Ai domiciliari, si diletta a coltivare marijuana: condannato

Respinta la tesi difensiva, mirata a sostenere che l’uomo abbia agito solo per il proprio consumo personale. Esclusa anche l’ipotesi della cosiddetta coltivazione domestica rilevante, secondo i Giudici, il numero di piantine.

Undici piantine di marijuana possono bastare, seppur coltivate in casa, per beccarsi una condanna. A constatarlo personalmente è stato un uomo, punito per avere esercitato illecitamente il proprio ‘pollice verde’, e, per giunta, durante un periodo di detenzione domiciliare Cassazione, sentenza n. 3593, sez. VI Penale, depositata il 29 gennaio 2021 . Ricostruita la vicenda, originata da un controllo tra le mura domestiche di un uomo sottoposto ai ‘ domiciliari’ , i Giudici di merito ritengono evidente il reato compiuto, cioè la produzione illecita di sostanza stupefacente – marijuana – destinata non all’uso personale ma bensì alla vendita. Nessun dubbio sugli obiettivi dell’uomo, che non solo ha coltivato complessivamente undici piante di marijuana all’interno della propria abitazione ma ha anche detenuto, sempre nella propria abitazione, tre involucri di sostanza stupefacente . Tutto ciò mentre si trovava sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare , peraltro. Col ricorso in Cassazione, però, il difensore dell’uomo prova a fornire una lettura diversa. In particolare, egli sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici di secondo grado, non è provata la destinazione della coltivazione alla produzione di marijuana da cedere a terzi , soprattutto perché si trattava di una coltura senza dubbio domestica , stante la totale mancanza di impianti e attrezzature ad hoc, e la produzione di quantitativi esigui di sostanza, chiaramente destinati al consumo personale . Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, però, non si può parlare, in questo caso, di una coltivazione domestica, con produzione di sostanza destinata al mero consumo personale . Corretto, in quest’ottica, il richiamo fatto in secondo grado al numero delle dosi medie ricavabili dal quantitativo di marijuana detenuta e costituente prodotto della coltivazione , al contestuale ritrovamento di un ‘tritamarijuana’ nella disponibilità dell’uomo , alle modalità di conservazione della sostanza in involucri già preparati e confezionati con carta stagnola contenuti in un pacchetto di sigarette vuoto all’interno di un mobile nella stanza da letto . Vi sono tutti gli elementi, quindi, per escludere la finalizzazione dello stupefacente e della relativa coltivazione al consumo personale . Ciò perché la messa a coltura di ben undici piantine di marijuana non può ritenersi non punibile , risultando all’evidenza mancante uno dei principali presupposti oggettivi della coltivazione non punibile , cioè lo scarso numero di piantine, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto , e risultando, invece, da sola irrilevante l’eventuale intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale .

Corte di Cassazione, sez. VI penale, sentenza 3 novembre 2020 - 29 gennaio 2021, n. 3593 Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Catania, in riforma della appellata decisione del 30 novembre 2018 del Tribunale di Caltagirone, previa esclusione della continuazione, ha rideterminato la pena inflitta a Ga. Gi. Ca. in relazione al reato di cui agli artt. 81, comma secondo, 61 n. 11 cod. pen. e 73, commi 4 e 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per avere coltivato complessivamente undici piante di marijuana all'interno della propria abitazione nonché per avere detenuto, sempre nella propria abitazione, tre involucri di sostanza stupefacente per il prezzo complessivo di 2,789 grammi, nel mentre si trovava sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare . 2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, Ga. Gi. Ca. chiede l'annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 e 75 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e correlativo vizio di motivazione per travisamento della prova. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto provata la destinazione della coltivazione alla produzione di marijuana da cedere a terzi, nonostante si trattasse di una coltura senza dubbio domestica, stante la totale mancanza di impianti e/o attrezzature ad hoc e la produzione di quantitativi esigui di sostanza, chiaramente destinati al consumo personale. 2.2. Violazione di legge penale in relazione all'art. 62-bis cod. pen., per avere il Collegio di merito ingiustamente denegato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, svalutando il contenuto collaborativo delle dichiarazioni rese dall'imputato e valorizzando invece i precedenti penali, a fronte di una capacità criminale modesta e di un disvalore penale minimo della condotta. 2.3. Violazione di legge penale in relazione all'art. 99, comma quarto, cod. pen., per avere la Corte siciliana applicato - in forza del riconoscimento della recidiva - una pena del tutto sproporzionata rispetto all'effettiva gravità dei fatti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le deduzioni mosse e deve, pertanto, essere disatteso. 2. Non coglie nel segno il primo motivo di doglianza, con il quale il ricorrente censura la ritenuta integrazione dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sul presupposto che si tratti di una coltivazione domestica, con produzione di sostanza destinata al mero consumo personale. 2.1. Nel giustificare la ritenuta integrazione del reato di cui all'art. 73, comma 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Collegio territoriale ha evidenziato come il numero delle dosi medie ricavabili dal quantitativo di marijuana detenuta e costituente prodotto della coltivazione calcolato dai Carabinieri di Catania nella relazione tecnica , il contestuale ritrovamento nella disponibilità di Ca. del trita marijuana e le modalità di conservazione della sostanza in involucri già preparati e confezionati con carta stagnola contenuti in un pacchetto di sigarette vuoto all'interno di un mobile nella stanza da letto convergano univocamente nel senso di escludere l'allegata finalizzazione dello stupefacente e della relativa coltivazione al consumo personale. 2.2. D'altronde, la decisione in rassegna si appalesa corretta anche alla luce dell'insegnamento di recente espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, là dove - pronunciandosi proprio in tema di coltivazione di piante da cui sono ricavabili sostanze stupefacenti a distanza di qualche anno da un precedente arresto nella medesima composizione - ha tracciato l'esatto discrimen fra la coltivazione non punibile e la coltivazione invece penalmente rilevante. In particolare, nell'ultimo arresto, il più ampio consesso della nomofilachia ha ribadito la non riconducibilità della coltivazione alla mera detenzione affermata nel precedente intervento delle Sezioni Unite con sentenza n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920 - 239921 , in considerazione della chiara scelta del legislatore di punire ogni forma di produzione di stupefacenti, se necessario, anticipando la tutela al momento in cui si manifesta un pericolo ragionevolmente presunto per la salute così nella motivazione della sentenza Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019 - dep. 2020, Caruso, Rv. 27862401 . Confutata la tesi della possibile equipollenza fra la coltivazione cd. domestica e la detenzione di droga per uso personale, le Sezioni Unite hanno rivisto l'impostazione seguita nella sentenza De Salvia secondo cui v'è rilevanza penale di qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale ed hanno definito in termini precisi l'area di copertura della fattispecie tipica della coltivazione penalmente rilevante. Al riguardo, hanno evidenziato come l'irrilevanza penale della coltivazione di minime dimensioni, finalizzata esclusivamente al consumo personale debba essere ancorata, non alla sua assimilazione alla detenzione e al regime giuridico di quest'ultima, ma, più linearmente, alla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione come attività penalmente rilevante, dandosi, così, un'interpretazione restrittiva della fattispecie penale, che si giustifica tanto più per la sua natura di reato di pericolo presunto nell'ottica garantista di un corretto bilanciamento fra ampiezza e anticipazione della tutela così nella motivazione della sentenza Sez. U, Caruso . Riprendendo la considerazione espressa nella stessa sentenza Di Salvia là dove si è rilevato come la coltivazione, a differenza della detenzione, è attività suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti , questa Corte nella più ampia composizione ha sottolineato come tale connotazione non valga, tuttavia, per le coltivazioni domestiche di minime dimensioni, intraprese con l'intento di soddisfare esigenze di consumo personale, perché queste hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti così nella motivazione della sentenza Sez. U, Caruso . In sintesi, le Sezioni Unite hanno chiarito come l'esclusione della punibilità dell'attività di coltivazione domestica operi sul piano della tipicità, di tal che il discrimen fra la coltivazione penalmente rilevante - id est tipica - e la coltivazione non penalmente irrilevante - in quanto atipica - deve essere individuato alla luce del parametro della prevedibilità della potenziale produttività , potendosi ricondurre a quest'ultimo ambito soltanto una produttività prevedibile come modestissima . Parametro che - come puntualizzato dalle Sezioni Unite, in linea con quanto già affermato dalla precedente giurisprudenza di legittimità - deve essere ancorato a presupposti oggettivi , che devono essere tutti compresenti, quali la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell'attività nell'ambito del mercato degli stupefacenti, l'oggettiva destinazione di quanto prodotto all'uso personale esclusivo del coltivatore , rimarcando come la circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l'intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale deve essere ritenuta da sola insufficiente ad escluderne la rispondenza al tipo penalmente sanzionato così nella motivazione della sentenza Sez. U, Caruso . Infine, le Sezioni Unite hanno rimarcato che, sul piano dell'offensività , il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente. E per coltivazione dovrà intendersi l'attività svolta dall'agente in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto . 2.3. Tornando al caso di specie, sulla scorta di quanto si è testé dato conto, non è revocabile in dubbio che, come ineccepibilmente ritenuto dal Giudice a quo, la messa a coltura di ben undici piantine di marijuana non possa ritenersi non punibile, risultando, nella specie, all'evidenza mancante uno dei principali presupposti oggettivi della coltivazione non punibile che - come chiarito dalle stesse Sezioni Unite Caruso - devono essere tutti compresenti , id est lo scarso numero di piantine da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto , risultando da sola irrilevante - in presenza di un reato a pericolo presunto -l'eventuale intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale . 3. I restanti motivi dedotti da Ca. sono tesi a promuovere un sindacato chiaramente di merito e sono, pertanto, avulsi dall'ambito del giudizio di legittimità. 3.1. Ed invero, come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900 . Elementi di segno positivo che, nella specie, i Giudici di merito hanno correttamente ritenuto insussistenti, rimarcando altresì - con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici, dunque, insindacabili in questa Sede - i numerosi precedenti penali anche specifici dell'imputato, ostativi al riconoscimento dell'invocata diminuente v. pagina 3 della sentenza impugnata 3.2. Incensurabile è anche la ritenuta sussistenza dei presupposti della recidiva e la conseguente commisurazione della pena, trattandosi di valutazioni rimesse al prudente apprezzamento dei Giudici della cognizione, estranei all'ambito dell'art. 606 cod. proc. pen. e dunque non delibabili ove sorretti da una motivazione adeguata. Adeguato risulta comunque il corredo argomentativo svolto dal Collegio catanese a giustificazione della ritenuta recidiva, nella parte in cui ha evidenziato come, dopo avere riportato condanne per reati della stessa indole, Ca. abbia commesso la nuova condotta delittuosa mentre si trovava sottoposto a misura della detenzione domiciliare, elemento sintomatico di una capacità criminale accresciuta rispetto al passato nonché valutabile ai fini della commisurazione della pena v. pagina 3 della sentenza impugnata 4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 3 novembre 2020