Per la lettura della testimonianza resa al Collegio in diversa composizione non serve il consenso delle parti

Il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, secondo comma, c.p.p. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattito, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile .

È il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 4046/21, depositata il 2 febbraio. La Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Taranto aveva condannato il ricorrente per i reati di usura e di estorsione aggravata e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite. Dalla ricostruzione della vicenda, era emerso che l’imputato aveva preteso dalla persona offesa, quale corrispettivo per il prestito di 4000 euro, interessi mensili pari ad un tasso del 50%, ed inoltre, l’aveva minacciata al fine di firmare un atto di riconoscimento di debito dell’importo di 24000 euro in favore del figlio dell’imputato. L’imputato propone ricorso in Cassazione nei confronti della decisione di secondo grado, sottolineando il fatto che il Collegio del Tribunale che aveva assistito all’esame della persona offesa, fosse diverso da quello che aveva deciso il giudizio. Lamentava quindi l’ omessa autorizzazione da parte della difesa di poter utilizzare le dichiarazioni della persona offesa , quando sarebbe stato invece necessario rinnovare l’audizione del teste. Secondo la consolidata giurisprudenza delle SS.UU., il mero silenzio delle parti , che non abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale , o che si siano opposte alla lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dinanzi al giudice in diversa composizione, è interpretabile come consenso implicito o come acquiescenza sia alla rinnovazione del dibattito per sopravvenuto mutamento della composizione del giudice, sia alla lettura degli atti anzidetti. L’art. 238 c.p.p., infatti, conferma che, salvo quanto previsto dall’art. 190- bis c.p.p., le parti hanno il diritto di ottenere , previa valutazione da parte del giudice di non manifesta superfluità, l’ ammissione dell’esame delle persone, le cui dichiarazioni risultino acquisite e utilizzabili contro l’imputato, se il suo difensore abbia partecipato all’assunzione della prova. Nel caso di specie, ciò non è avvenuto né in primo né in secondo grado. Per questi motivi la Corte cristallizza il principio di diritto secondo cui il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, secondo comma, c.p.p. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattito, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile . Per il principio affermato dalla Corte, il ricorso è, quindi, inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 gennaio – 2 febbraio n. 4046 Presidente Diotallevi – Relatore Mantovano Ritenuto in fatto 1. La CORTE APPELLO di LECCE-sez. dist. di TARANTO, con sentenza in data 19/06/2019-dep. 3/07/2019, confermava la sentenza con la quale il TRIBUNALE di TARANTO in data 26/02/2018 aveva condannato D.V. a pena di giustizia per i reati di usura e di estorsione aggravata dal nesso teleologico, riuniti per continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sull’aggravante, e al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, per fatti accertati a OMISSIS . La condotta contestata all’imputato è consistita nell’aver preteso, quale corrispettivo per il prestito di 4.000 Euro, interessi mensili pari a 2.000 Euro, quindi a un tasso del 50h al mese, e nell’avere usato minacce perché la persona offesa C.G. firmasse un atto di riconoscimento di debito per l’importo di 24.000 Euro in favore del figlio dell’imputato, DONATELLI Cosimo, e perché il padre della vittima, C.R. , sottoscrivesse quale garante gli effetti cambiari recanti la firma di C.G. per l’importo riconosciuto a debito. 2. D. propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, e deduce i seguenti motivi - violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , c ed e in relazione agli art. 525 e 179 c.p.p. per nullità assoluta della sentenza di primo grado, e per conseguenza di quella di appello, poiché il Collegio del TRIBUNALE che ha assistito all’esame di C.G. , all’udienza del 9/05/2016, era diverso da quello che ha deciso il giudizio, senza che la difesa abbia mai espresso il consenso alla utilizzabilità di quelle dichiarazioni, in carenza del quale l’audizione del teste avrebbe dovuto essere rinnovata. Sul punto il TRIBUNALE si è limitato a scrivere in sentenza che non vi era stata opposizione alla rinnovazione degli atti mediante lettura, mentre all’udienza del 23/10/2017 il presidente del Collegio aveva detto che si sarebbe in quella sede proceduto all’esame delle parti offese C.G. e C.R. , senza tuttavia che sia mai stata disposta la rinnovazione dell’istruttoria - violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b , c ed e in relazione agli artt. 192 e 507 c.p.p., quanto alla valutazione della prova, coincidente con le dichiarazioni di due persone offese, costituite parti civili, in assenza di qualsiasi riscontro, e con una pesante situazione debitoria, tale da incrinare l’attendibilità delle loro dichiarazioni. Con nota pervenuta il 23/12/2020 il difensore dell’imputato ha trasmesso motivi nuovi e aggiunti , che in realtà reiterano la censura di nullità della sentenza di primo grado, in presenza di prove decisive assunte da un Collegio giudicante differente da quello che ha pronunciato la sentenza. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Sul primo punto, premesso che la questione è stata sollevata esclusivamente con ricorso per cassazione, senza formare oggi di atto di appello, e che non risulta che l’imputato nel giudizio di merito si sia opposto all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese di fronte a un differente Collegio dal testimone C.G. , va ricordato il consolidato e condiviso orientamento di questa S.C. Sez. U sentenza n. 41736 del 30/05/2019 Ud. dep. 10/10/2019 Rv. 276754 03 imputato Bajrami , che ha affrontato la questione se, ai fini di ritenere la sussistenza del consenso delle parti alla lettura degli atti assunti dal collegio che sia poi mutato nella sua composizione, sia sufficiente la mancata opposizione delle stesse, ovvero sia invece necessario verificare la presenza di ulteriori circostanze che la rendano univoca . Le Sez. U hanno fatto stato del prevalente orientamento per il quale il mero silenzio delle parti, che non abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, o formulato opposizione alla lettura ex art. 511 c.p.p. dei verbali delle dichiarazioni rese dinanzi al giudice diversamente composto, sia interpretabile, pur in difetto di un provvedimento che detta rinnovazione disponga formalmente, come consenso implicito o come acquiescenza alla rinnovazione del dibattimento per sopravvenuto mutamento della composizione del giudice, senza ripetere le attività in precedenza svolte, e altresì come consenso o come acquiescenza alla lettura degli atti anzidetti in tal senso, cfr. Sez. 5, n. 5581 del 30/09/2013, dep. 2014, Righi, Rv. 259518 Sez. 6, n. 53118 del 08/10/2014, Colorisi, Rv. 262295 Sez. 5, n. 44537 del 10/03/2015, Barillari, Rv. 264683 . 2. Posto che per l’art. 525 c.p.p., comma 2 alla deliberazione della sentenza, subito dopo la chiusura del dibattimento, concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento , Sez. U ha richiamato la giurisprudenza costituzionale, per la quale tale disposizione, nel fissare la regola dell’immutabilità del giudice, attua il principio di immediatezza che postula la tendenziale identità tra il giudice che assume le prove e il giudice che decide Corte Cost., n. 205 del 26/05/2010 , con la conseguenza che in presenza di una richiesta di parte si imporrebbe almeno la rinnovazione delle prove dichiarative. Ha aggiunto che la necessità di legittimare le parti, a seguito del mutamento della composizione del giudice, all’esercizio delle facoltà loro conferite dagli artt. 468 e 493 c.p.p., comporta la facoltà di presentare nuove richieste di prova, con la conseguenza che la parte che non abbia indicato il nominativo del dichiarante da riesaminare e le circostanze su cui il nuovo esame deve vertere in una lista tempestivamente depositata ex art. 468, non ha diritto all’ammissione, ma può soltanto sollecitare il giudice, all’esito dell’istruzione dibattimentale, a disporre la nuova assunzione delle prove già precedentemente assunte dal collegio diversamente composto ai sensi dell’art. 507 c.p.p., sempre che ricorrano le condizioni di assoluta necessità. Nella specie ciò non risulta essere accaduto nel corso del primo grado del giudizio, e nemmeno è stato evocato al momento della formulazione dell’appello. La correttezza di tale interpretazione, sempre secondo Sez. U, è confermata dall’art. 238 c.p.p., per il quale, salvo quanto previsto dall’art. 190-bis c.p.p., le parti hanno il diritto di ottenere, ex art. 190 c.p.p., previa valutazione da parte del giudice di non manifesta superfluità, l’ammissione dell’esame delle persone le cui dichiarazioni, confluite nei verbali di prove di altro procedimento penale, assunte in incidente probatorio o in dibattimento, siano state acquisite, e risultino utilizzabili contro l’imputato, ai sensi dell’art. 238, comma 2- bis, se il suo difensore ha partecipato all’assunzione della prova. Osserva la S.C. nella pronuncia richiamata che un’interpretazione diversa da quella qui sostenuta comporterebbe indubbi problemi di compatibilità con il principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost., e ciò non può che indurre l’interprete a prescegliere l’interpretazione costituzionalmente legittima appare, pertanto, di tutta evidenza che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento dove non confluiscono , bensì permangono . Da ciò l’affermazione di principio secondo cui il consenso delle parti alla lettura ex art. 511 c.p.p., comma 2, degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile . In applicazione degli enunciati principi di diritto, l’originaria ordinanza ammissiva delle prove chieste dalle parti, pronunciata dal Tribunale nella composizione poi mutata, ha conservato la sua efficacia, anche a seguito del mutamento della composizione del collegio e della conseguente rinnovazione del dibattimento essa non è stata revocata perché al nuovo collegio non sono state proposte nuove richieste di prova. Nè occorreva che la rinnovazione del dibattimento fosse espressamente disposta, poiché all’udienza 23/10/2017 le parti erano certamente in grado di rilevare il sopravvenuto cambiamento della composizione del giudice e attivarsi con la formulazione delle eventuali, conseguenti richieste il che però non è avvenuto. Pertanto non si è verificata alcuna violazione di quanto stabilito dall’art. 525 c.p.p., co 3. Del pari infondato è il secondo motivo, poiché la ricostruzione dei fatti, effettuata in modo conforme dalle pronunce dei due gradi di merito, è stata censurata nei ricorsi sulla base di una differente valutazione dell’accaduto, senza aver fatto valere un travisamento delle prove. Il consolidato orientamento della S.C., condiviso da questa Collegio, ritiene che in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va . ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 - 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250 Sez. III, sentenza n. 13926 del 10dicembre 2011 - 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615 . . in presenza di una c.d. doppia conforme , ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno . , il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado . A fronte di una motivazione - quella della CORTE - che, in coerenza con quanto accertato dal TRIBUNALE, ha confermato l’affermazione della responsabilità sulla scorta delle concordi dichiarazioni delle persone offese e dei conteggi effettuati, il ricorso si limita a una contestazione generica, che fa leva sulla titolarità in capo alle medesime persone della posizione di testimoni e dell’essersi costituite parti civili, senza tuttavia chiarire in che cosa e in quale passaggi le dichiarazioni dei C. sarebbero inattendibili e contraddittorie. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende. D. è inoltre tenuto alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite per questo grado di giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili C.G. e C.R. , che liquida in complessivi Euro 4500,00, oltre accessori di legge.