Presunzione di adeguatezza e best interest del minore

In tema di misure cautelari, il disposto del 4° comma dell’art. 275 c.p.p. mira a salvaguardare l’integrità psico-fisica dei soggetti in tenera età, garantendo loro l’assistenza familiare in un momento significativo della loro crescita, anche a costo di sacrificare le esigenze della collettività sottese alla presunzione di legge sull’esclusiva adeguatezza del carcere in presenza di determinate fattispecie di reato.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5486/21, depositata l’11 febbraio. Il caso. Sottoposto a misura cautelare della custodia in carcere, l’indiziato di reati di associazione a delinquere e spaccio di stupefacenti aveva richiesto la sostituzione della misura con gli arresti domiciliari, motivando nel senso di avere avuto un figlio di anni 2 dalla compagna e convivente alla quale era stata diagnosticata una rara e aggressiva forma tumorale. Le ragioni del diniego. Il tribunale, però, ha escluso la assoluta impossibilità della madre di dare assistenza al figlio così da giustificare la concessione degli arresti domiciliari adducendo che, nella relazione medica di parte, veniva fatto riferimento a una difficoltà e non impossibilità della madre di accudire il figlio veniva evidenziato che il ciclo chemioterapico era concluso e che vi erano prospettive di miglioramento del quadro clinico. Secondo il tribunale, inoltre, mancava la dimostrazione della impossibilità, da parte della madre, di procurarsi aiuti esterni per coadiuvarla nell’assistenza del bambino. La ratio della presunzione in bonam partem Il divieto di applicazione della misura custodiale, a prescindere dal titolo di reato che giustifichi la misura cautelare, è frutto di un giudizio di valore operato dal legislatore che, salvo sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, fa prevalere l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione. ha radici lontane. Le situazioni giuridiche ritenute meritevoli di prevalere trovano riconoscimento e tutela nell’ordinamento costituzionale art. 31, comma 2, Cost. e nell’ordinamento internazionale Conv. sui diritti del fanciullo e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in tali testi viene qualificato come superiore” l’interesse del minore, con la conseguenza che, in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, l’interesse suddetto deve essere considerato preminente, specie se si discuta dell’interesse del bambino in tenera età a godere dell’affetto e delle cure materne. Tre presupposti per anteporre l’interesse del minore a quello della collettività. Il Collegio evidenzia che tre sono i requisiti per legittimare la sostituzione della misura custodiale con quella degli arresti domiciliari per il padre a la presenza di un figlio minore di anni sei b l’impossibilità per la madre di assistere il minore c l’insussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. L’assoluta impossibilità della madre. Nel caso in esame è incontroversa la sussistenza del primo requisito ed è stata esclusa l’assoluta impossibilità della madre. Sul punto la Corte precisa che l’impossibilità della figura materna di accudire il figlio deve assumere i caratteri dell’impedimento grave e assoluto, ma per valutare tale impossibilità non potrà non darsi rilievo fondamentale al preminente interesse del minore alla continuità dei legami familiari garantiti dal ruolo paterno. Figure supplenti. Quanto ai possibili rimedi suppletivi, si è affermato che agli altri familiari del minore il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva perché la previsione è finalizzata alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei figli in tenera età, garantendo l’assistenza da parte di almeno uno dei genitori. E ciò vale specie se, come nel caso in scrutinio, il minore si trovi nella fascia di età zero-tre anni in tali casi la madre resta la figura genitoriale di riferimento imprescindibile, mentre il ruolo paterno riveste un portato diverso e di minore centralità rispetto all’importanza nevralgica garantita dalla presenza dell’altro genitore. Ciò influisce, secondo la Corte sulla possibilità di definire i termini dell’impossibilità della madre di attendere alle cure del figlio minore che risulti collocato in tale specifica fascia d’età, prendendo anche in considerazione interventi in surroga che, senza necessariamente declinare in termini di recessività le istanze sottese all’intervento cautelare custodiale, garantiscano comunque al minore una continuità affettiva e di cure non altrimenti ovviata dalla figura paterna. C’è una impossibilità assoluta della madre? Nel caso in esame, il provvedimento impugnato ha escluso vi fosse un’impossibilità assoluta della madre, in virtù di una patologia ritenuta non totalmente invalidante, trattandosi di mera difficoltà di provvedere al figlio, conclusioni adottate selezionando considerazioni contenute nella consulenza medica senza considerarle nella loro globalità e attualità. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte richiama la possibilità, da parte del tribunale, di predisporre accertamenti utili a fotografare le condizioni della madre e del figlio dell’indiziato ricorrente, così da cristallizzare, sulla base di attuali e ben definiti parametri tecnici, l’effettiva situazione prospettata a sostegno dell’istanza di sostituzione. Per tale ragione, il provvedimento è stato annullato con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 ottobre 2020 – 11 febbraio 2021, n. 5486 Presidente Bricchetti – Relatore Paternò Raddusa Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Lecce ha rigettato l’appello proposto da L.A. avverso la reiezione della richiesta di sostituzione, con gli arresti domiciliari, della misura della custodia cautelare in carcere in atto applicata al suddetto. 2. Il Tribunale, dopo aver evidenziato che al L. è stata applicata la misura custodiale di maggior rigore perché gravemente indiziato dei reati di cui all’art. 416 bis c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, art. 378 c.p., comma 1, aggravato ex art. 416 bis.1 c.p., ha altresì precisato che l’appellante, nel maggio del 2019, ha avuto un figlio dalla sua compagna e convivente e che a quest’ultima, nel settembre del 2019, è stata diagnosticata una rara e aggressiva forma tumorale. Ciò malgrado, ha escluso che nel caso fosse stata comprovata l’assoluta impossibilità della madre di dare assistenza al figlio così da giustificare la concessione degli arresti domiciliari al L. in ragione di quanto previsto dal dell’art. 275 c.p.p E ciò sia perché, nella relazione medica di parte allegata dalla difesa, veniva fatto riferimento ad una difficoltà della madre e non ad una impossibilità di accudire il figlio sia dando risalto all’avvenuto completamento del ciclo chemioterapico subito dalla convivente del ricorrente, alle positive prospettive di miglioramento del relativo quadro clinico emergenti da una relazione dell’Asl Lecce del febbraio del 2020 nonché alla mancata dimostrazione della impossibilità della madre di procurarsi aiuti esterni che possano coadiuvarla nell’assistenza del bambino, anche avvalendosi dei genitori o se del caso trasferendosi a Lecce presso la abitazione di questi ultimi. 3. Con un unico motivo di ricorso la difesa dell’indagato lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al giudizio reso ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 4. A fronte delle oggettive e tecnicamente sul portate emergenze segnalate con l’appello il Tribunale avrebbe risposto con una soggettiva e atecnica motivazione, peraltro illogica e inconcludente, dando rilievi , in primo luogo, ad un referto medico redatto in data antecedente alla relazione di parte allegata e comunque connotato da contenuti non in grado di precisare in che termini l’addotto miglioramento consentirebbe alla madre di assistere adeguatamente il figlio. In modo apodittico, inoltre, si sarebbe poi affermato che l’appello e la relazione medica di parte non avrebbero addotto l’assoluta impossibilità della madre di accudire il figlio ma una mera difficoltà, affermazione smentita dal tenore dei relativi scritti viene fatto richiamo alle pagine 7 e 8 dell’appello e 10 e 11 della relazione . Il provvedimento impugnato, ancora, sarebbe oltre che manifestamente illogico, all’evidenza connotato da una travisata lettura del dato normativo di riferimento, perché il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che la disposizione applicata mira a salvaguardare l’integrità psico fisica dei soggetti in tenera età, garantendo loro l’assistenza familiare in un momento significativo della loro crescita, anche a costo di sacrificare le esigenze della collettività sottese alla presunzione di legge sulla esclusiva adeguatezza del carcere in presenza di determinati titoli di reato sotto questo versante il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che la convivente del L. non era in grado di supportare il bambino per l’evidente stress fisico ma soprattutto psichico provocatole dalla patologia riscontrata inoltre avrebbe dato rilievo unicamente alla necessità di garantire al minore assistenza materiale e non il congruo supporto psicologico ed evolutivo garantito dalla presenza suppletiva del padre, certamente non surrogabile tramite ausili garanti da soggetti esterni avrebbe comunque erroneamente messo a carico del L. l’onere di comprovare l’impossibilità di accedere a siffatti possibili momenti di aiuto esterno. 4.Con memoria pervenuta il 16 ottobre 2020, la difesa del ricorrente ha evidenziato che scrutinando un ricorso identico relativo ad analoga vicenda processuale in relazione ad altro titolo di custodia cautelare in carcere in atto applicato al L. , questa Corte, con decisione assunta alla udienza del 22 settembre 2020, ha annullato con rinvio il provvedimento del Tribunale con il quale è stata data conferma alla reiezione della analoga istanza di sostituzione ex art. 299 c.p.p., presentata nell’interesse dell’odierno ricorrente in quel diverso procedimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita l’accoglimento per le ragioni precisate di seguito. 2. Dei tre presupposti che, in linea logica, l’art. 275 c.p.p., comma 4, avuto riguardo alla situazione prospettata dal ricorrente, impone di verificare per dare luogo alla sostituzione della misura di maggior rigore con gli arresti domiciliari, il Tribunale, incontroversa la sussistenza del primo la presenza di un figlio minore di anni sei , ha escluso il secondo l’addotta impossibilità per la madre di assistere il minore , senza dunque neppure scrutinare il terzo l’insussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza . Più precisamente, ad avviso del Tribunale, l’impedimento addotto non rivestirebbe i crismi dell’assoluta impossibilità della madre di prendersi cura del minore. 3.Ciò precisato, rileva la Corte che nel verificare il portato dell’impedimento della madre, posto a fondamento della richiesta di sostituzione nel caso negativamente esitata, non può non rimarcarsi, che, come in diverse occasioni messo in evidenza dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, il divieto di applicazione della misura di maggior rigore previsto dalla citata disposizione, quale che sia il titolo di reato che giustifichi l’intervento cautelare, è il frutto del giudizio di valore preventivamente operato dal legislatore, in forza del quale, con il limite ultimo della riscontrata sussistenza di esigenze da cautelare di eccezionale rilevanza, sulle istanze di matrice processuale e sociale sottese alla coercizione intramuraria deve ritenersi prevalente l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione cfr., tra le altre, Corte Cost. n. 239 del 2014 n. 7 del 2013 n. 31 del 2012 . Le diverse situazioni giuridiche in cui si articola tale interesse, trovano infatti riconoscimento e tutela nell’ordinamento costituzionale interno art. 31 Cost., comma 2 e nell’ordinamento internazionale art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e dell’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE laddove viene qualificato come superiore l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative al minore, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato preminente precetto che assume evidentemente una pregnanza particolare quando si discuta dell’interesse del bambino in tenera età a godere dell’affetto e delle cure materne in questi termini Corte Cost. n. 239 del 2014. . In questo quadro di riferimento, se per un verso non può dubitarsi che l’impossibilità della figura materna deve assumere i caratteri dell’impedimento grave ed assoluto, tanto che la madre potrà essere considerata assolutamente impossibilitata solo nei casi limite, ossia nelle ipotesi in cui le sue condizioni personali non le consentano in alcun modo di dare assistenza morale e materiale alla prole per altro verso, nel valutare siffatta impossibilità e ragionare in termini di possibili rimedi suppletivi utili ad una funzionale surroga del ruolo materno, altrimenti impedita, non potrà non darsi un rilievo fondamentale al preminente interesse del minore alla continuità del legami familiari garantiti dal ruolo paterno. Ed è proprio alla luce di queste indicazioni di principio che nella giurisprudenza di questa Corte si è prospettata la linea interpretativa in forza della quale l’operatività del divieto di cui all’art. 275 c.p.p., comma 4, nei confronti del padre non possa essere escluso per l’eventuale presenza di altri familiari o di strutture pubbliche o private di supporto cfr., Sez. 6, n. 29355 del 30/04/2014, Astuccia, Rv. 259934 in particolare si è sostenuto che agli altri familiari del minore il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, dal momento che la previsione è finalizzata alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei figli in tenera età, garantendo loro l’assistenza da parte di almeno uno dei genitori Sez. 4, n. 6691 del 19/11/2004, Roccaro, Rv 230931,Sez. 2, n. 47473 del 11/11/2004, Capizzi, Rv. 230802 Sez. 5, n. 4 1626 del 9/11/2007, Verde, Rv. 238209 . Siffatta ultima indicazione di principio, ad avviso del Collegio, va ulteriormente meglio definita in presenza di situazioni, come quella di specie, di un minore da tutelare che si trovi nella fascia di età compresa tra zero e tre anni. In tali casi, come emarginato in dottrina, resta la madre la figura genitoriale di riferimento imprescindibile, mentre il ruolo educativo del padre, certamente presente fin dalla nascita del figlio, riveste un portato diverso e di minore centralità rispetto all’importanza nevralgica garantita dalla presenza dell’altro genitore. E tanto ben potrebbe influire sulla possibilità cl definire i termini dell’impossibilità della madre di attendere alle cure del figlio minore che risulti collocato in tale specifica fascia di età, prendendo anche in considerazione interventi in surroga che, senza necessariamente declinare in termini di recessività le istanze sottese all’intervento cautelare di maggior rigore, garantiscano comunque al minore un continuità affettiva e di cure non altrimenti ovviata dalla figura paterna. Ragionando in tale termini, dunque, potrebbe anche recuperare effettività l’opzione interpretativa, pure espressa da questa Corte, in forza della quale l’impedimento della madre debba essere escluso laddove esistano figure parentali o strutture esterne in grado di supportare il ruolo materno e l’attività di accudimento del minore l’impossibilità assoluta, in particolare, che può essere esclusa quando all’assistenza del minore possa provvedersi mediante l’ausilio di altri parenti o di strutture pubbliche, sempre che tale ausilio abbia carattere meramente integrativo e di supporto e non totalmente sostitutivo dell’assistenza materna in questo senso, Sez. 5, n. 8636 del 15/02/ 2008, Esposto Sumadele Biagio, Rv. 239042 Sez. 1, n. 8965 del 17/02/2008, Pipitone, Rv n. 239132 . 4. Il provvedimento impugnato come già rimarcato da questa stessa sezione della Corte nel precedente specifico, evocato dalla difesa, relativo ad altra occasione processuale connotata da una identità di contenuti, anche in relazione alla risposta offerta dal Tribunale del riesame cfr la sentenza n. 34785 del 22 settembre 2020, depositata il 7 dicembre 2020 non solo non sembra puntualmente rispettoso di tali indicazioni di principio, ma appare anche connotato da inadeguatezze argomentative che ne inficiano decisamente il portato. 4.1. Il Tribunale ha escluso l’impossibilità assoluta della madre di attendere al figlio in ragione delle riscontrata insussistenza di una patologia totalmente invalidante. Conclusione questa assunta sulla base sia del completamento del ciclo chemioterapico affrontato dalla donna all’epoca della decisione sia delle prospettive di guarigione della donna ricavabili dalla relazione medica della AsI competente datata 20 febbraio 2020, dalla quale emergerebbe una discreta risoluzione del quadro carcinomatoso presente nell’esame del 12.9.19 . Nel provvedimento impugnato viene anche messo in evidenza che dalla consulenza di parte predisposta e allegata dalla difesa emergerebbe una mera difficolta della donna a prestare assistenza al figlio e non la assoluta impossibilità di provvedere in tal senso, senza che peraltro siano emersi elementi che non consentano, sul piano economico o se del caso avvalendosi dell’aiuto dei genitori, di superare l’attuale situazione di disagio facendosi coadiuvare da terzi. 4.2. Tale indicazione argomentativa non regge il peso delle censure prospettate con il ricorso. Come già messo in evidenza nel precedente arresto di questa Corte sopra citato, si tratta di conclusioni non accettabili perché in primo luogo adottate senza tenere compiutamente conto della consulenza medica predisposta nell’interesse della ricorrente della quale è stata estrapolato solo un aggettivo senza considerare nella loro globalità le considerazioni esposte dal medico e, dall’altra, perché non chiarisce a quali fossero in concreto le condizioni psìco fisiche della donna al momento della decisione b in che misura la riduzione del quadro carcinomatoso consenta di ritenere che il bambino possa essere compitamente assistito c sulla base di quali elementi si è ritenuto che quella frase contenuta in quel referto del 20.2.2020 dovesse considerarsi attuale alla data della decisione. Valutazioni queste che, peraltro il Tribunale ben avrebbe potuto rendere avvalendosi, ai sensi dell’art. 299 c.p.p., comma 4 ter, di appositi accertamenti, utili a fotografare le condizioni della compagna e del figlio del ricorrente, così da cristallizzare, sulla base di attuali e ben definiti parametri tecnici, l’effettiva situazione prospettata a sostegno della istanza di sostituzione e ciò anche in relazione alla possibilità di considerare la funzionalità degli interventi esterni, integrativi e suppletivi, evocati nel provvedimento impugnato quanto alla puntuale realizzazione del preminente interesse del minore, criterio guida imprescindibile nella valutazione da rendere nel caso in esame. 5.Si impone in coerenza l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato per consentire al Tribunale di colmare le descritte lacune argomentative alla luce dei principi di diritto indicati nella motivazione che precede. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce competente ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 7. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.