Compatibilità delle condizioni di salute del condannato con lo status detentionis e valutazione del pericolo di morte in caso da infezione da COVID-19

La valutazione sull’incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulle possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di una persona gravemente ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante, deve essere effettuata comparativamente, tenendo conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione.

Nell’affermare il principio di diritto suindicato, la Suprema Corte, nella sentenza n. 1919 del 2021 aggiunge che tale valutazione comporta un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari posti a disposizione del detenuto all’interno del circuito penitenziario, ma anche di concreta adeguatezza del trattamento terapeutico, che nella situazione specifica è possibile assicurare al suddetto. Il percorso procedimentale nel caso concreto. È questo il passaggio argomentativo fondamentale della pronuncia in commento che accoglie il ricorso presentato dal detenuto in 41- bis , il quale, avuta concessa in via provvisoria dal Magistrato di Sorveglianza la detenzione domiciliare ‘umanitaria’, rigettava la richiesta del detenuto di differimento della pena, anche nelle forme della detenzione domiciliare. Il difetto motivazionale rilevato dalla Cassazione sta proprio nell’aver il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila ridimensionato la situazione di incompatibilità del quadro clinico con lo status detentionis – attestata da ben due relazioni sanitarie – dando atto dell’assenza di particolari criticità da parte del personale sanitario prima dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus peraltro appoggiandosi su un collegio di esperti di professione medica che non può surrogare una perizia specialistica . Non si richiede una incompatibilità assoluta per l’apertura delle porte del carcere. In sostanza, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di sorveglianza, non è necessaria una incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, laddove l’infermità o la malattia siano tali da poter comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare cure adeguate in ambito carcerario, o ancora, da causare al detenuto sofferenze tali da sconfinare in trattamenti inumani o degradanti Cass. pen., Sez. I, n. 27352/2019 . L’equivoco di fondo che invece si annida in alcune decisioni, come quella de qua, nell’interpretazione delle norme sulla grave infermità ex art. 147 c.p. quale presupposto per accedere al differimento o alla detenzione in deroga o in surroga , è che si ritiene superabile la valutazione di incompatibilità se vi sono strutture idonee per curare il detenuto malato Primo step se l’incompatibilità è assoluta non rileva la possibilità di curare intramurario il detenuto La scorciatoia esegetica che rischia impropriamente di passare è quella per cui se vi è una struttura ospedaliera in cui curare il detenuto malato allora quest’ultimo può restare in carcere. Invece, se l’incompatibilità è assoluta si aprono le porte del carcere, anche se le cure possono essere eseguite in reparti carcerari specializzati . Se vi è una incompatibilità assoluta il corretto bilanciamento tra il diritto di salute del condannato e la tutela delle esigenze di sicurezza pubblica è stato composta a monte” dal legislatore si impone la fuoriuscita dal carcere del detenuto, a prescindere dall’esistenza o meno di idonee strutture sanitarie intramurarie non c’è spazio per tale valutazione , dovendosi applicare la detenzione domiciliare, in luogo del differimento della pena, qualora residuino margini ampi di tutela della collettività. altrimenti si sconfina dai binari della legalità costituzionale e convenzionale. Pertanto, in caso di incompatibilità assoluta del regime carcerazione con il quadro clinico del detenuto, l’eventuale permanenza in carcere motivata dalla possibilità di ricorrere a cure, anche esterne al carcere, fa travalicare l’esecuzione della pena in trattamenti inumani e degradanti in contrasto con l’art. 27, comma 3, Cost. e art. 3 CEDU, perché supera il livello di afflittività massimo sopportabile. La Corte EDU , infatti nel dettare i parametri dai quali evincere quel livello minimo di gravità dei trattamenti inumani o degradanti, per rientrare nel campo di applicazione dell'art. 3 CEDU, ha individuato l'età e lo stato di salute del recluso Corte Edu, Sez. IV, sentenza 1 settembre 2015, n. 20034 . I giudici europei hanno aggiunto come la circostanza che un detenuto soffra di gravi e molteplici patologie, attestate da un'adeguata documentazione medica sottoposta alle autorità competenti comporta che la detenzione in carcere è incompatibile con il suo stato di salute. Il mantenimento dello stato detentivo comporta, in presenza di uno stato di salute precario, un trattamento disumano e degradante Corte, Edu, Sez. II, sentenza 11 febbraio 2014, n. 7509 . Se l’incompatibilità è relativa” si valuta la possibilità di permanenza in carcere con cure anche esterne. Solo se la valutazione di incompatibilità è relativa, entra in gioco” nell’eventuale secondo step nel valutare se far restare in carcere o meno il detenuto, la possibilità di seguire un percorso terapeutico o di cure in ambiente carcerario fornito di un centro clinico specializzato. In questo caso, occorrerà valutare a la concreta adeguatezza del trattamento terapeutico b in ogni caso, qualora tale ultima valutazione sia positivo, indicare con precisione, e non genericamente, la struttura penitenziaria in cui la pena deve essere eseguita. Non basta insomma che il giudice accerti che vi sono istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità tale accertamento deve costituire un ‘ prius’ rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa rimessa all’autorità amministrativa Cass. Pen., Sez. I, n. 4117/2018 . Il pericolo da contagio COVID-19 quale quid pluris della valutazione. La valutazione del Tribunale di sorveglianza nel caso di specie si è fermata alla ritenuta erronea in ogni caso insussistenza di criticità pre-pandemia. Non ha tenuto conto che il detenuto è stato considerato soggetto ad altissimo rischio e che l’infezione da Sars-COVID 19 , esporrebbe il detenuto all’insorgenza di gravi complicanze con prognosi infausta quoad vitam . Invece, nella valutazione del trattamento terapeutico che nella situazione concreta è possibile assicurare al carcerato, tenuto conto delle patologie che lo affliggono, non si può non tener conto della possibile influenza su di esse dell’emergenza sanitaria Cass. Pen., Sez. I, n. 35772/2020 . In definitiva, non si ci può limitare ad affermare la compatibilità con lo status detentionis in carcere, senza verificare se l’eventuale protrazione della detenzione del condannato sia compatibile con le infermità di cui risulta affetto, considerando i rischi di un possibile contagio pandemico. Su tali coordinate interpretative dovrà muoversi il nuovo giudizio del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 ottobre 2020 – 18 gennaio 2021, n. 1919 Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi Rilevato in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila ha rigettato la richiesta di L.M. finalizzata a ottenere il beneficio penitenziario del differimento della pena ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3 o comunque dell’art. 147 c.p., comma 1, n. 2 , anche nella forma della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter Ord. Pen., comma 1 ter . 2. Avverso tale ordinanza L.M. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, ricorre per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai presupposti di cui agli artt. 146 e 147 c.p. e L. n. 354 del 1975, art. 47 ter. Il difensore si duole che a fronte di due relazioni sanitarie attestanti l’incompatibilità delle condizioni di salute del condannato col regime carcerario, quali quelle del 19.3.2020 e del 26.3.2020 a firma del Responsabile del Presidio Sanitario Penitenziario di Sulmona, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila abbia affermato la non gravità delle stesse, in quanto trattate nell’Istituto di pena di Sulmona senza la segnalazione di particolari criticità da parte del personale sanitario prima dell’attuale emergenza Covid-19, pur dando atto del pregresso infarto miocardico, per il quale si rendeva necessario un intervento di angioplastica nel 2019, e dell’ulteriore patologia sindrome delle apnee notturne emersa durante il periodo di carcerazione nel suddetto istituto. Rileva la difesa che il provvedimento impugnato erroneamente afferma che per l’accoglimento dell’istanza di differimento facoltativo è necessaria l’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione del condannato, incompatibilità, altresì, prospettata nel caso in esame dalle suddette relazioni, trascurando che va comunque sempre tenuta presente, ai sensi degli artt. 32 e 27 Cost., anche nel caso di persone sottoposte al regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., l’esigenza non solo di salvaguardare il fondamentale diritto alla salute, ma di non violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità trascurando, inoltre, che nel caso in esame nelle predette relazioni mediche non soltanto è stato evidenziato che L. deve essere sottoposto ad ulteriore intervento chirurgico per la suddetta sindrome subentrata durante la detenzione, ma che per la grave patologia da cui è affetto è da ritenersi un soggetto ad altissimo rischio, e si è precisato al contempo che l’infezione da Sars-Covid 19, secondo i parametri di cui alla segnalazione del M.G. D.A.P. del 21.03.2020 esporrebbe il detenuto all’insorgenza di gravi complicanze con prognosi infausta quoad vitam . Si duole il difensore che il Tribunale di sorveglianza, mediante argomentazioni apodittiche e in contrasto con la documentazione medica agli atti, abbia rigettato la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena senza verificare con perizia medica la compatibilità delle condizioni di salute di L. , anche alla luce del loro peggioramento e dell’emergenza pandemica, con il regime carcerario. Violando, in tal modo, anche il disposto di cui al D.Lgs. n. 230 del 1999, art. 1, che prevede espressamente che i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione . Lamenta la difesa come del tutto inconferente sia il richiamo alla nota della DDA della Procura della Repubblica di Messina, nella quale si paventa la pericolosità di L. non sulla base di fatti nuovi, bensì in virtù delle condanne riportate dal suddetto per condotte poste in essere fino al 2009. Tant’è che, contraddittoriamente, la stessa ordinanza evidenzia che L. non ha carichi pendenti. Il difensore, alla luce di tali motivi, insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in base a quanto di seguito specificato. 2. Va, preliminarmente, osservato che - la concessione della detenzione domiciliare, il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147 c.p. e il differimento obbligatorio ai sensi dell’art. 146 dello stesso codice sono istituti che si fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali art. 3 Cost. , su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato art. 27 Cost. e, infine, su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo art. 32 Cost. - quindi, a fronte di una richiesta di differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute o di detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice deve, valutare se le condizioni di salute del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con la pericolosità sociale del condannato e alla possibilità che un eventuale anche residuo rischio di recidiva sia adeguatamente fronteggiabile con la detenzione domiciliare cosiddetta umanitaria, considerate le limitazioni e le restrizioni ad essa apponibili - il giudice deve, quindi, operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza e indefettibilità della pena, nonché di prevenzione e di difesa sociale, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza - di tale valutazione deve dare conto con motivazione compiuta, ancorché sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento. Questa Corte ha, inoltre, sottolineato che - ai fini dell’accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 147 c.p., comma 1, n. 2, non è necessaria un’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Nobile Antonino, Rv. 276413 - il giudice che, in presenza di dati o documentazione clinica attestanti l’incompatibilità delle condizioni di salute del condannato con il regime carcerario, ritenga di non accogliere l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per motivi di salute deve basarsi su dati tecnici concreti disponendo gli accertamenti medici necessari e, all’occorrenza, nominando un perito Sez. 1, n. 39798 del 16/05/2019, Dimarco Francesco, Rv. 276948 - il tribunale di sorveglianza, ove ritenga che il rinvio dell’esecuzione della pena invocato per motivi di salute non possa essere concesso, sul presupposto che è possibile praticare utilmente le cure necessarie in ambiente carcerario fornito di centro clinico specializzato, deve indicare, nel provvedimento di rigetto, con precisione e non genericamente, la struttura penitenziaria in cui la pena deve essere espiata Sez. 1, n. 41192 del 18/09/2015, Chilà, Rv. 264894 . 3. Passando al caso che ci occupa, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila non ha fatto buon governo di tali principi di diritto. Invero, detto Tribunale riporta in premessa le conclusioni delle due relazioni sanitarie del Responsabile del Presidio Sanitario Penitenziario di Sulmona, in data 19.3.20 a seguito della quale il Magistrato di sorveglianza dell’Aquila ha concesso al condannato provvisoriamente la detenzione domiciliare in luogo del differimento dell’esecuzione della pena , in cui si indica che il detenuto è affetto da pregresso infarto miocardico e sospetta sindrome dell’apnea notturna in attesa di intervento chirurgico e si ritiene che, in caso di infezione da SARS-Covid 19, possa essere considerato paziente ad altissimo rischio , e in data 26.3.20, in cui si precisa che l’infezione da SARS-Covid 19, secondo i parametri di cui alla segnalazione del M.G. D.A.P. del 21-03-2020, esporrebbe il detenuto all’insorgenza di gravi complicanze con prognosi infausta quoad vitam . Rileva, quindi, che pur essendo stato formulato un giudizio di prognosi infausta quoad vitam dal medico dell’Istituto di pena nelle citate relazioni sanitarie, lo stesso risulta effettuato esclusivamente con riferimento all’eventualità di contagio da parte del detenuto del virus Covid-19 e non anche con riferimento in generale alla allocazione dell’interessato all’interno del carcere, evincendosi complessivamente dalle risultanze dell’istruttoria condizioni di salute non così gravi da determinare un’incompatibilità col regime carcerario tanto da essere state trattate precedentemente nell’Istituto di pena di Sulmona senza che fossero mai state segnalate particolari criticità. Il Tribunale di sorveglianza, facendo leva sulla sua composizione integrata da esperti, rileva, invero, che l’infarto miocardico non ha lasciato postumi di rilievo documentati e che per la sospetta sindrome delle apnee notturne, neppure confermata, in relazione alla quale neppure è specificato l’intervento chirurgico da effettuarsi, sono disponibili numerosi presidi di trattamento, peraltro facilmente utilizzabili e trasportabili. Esclude, pertanto, la sussistenza di infermità così gravi da necessitare di cure e trattamenti indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante il ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura e dunque tali da rendere la detenzione inumana . Osserva, inoltre, detto Tribunale come siano intervenuti elementi di novità in merito alla pericolosità sociale del condannato rispetto a quelli valutati dal Magistrato di sorveglianza nel concedere in via provvisoria la detenzione domiciliare, richiamando sul punto una nota della DDA della Procura della Repubblica di Messina in data 14.5.20 in relazione ad altro procedimento, nella quale, oltre ad evidenziarsi che il sanitario della Casa di reclusione di Sulmona non segnalava alcuna causa di incompatibilità col regime carcerario, si sottolineava la gravità dei reati per i quali L. risultava essere stato condannato e comunque la sua personalità delinquenziale. Tali essendo le argomentazioni del Tribunale di sorveglianza in relazione al profilo delle condizioni di salute di L. e della loro compatibilità col regime carcerario, nonché in relazione all’ulteriore profilo della pericolosità sociale del condannato, è evidente che le stesse, al di là di, un’apparente completezza motivazionale, presentino indubbie carenze e/o contraddizioni motivazionali. Laddove, a fronte di ben due relazioni sanitarie che rilevano l’incompatibilità in concreto di tali condizioni col regime carcerario avuto riguardo alle patologie sofferte da L. e al rischio di insorgenza di gravi complicanze collegato all’eventualità di infezione da SARS-Covid 19, ridimensionano detta incompatibilità per, non essere riferita in generale alla allocazione dell’interessato all’interno del carcere e per l’insussistenza di segnalazioni di criticità antecedenti all’attuale emergenza sanitaria, facendo, altresì, leva su una presenza nel collegio di esperti di professione medica, che comunque non può surrogare una perizia medica specialistica, nel caso di specie senza dubbio indispensabile in considerazione delle conclusioni delle suddette relazioni. E inoltre trascurano che, ai sensi dell’art. 27 Cost., comma 3, e art. 32 Cost., la valutazione sull’incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di una persona gravemente ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante, debba essere effettuata comparativamente, tenendo conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione valutazione, questa, che comporta un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari posti a disposizione del detenuto all’interno del circuito penitenziario, ma anche di concreta adeguatezza del trattamento terapeutico, che, nella situazione specifica, è possibile assicurare al suddetto Sez. 1, n. 30945 del 05/07/2011, Vardaro, Rv. 251478 in senso conforme Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018, Cinà Gaetano Vincenzo, Rv. 274879 . Laddove, inoltre, con riguardo al profilo della pericolosità sociale del condannato, affermano la sussistenza di elementi di novità rispetto a quelli oggetto di valutazione del Magistrato di sorveglianza dell’Aquila nel concedere provvisoriamente la detenzione domiciliare in luogo del differimento dell’esecuzione della pena, facendo riferimento ad una nota della DDA della Procura della Repubblica di Messina che fa leva sulle condanne riportate da L. comprese nel provvedimento di cumulo in esecuzione, quindi per furti, delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, tentata estorsione e estorsione aggravate dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 e ricettazione, reati commessi fino al 2009 e quindi su elementi senza dubbio noti al suddetto Magistrato di sorveglianza. E non si confrontano col dato premesso dalla stessa ordinanza dell’assenza di condanne successive e di successivi procedimenti pendenti a carico di L. . 4. Si impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di sorveglianza dell’Aquila per nuovo giudizio, rispettoso dei principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza dell’Aquila.