Fuga breve a causa dell’intervento delle forze dell’ordine: rapina comunque realizzata

Condanna definitiva per l’uomo sotto processo. Respinta la tesi difensiva, mirata a qualificare l’episodio come mero tentativo di rapina. Irrilevante, secondo i giudici, il fatto che il rapinatore abbia avuto per poco tempo il possesso della refurtiva e che sia stato subito fermato dalle forze dell’ordine.

Di breve durata la fuga del rapinatore, tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine che poi prontamente lo fermano e provvedono all’arresto, rinvenendo ovviamente anche la refurtiva. Ciò nonostante, va comunque considerato portato a compimento il reato . Respinta la linea difensiva, mirata a ridimensionare l’episodio come mero tentativo di rapina Cassazione, sentenza n. 2716, sez. II Penale, depositata il 22 gennaio . Ricostruita la vicenda, i Giudici di primo e di secondo grado ritengono evidente la colpevolezza dell’uomo sotto processo, reo del delitto di rapina aggravata in concorso . Col ricorso in Cassazione, però, il difensore contesta la valutazione compiuta dal GUP del Tribunale e dai giudici della Corte d’Appello, e ritiene più logico parlare di tentata rapina , ponendo in evidenza elementi che dimostravano l’incertezza quanto all’effettiva sottrazione della refurtiva dalla sfera di controllo della vittima, anche per il continuo controllo da parte degli agenti di polizia poi intervenuti . Inoltre, sempre secondo il legale, è contraddittorio sancire che il fatto era avvenuto mentre sia gli operanti che la vittima osservavano tutte le fasi della vicenda e poi ritenere che ciò non avesse comportato un controllo diretto tale da impedire l’effettiva sottrazione della refurtiva. Infine, la linea difensiva pone in evidenza che lo scarso pregiudizio subito dalla vittima, poiché lesioni non erano documentate in alcun modo, mancando certificati medici attestanti natura e gravità e non avendo scelto la vittima di costituirsi parte civile . A smentire il difensore sono i dettagli della vicenda, ribattono dalla Cassazione. Il riferimento è in particolare al fatto che i Giudici territoriali hanno indicato i dati fattuali che attestavano l’avvenuto impossessamento degli oggetti che, rinvenuti all’esito della perquisizione del rapinatore, furono immediatamente riconosciuti dalla vittima . In questo quadro la circostanza su cui fa leva ripetutamente il difensore, ossia che tanto la persona offesa quanto gli agenti di polizia avevano avuto la possibilità di seguire visivamente l’azione del rapinatore e le fasi della fuga, interrotta con il fermo e il successivo arresto in flagranza, non incide in alcun modo sulla differente qualificazione giuridica della condotta, poiché il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del rapinatore, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica . Invece non rileva che l’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo, anche costante, delle forze dell’ordine, laddove queste, come in questa vicenda, siano intervenute solo dopo la sottrazione . Ciò perché, il delitto di rapina si consuma nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, a nulla rilevando, invece, la mera temporaneità del possesso conseguito , ribadiscono dalla Cassazione. Impossibile, quindi, parlare di mera tentata rapina . Respinta anche l’ipotesi difensiva mirata a vedere riconosciuto un danno lieve per la vittima. A questo proposito, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto . Ebbene, in questo caso specifico, si è fatto correttamente riferimento, osservano dalla Cassazione, alle conseguenze dell’azione sia minacciosa, che lesiva, in termini di pregiudizi materiali e morali per la vittima, sicché l’assenza di specifiche documentazioni mediche non esclude che, anche solo sotto il profilo del danno non patrimoniale, l’azione del rapinatore abbia comportato per la vittima effetti che impediscono di valutare come di speciale tenuità il danno arrecato .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 dicembre 2020 – 22 gennaio 2021, n. 2716 Presidente Cammino – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 24 giugno 2019, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Bergamo in data 12 dicembre 2018 nei confronti di D.B. , per il delitto di rapina aggravata in concorso. 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in riferimento all’art. 628 c.p. la sentenza impugnata aveva rigettato la richiesta di riqualificazione giuridica del fatto quale ipotesi tentata di rapina, senza considerare gli elementi che dimostravano l’incertezza quanto all’effettiva sottrazione della refurtiva dalla sfera di controllo della vittima, anche per il continuo controllo da parte degli agenti di polizia poi intervenuti. 2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, manifestamente illogica, quanto al giudizio espresso in relazione alla qualificazione giuridica del fatto la decisione, pur avendo affermato che il fatto era avvenuto mentre sia gli operanti che la vittima osservavano tutte le fasi della vicenda, aveva poi ritenuto, in modo manifestamente illogico, che ciò non avesse comportato un controllo diretto tale da impedire l’effettiva sottrazione degli oggetti indicati nell’imputazione. 2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione, in relazione all’art. 62 c.p., n. 4 la Corte aveva escluso la sussistenza della circostanza attenuante affermando, in modo contraddittorio rispetto agli atti processuali, che nella valutazione del pregiudizio rilevano anche gli effetti dannosi conseguenti alle lesioni subite dalla vittima, circostanza che non era documentata in alcun modo mancando certificati medici attestanti natura e gravità delle lesioni e non avendo scelto la vittima di costituirsi parte civile. 3. La Corte ha proceduto all’esame del ricorso con le forme previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 37, art. 23, comma 8. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che concernono entrambi la questione della diversa qualificazione giuridica del fatto quale ipotesi di tentata rapina, sotto il diverso angolo di prospettiva della violazione di legge e del vizio della motivazione, sono manifestamente infondati, oltre che reiterativi delle censure già svolte in sede di appello e adeguatamente superate dalla motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha indicato i dati fattuali che attestavano l’avvenuto impossessamento degli oggetti che, rinvenuti all’esito della perquisizione dell’imputato, furono immediatamente riconosciuti dalla vittima la circostanza su cui fa leva ripetutamente il ricorrente, ossia che tanto la persona offesa, quanto gli agenti di polizia, avevano avuto la possibilità di seguire visivamente l’azione del ricorrente e le fasi della fuga, interrotta con il fermo e il successivo arresto in flagranza, non incide in alcun modo sulla differente qualificazione giuridica auspicata dalla difesa, poiché è principio pacificamente ricevuto quello per cui il reato di rapina si consuma nel momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, e pur se, subito dopo il breve impossessamento, il soggetto agente sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della Forza pubblica Sez. 2, n. 14305 del 14/03/2017, Moretti, Rv. 269848 , mentre non rileva che l’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo, anche costante, delle Forze dell’Ordine, laddove queste - come nella specie in esame - siano intervenute solo dopo la sottrazione, in quanto il delitto previsto dall’art. 628 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, a nulla rilevando, invece, la mera temporaneità del possesso conseguito Sez. 2, n. 7500 del 26/01/2017, Hamidovic, Rv. 269576 Sez. 2, n. 5663 del 20/11/2012, dep. 2013, Alexa Catalin, Rv. 254691 . 1.2. Il terzo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato la motivazione della Corte d’appello, che ha correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salamone, Rv. 265685 , ha fatto riferimento alle conseguenze dell’azione sia minacciosa, che lesiva, in termini di pregiudizi materiali e morali , sicché l’assenza di specifiche documentazioni mediche non esclude che, anche solo sotto il profilo del danno non patrimoniale, l’azione abbia comportato effetti che impediscono di valutare come di speciale tenuità il danno arrecato. 2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.