione a fini di profitto di una carta di credito di cui all'art. 55, comma 9, D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 si consuma anche nell'ipotesi in cui l'utilizzazione di una carta 'bancomat', di provenienza furtiva da parte di chi non è in possesso del codice PIN, è effettuata mediante la digitazione casuale di sequenze numeriche presso uno sportello di prelievo automatico di denaro, senza ottenere alcun prelievo di denaro Sez. 5, n. 5692, del 11/12/2018, Rv. 275109 Sez. 5, n. 17923 del 12/01/2018, Rv. 273033 sez. 5, n. 16572 del 20/04/2006, Rv. 234460 , indipendentemente dal conseguimento di un profitto per il soggetto agente o dal verificarsi di un danno per il legittimo titolare della carta, non essendo necessario ai fini della consumazione del reato che la transazione giunga a buon fine Sez. 2, n. 45901 del 15/11/2012, Rv. 254358 . 1.2. Il secondo motivo, concernente la violazione della clausola di equivalenza causale di cui all'art. 110 cod. pen., che disciplina la punibilità nel caso di concorso di persone nel reato, non si confronta con la motivazione logica e congrua spesa dalla Corte territoriale sul punto. E' stata valorizzata nel merito la prova dichiarativa assunta nel dibattimento la condotta del ricorrente, osservata dal teste indifferente, era del tutto univocamente tesa a realizzare un utile dall'uso indebito della carta, tanto che gli agenti tutti armeggiavano nei pressi di due sportelli bancomat con attrezzi e con la carta in loro possesso. 1.3. La medesima sorte processuale avvince il terzo motivo, concernente il diniego delle attenuanti generiche. Premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 , va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 . Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha evidenziato la non occasionalità e la potenziale gravità patrimoniale della condotta, l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, la presenza di un precedente penale. Sicché la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419 , anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244 . 2. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.