Rieducazione del condannato è anche consentirgli di fare regali

Sul piano operativo, un detenuto che voglia svolgere attività non convenzionali, come far acquistare un ciondolo alla propria moglie in occasione di una ricorrenza, rivolge un’istanza all’amministrazione penitenziaria

dinnanzi all’eventuale rigetto, egli si rivolge al magistrato di sorveglianza in caso di ulteriore rigetto, interroga la Cassazione sulla corretta interpretazione, ergo applicazione, dei principi che presidiano l’esecuzione delle pene. Cosa consentire a chi è in carcere, e cosa no? Meglio, cosa ha diritto a fare chi è detenuto? Acquistare regali sembra attività non essenziale, conseguentemente esclusa dall’indefettibile del trattamento carcerario, eppure le cose non stanno esattamente così. La recente sentenza della Suprema Corte, prima sezione penale, n. 1440/2021, depositata lo scorso 14 gennaio, affronta il tema pervenendo ai migliori esiti possibili, per un detenuto in uno stato di diritto. E infatti, finché si parla di umanizzazione del trattamento carcerario , di risocializzazione, di rieducazione, particolarmente preziosa se intesa come riadattamento del condannato alle regole sociali e reinserimento nel contesto di una collettività sana, è facile ritrovarsi e ottenere consenso siamo tutti buoni. Altro è misurare questi concetti con la fenomenologia concreta, e, dunque, tornare a ciò che si possa e non si possa. Nell’arresto pubblicato alcuni giorni fa, Piazza Cavour insegna che i regali hanno a che fare con l’affettività dell’individuo. Possiamo aggiungere, senza ombra di smentita, che acquistare doni ha a che fare con l’adesione del detenuto a modelli comportamentali sani, perché sano è preoccuparsi della gioia dell’altro essere umano, a fortiori nel contesto di legami di massima importanza, come quelli familiari. Per converso, impedire di fare regali significa inibire il percorso di superamento della scelta delinquenziale, che per sua natura non è mai finalizzata al benessere altrui. Tutto ciò, in linea di principio. Il fatto è la richiesta di un detenuto di regalare alla propria moglie un ciondolo e un profumo, in occasione del suo compleanno. Richiesta negata. Nelle contestazioni del ricorrente, la scelta di rigetto del Magistrato di sorveglianza non era stata supportata da alcun profilo di tutela dell’ordine e della sicurezza interna del carcere né di pubblica tutela”, così configurando una discrezionalità assoluta e un potere insindacabile dell’Amministrazione penitenziaria. Investito dell’esame del provvedimento di rigetto, Il Supremo Collegio inquadra la vicenda nel contesto assiologico dell’esecuzione della pena, pregno di tutti i valori della persona umana costituzionalmente garantiti, a partire dalla tutela dei diritti, una tutela effettiva. L’operato del giudice dell’esecuzione viene anzitutto bocciato, con dichiarazione di illegittimità, quanto a interpretazione e applicazione delle norme sul procedimento, per mancata integrazione del contraddittorio con violazione dell’art. 666 commi 3 e 4 c.p.p., interamente richiamato dall’art. 35-bis della L. 26 luglio 1975, n. 354 nullità di ordine generale e assoluto. Dal punto di vista sostanziale, la Cassazione ammonisce sull’importanza di evitare che l’esperienza carceraria incida anche sulle relazioni familiari , atteso che la famiglia costituisce un valore affettivo di importanza primaria da tutelare nel contesto penitenziario . Di più, il d.l. 30 giugno 2000, n. 230, contenente il Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà , nel capo V riservato al tema dell’Assistenza ospita l’art. 94, titolato all’Assistenza alle famiglie, in forza del quale la stessa amministrazione penitenziaria deve dedicare particolare cura ai rapporti familiari, favorendone il dispiegarsi . La riflessione va aperta ad una prospettiva opposta, assente dalla trama della sentenza in commento. Se il detenuto utilizzasse quest’escamotage per stemperare, fino a polverizzare, il dato storico dell’errore commesso, dando il messaggio che nulla è cambiato” e che la reclusione non gli impedisce di continuare a fare indisturbato tutto ciò che vuole ? E se quel messaggio, oltre a rassicurare un familiare, avesse la capacità di generare la diffusa convinzione di una debolezza delle istituzioni, siccome incapaci di modificare la quotidianità di chi ha commesso un reato fermo restando che la modifica non deve essere compressione di diritti fine a se stessa ? A questa prospettiva potrà aprirsi anche il sindacato sul merito della scelta la Cassazione la rimette al giudice dell’esecuzione . A mio avviso, la composizione dei valori in gioco richiede il riconoscimento del diritto di fare, ma con lo sguardo vigile alla possibilità che emergano le valenze desocializzanti e criminogene alle quali si è fatto cenno.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 – 30 gennaio 2021, n. 1440 Presidente Di Tomassi – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Il Magistrato di sorveglianza di Novara con decreto, emesso ex art. 666 c.p.p., comma 2, dichiarava inammissibile il reclamo avverso il provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria con cui era stata respinta la richiesta di D.M.S. di acquistare un ciondolo e un profumo da regalare alla moglie, in occasione del suo compleanno. Avverso quel provvedimento il Tribunale di sorveglianza, investito del ricorso dell'interessato, dichiarava l'insussistenza di materia per procedere a nuovo esame di merito e trasmetteva gli atti alla Corte di cassazione, osservando che unico rimedio fosse, appunto, il ricorso alla Corte anzidetta. 1.1. Riteneva il Magistrato di sorveglianza che non si versasse in materia di diritti soggettivi e che con il reclamo si richiedeva di assumere la posizione dell'Amministrazione sostituendosi ad essa, con la decisione invocata. 2. Il ricorso di D.M.S., con il ministero del difensore di fiducia, sviluppa unico motivo di ricorso lamentando, in sostanza la violazione di legge. Il provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza non aveva richiamato alcun profilo di tutela dell'ordine e della sicurezza interna del carcere, nè di pubblica tutela. Esso si era limitato a riconoscere all'Amministrazione una discrezionalità in ambito penitenziario sull'organizzazione interna che, in definitiva, diventava insindacabile. Era singolare che l'autorità giudiziaria si sottraesse al compito di controllo sulle azioni dell'amministrazione e sulle decisioni assunte. Osserva in diritto 1. Il ricorso è fondato per quanto si passa ad esporre. 1.1. E' opportuno premettere che l'ordinamento costituzionale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti, valori non comprimibili neppure quando vi sia restrizione e sottoposizione alla discrezionalità dell'autorità penitenziaria, essendo il detenuto destinatario dell'esecuzione della pena Corte Cost. n. 114/1979 . Ciò perchè occorre contemperare la condizione detentiva e la piena ed effettiva tutela dei diritti. Soprattutto, si deve escludere che situazioni di diritto soggettivo restino prive di una giurisdizione Corte Cost. n. 97/2012 . Non basterebbe all'uopo un sistema che prevede la facoltà di proporre istanze o sollecitazioni anche all'Autorità giudiziaria . A un primo livello di tutela cd. reclamo generico deve affiancarsi un modello assistito da garanzie procedimentali, che vanno dall'osservanza del contraddittorio, alla possibilità di impugnare i provvedimenti e di attuare coattivamente quelli emessi. Diversamente i diritti diventerebbero ineffettivi già Corte Cost. n. 204/1974 . 1.2. La disciplina del procedimento di sorveglianza corrisponde a quella dettata per il procedimento di esecuzione delineato dall'art. 666 c.p.p. e il modello procedimentale è costituito dalle forme dell'udienza in Camera di consiglio con la partecipazione delle parti per dar modo alle stesse di interloquire innanzi al giudice tuttavia, in forza del combinato disposto dell'art. 678 c.p.p., comma 1 e art. 666 c.p.p., comma 2, è contemplata, altresì, in deroga alla regola generale, la possibilità di un epilogo decisorio anticipato della richiesta, in termini d'inammissibilità, ai sensi dell'art. 666 c.p.p., comma 2, mediante pronuncia di decreto reso con procedura de plano ed in assenza di contraddittorio, quando l'istanza sia stata già rigettata perchè basata sui medesimi elementi, ovvero sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge . La categoria della manifesta inammissibilità va esclusa in tutti i casi in cui occorre compiere una valutazione di merito. Essa, piuttosto, ricorre in ipotesi di difetto delle condizioni normative, difetto che si apprezza ictu oculi, senza dover svolgere un sindacato di cognizione. Si tratta della mancanza dei requisiti posti direttamente dalla legge e la presa d'atto di tale mancanza non richieda accertamenti di tipo cognitivo, nè valutazioni discrezionali Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, Focoso, Rv. 273714 . La presa d'atto dell'assenza delle - condizioni di legge non deve, altresì, richiedere apprezzamenti discrezionali Sez. 1, n. 876 del 16/7/2015, dep. 12/1/2016, Ruffolo, Rv. 265857 Sez. 1, n. 40974 del 14/10/2011, Cecere, Rv. 251490 Sez. 1, n. 23101 del 19/5/2005, Savarino, Rv. 232087 Sez. 1, n. 277 del 13/1/2000, Angemi, Rv. 215368 . Ciò per escludere che attraverso il richiamo ai presupposti di ammissibilità della domanda si compia un'implicita valutazione del merito, addivenendo a un rigetto in difetto della regolare instaurazione del contraddittorio. Nella specie, la decisione del Magistrato di sorveglianza è avvenuta senza fissare l'udienza camerale e, quindi, eludendo il procedimento in contraddittorio, previsto dall'art. 666 c.p.p., commi 3 e 4, interamente richiamato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35 bis. Ciò determina la nullità del provvedimento emesso fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge. Si tratta di una nullità di ordine generale e assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, Sez. 1, n. 41754 del 16/09/2014, Cherni, Rv. 260524 Sez. 3, n. 11421 del 29/01/2013, Prediletto, Rv. 254939 Sez. 1, n. 37527 del 07/10/2010, Casile, Rv. 248694 . 2. La decisione adottata dal Magistrato di Sorveglianza in adesione alla linea interpretativa enunciata e dal Tribunale di sorveglianza che ha dichiarato la sua incompetenza funzionale soffre vistosamente degli effetti della mancanza di contraddittorio sull'oggetto della cognizione. Il Magistrato di sorveglianza non si è confrontato con queste premesse ed è giunto, attraverso la declaratoria d'inammissibilità, a una conclusione di merito, sull'assenza di una situazione di diritto soggettivo, che avrebbe potuto assumere solo a contraddittorio instaurato artt. 666 c.p.p., commi 3 e 4, cui rinvia la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-bis . Il provvedimento, assunto, del resto, non considera la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 26, norma che prevede che sia riservata particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie. La disposizione è finalizzata, invero, a evitare che l'esperienza carceraria incida anche sulle relazioni familiari. La famiglia costituisce un valore affettivo di importanza primaria da tutelare nel contesto penitenziario. Diversamente, il detenuto subirebbe un'emarginazione non giustificabile e un'afflizione aggiuntiva non connaturata allo scopo della pena. In questa prospettiva rileva anche la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 45. L'assistenza delle famiglie è in realtà un aspetto indefettibile del trattamento penitenziario ed è funzionale al riadattamento sociale e alla rieducazione, proprio perchè permette che il soggetto in vinculis non interrompa il rapporto con una formazione sociale di base che gli assicura un supporto materiale e psicologico. La restrizione, infatti, rischia di mettere in crisi il rapporto familiare, senza comprometterne l'unità. Nè si tiene presente il disposto dell'art. 94 reg. es. secondo cui la stessa amministrazione penitenziaria deve dedicare particolare cura ai rapporti familiari, favorendone il dispiegarsi. Non può esservi dubbio che, in astratto, le previsioni anzidette realizzano obblighi in capo all'Amministrazione penitenziaria e una posizione di diritto soggettivo in capo al detenuto. Ragionando diversamente il relativo dovere di assistenza risulterebbe una posizione giuridica strutturalmente fievole. Il sistema, al contrario, è ispirato a un criterio di favor verso la famiglia, e tende ad assicurare l'attuazione di strumenti e comportamenti finalizzati al mantenimento del rapporto tra detenuto e nucleo di convivenza. Anche l'acquisto di oggettistica o altri regali destinati ai componenti la famiglia può, pertanto, costituire oggetto di diritto soggettivo del detenuto. Con l'oggetto di cui fa dono può rivolgere il pensiero ad un membro del nucleo familiare e così attestare il persistere di un sentimento d'affettività anche in regime di restrizione. 2.3. A prescindere dalla fondatezza nel merito della domanda il Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto, trattandosi di giurisdizione sui diritti, verificare la ricorrenza dei presupposti indicati e accertare se il diritto soggettivo, cui si è fatto cenno, potesse trovare attuazione nel caso specifico, in un contesto procedimentale ordinario ovvero se risultassero fattori ostativi o impedienti la sua concretizzazione. Ciò sarebbe stato possibile solo attraverso la preventiva e corretta instaurazione del contraddittorio camerale. Non sussisteva, invero, alcuna delle condizioni che avrebbero permesso di assumere una decisione improntata alla regola di semplificazione procedimentale , assumendo il provvedimento de plano. Da tanto discende che il provvedimento assunto dal giudice dell'esecuzione de plano, senza fissazione dell'udienza in Camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, ricorribile per cassazione ai sensi dell'ultimo inciso dell'art. 666 c.p.p., comma 2, è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179 c.p.p., per effetto della estensiva applicazione delle previsioni della omessa citazione dell'imputato e dell'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza Sez. 3, n. 1730 del 29/5/1998, Viscione, Rv. n. 211550 . Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato con rinvio per nuovo giudizio al Magistrato di Sorveglianza di Novara per l'ulteriore corso celebrazione dell'udienza nel contraddittorio delle parti . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Magistrato di sorveglianza di Novara.