Preclusa al giudice dell’esecuzione la rideterminazione della pena ritenuta illegale inflitta nel giudizio di cognizione

I Giudici di legittimità enunciano il principio secondo cui il giudice dell’esecuzione non può procedere alla rideterminazione della pena inflitta nel giudizio di cognizione qualora sia stato dedotto un profilo di illegalità che non abbia determinato una sanzione non prevista dall’ordinamento ovvero che superi il limite legale per specie o per quantità.

Questo il principio contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2706/21, depositata il 22 gennaio. L’attuale ricorrente chiedeva la rideterminazione della pena inflittagli per il reato di furto aggravato dal Tribunale di Forlì perché ritenuta illegale , in quanto il Giudice aveva aumentato la pena base per il suddetto reato nella misura di due terzi a causa della recidiva reiterata , violando in tal modo l’art. 63, comma 4, c.p Il Presidente del Tribunale di Forlì dichiarava l’inammissibilità della richiesta, dunque l’imputato si rivolge alla Corte di Cassazione, lamentando l’illegalità della pena irrogata. La Corte di Cassazione ritiene il ricorso manifestamente infondato e ne dichiara la inammissibilità, evidenziando che la questione ad essa sottoposta ha ad oggetto se nella fase esecutiva sia o meno consentito emendare un errore di diritto commesso nel giudizio di cognizione , con la conseguente rideterminazione della pena. A tal proposito, la Corte osserva che la disciplina delle impugnazioni ordinarie, ove vige il principio devolutivo come parziale” nell’appello e circoscritto” nel giudizio di legittimità, delimita la cognizione del giudice del gravame con riferimento al contenuto dell’istanza, tollerando l’eventualità che possano diventare irrevocabili i giudizi fondati su violazioni di legge penale e processuale, qualora non sottoposte alla cognizione del giudice superiore mediante impugnazione. In tale contesto, assume particolare rilevanza la presenza di circostanze aggravanti nonché la commisurazione della pena , le quali non rivestono punti della decisione di primo grado devoluti d’ufficio al giudice di seconda istanza ma solo su impugnazione di parte. Ora, dopo la formazione del giudicato, prosegue la Corte, l’ordinamento prevede dei mezzi di impugnazione straordinaria finalizzati all’eliminazione dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna di pronunce determinate da un giudizio erroneo. Ciò posto, la Corte sottolinea che la giurisprudenza ha affermato che l’ illegittimità della pena inflitta mediante sentenza irrevocabile può essere rilevata in sede esecutiva soltanto quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedere il limite legale , ma non invece quando risulti errato il calcolo attraverso il quale la pena è stata determinata [], trattandosi in tal caso di un errore sindacabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza . Ora, nel caso di specie si prospetta un errore di diritto determinato da un’interpretazione normativa che la giurisprudenza ha ritenuto costituire una violazione di legge. Tale questione giuridica, secondo la Suprema Corte, doveva essere sottoposta nel giudizio di cognizione, non potendo formare oggetto di richiesta al giudice dell’esecuzione. Al termine di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e pronuncia il seguente principio di diritto Al giudice dell’esecuzione è preclusa la rideterminazione della pena inflitta nel giudizio di cognizione ove venga dedotto un profilo di illegalità, per violazione dell’art. 63, comma quarto, c.p., che non abbia determinato una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente il limite legale per specie o per quantità .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 settembre 2020 – 22 gennaio 2021, n. 2706 Presidente Sandrini – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con istanza presentata in data 29.2.2020, M.G. aveva chiesto la rideterminazione, siccome illegale, della pena inflitta dalla sentenza pronunciata in data 19.11.2014 dal Tribunale di Forlì. L’istanza aveva dedotto, in particolare, che la sentenza, nella determinazione del trattamento sanzionatorio per il reato di furto aggravato, aveva aumentato la pena base per il furto aggravato anni tre di reclusione ed Euro 600 di multa nella misura di due terzi in ragione della recidiva reiterata, e ciò in violazione dell’art. 63 c.p., comma 4. 2. Con decreto depositato in data 13.3.2020 il Presidente del Tribunale di Forlì ha dichiarato la inammissibilità, per manifesta infondatezza, della istanza, osservando, da una parte, che, nella fase di cognizione, l’appello, relativo anche alla misura della pena, avverso la sentenza di primo grado era stato dichiarato inammissibile, decisione non impugnata, e, dall’altra, che la pena inflitta rientrava nei limiti dello specifico parametro legale e quindi non poteva essere definita illegale. 3. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.G. , chiedendo l’annullamento del decreto impugnato. La sentenza di condanna, nell’operare la commisurazione della pena, aveva operato una doppia applicazione di circostanza ad effetto speciale, violando il disposto di cui all’art. 63 c.p., comma 4, che prescrive che l’aumento per la seconda circostanza aggravante sia solo facoltativo ed operi secondo la modalità prevista in via generale fino a un terzo . La pena inflitta, determinata seguendo procedura illegale, doveva quindi essere ritenuta illegale e quindi da riportare a legalità anche nella fase esecutiva. 4. Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato e ne va perciò dichiarata la inammissibilità. 1. L’impugnazione riguarda quindi la questione giuridica se nella fase esecutiva sia consentito emendare un errore di diritto - nella specie, la violazione dell’art. 63 c.p., comma 4, - compiuto nel giudizio di cognizione, con conseguente rideterminazione, in executivis, della pena inflitta. 1.1. Il Collegio osserva che la disciplina delle impugnazioni penali ordinarie, che declina il principio devolutivo come parziale nell’appello e circoscritto nel giudizio di cassazione, delimita, salvo i casi limitati di devoluzione d’ufficio, la cognizione del giudice della impugnazione in relazione al contenuto della istanza della parte impugnante e quindi tollera l’eventualità che possano divenire irrevocabili giudizi fondati su violazioni della legge penale e processuale, ove non sottoposte, con il mezzo di impugnazione, alla cognizione del giudice superiore. In particolare, la sussistenza delle circostanze aggravanti e la commisurazione della pena non sono punti della decisione di primo grado devoluti d’ufficio al giudice di appello, bensì solo su impugnazione della parte art. 597 c.p.p. . Dopo la formazione del giudicato, l’ordinamento prevede, con i mezzi di impugnazione straordinaria revisione e ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p. , istituti processuali finalizzati alla eliminazione, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di decisioni determinate da un erroneo giudizio. In particolare, il ricorso straordinario riguarda unicamente le sentenze di legittimità, mentre la revisione, che concerne le sentenze di merito, è limitata ai casi in cui potrebbe derivare il proscioglimento del condannato e non una rideterminazione, in melius, della pena art. 631 c.p.p. . È poi previsto lo strumento processuale art. 673 c.p.p. per eliminare la sentenza di condanna che risulti, per effetto di mutamento legislativo ovvero per declaratoria di incostituzionalità, pronunciata in relazione a un fatto che non è più previsto come reato. Nel caso di declaratoria di incostituzionalità che incida, non sulla fattispecie legale incriminatrice, bensì su norma che disciplina componenti del trattamento sanzionatoriof opera la L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, che impone l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole derivante da una sentenza di condanna pronunciata anche in applicazione di norma dichiarata incostituzionale Sez. Un. 29.5.2014, Gatto . Infine, in giurisprudenza si è affermato che l’illegittimità della pena inflitta con sentenza ormai irrevocabile può essere rilevata in sede esecutiva soltanto quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedere il limite legale, ma non invece quando risulti errato il calcolo attraverso il quale la pena è stata determinata salvo che esso sia frutto di un errore aritmetico macroscopico , trattandosi in tal caso di un errore sindacabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza Sez. Un., 26/06/2015, Butera, Rv. 265108 Sez. 1, 20.1.2014, Medulla, Rv. 259735 Sez. 1, 23/01/2013, Villirillo, Rv. 256879 Sez. 1, 3/03/2009, Alfieri, Rv. 243742 . 1.2. La questione giuridica devoluta alla cognizione di questo collegio riguarda la possibilità di intervento, nella fase esecutiva, su un profilo di illegalità così detta originaria, determinata direttamente dall’accertamento compiuto nel giudizio di cognizione, e non da un sopravvenuto mutamento normativo. In particolare, i giudici della cognizione avrebbero violato la disciplina specifica dettata per il caso di una pluralità di circostanze aggravanti ad effetto speciale, quali sono la recidiva reiterata e le aggravanti speciali di cui all’art. 625 c.p. Sez. Un., 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 . Inoltre, dal punto di vista processuale, si deve rilevare che il decreto impugnato ha dato atto che il punto relativo alla eccessiva onerosità della pena inflitta era stato devoluto con l’atto di appello, del quale peraltro era stata dichiarata la inammissibilità con pronuncia della Corte di appello di Bologna non impugnata. 2. Il Collegio ritiene che nel particolare caso in esame si debba escludere la possibilità che il giudice dell’esecuzione provveda a eliminare l’accertamento ritenuto illegale per violazione dell’art. 63 c.p., comma 4. Come già rilevato, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di un intervento del giudice dell’esecuzione sulla pena inflitta dal giudice della cognizione, ma solo nei ai casi in cui la sanzione inflitta non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale , con la precisazione che l’errore, di diritto o di calcolo, nella determinazione della pena è emendabile in sede esecutiva solo se non sia stato frutto di specifica valutazione e risulti macroscopico. Nel caso in esame, invece, viene prospettato un errore di diritto, non relativo alla specie nè ai limiti legali della sanzione penale, bensì determinato da una interpretazione normativa - alla stregua della quale la recidiva reiterata non sarebbe qualificabile come circostanza aggravante ad effetto speciale - che la giurisprudenza Sez. Un., 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 ha ritenuto essere in violazione di legge. La relativa questione giuridica doveva, quindi, essere sottoposta, tramite i mezzi di impugnazione, nel giudizio di cognizione, e non può formare oggetto di richiesta al giudice dell’esecuzione. Il collegio quindi ritiene che debba essere affermato il principio secondo il quale Al giudice dell’esecuzione è preclusa la rideterminazione della pena inflitta nel giudizio di cognizione ove venga dedotto un profilo di illegalità, per violazione dell’art. 63 c.p., comma 4, che non abbia determinato una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente il limite legale per specie o per quantità . 3. Il ricorso proposto risulta quindi manifestamente infondato. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma non anche quella al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ritenendosi sussistere profili di colpa a carico del ricorrente alla stregua delle ragioni della proposizione del gravame. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.