Separati in casa: è violenza sessuale il rapporto imposto dal marito alla moglie

Condanna definitiva per l’uomo, colpevole non solo di maltrattamenti in famiglia ma anche di violenza sessuale nei confronti della moglie. Quest’ultima è stata costretta a subire un rapporto intimo, e lo ha accettato anche perché, osservano i giudici, già vittima delle condotte vessatorie tenute dal coniuge.

Moglie maltrattata e poi costretta dal marito a subire rapporti sessuali. Inevitabile la condanna dell’uomo. A inchiodarlo anche l’invasività dell’atto sessuale, e il dato certo della prolungata mancanza di rapporti in camera da letto Cassazione, sentenza n. 1764/21, sez. III Penale, depositata il 18 gennaio . Ricostruita la delicata vicenda, i Giudici di merito ritengono colpevole, sia in primo che in secondo grado, l’uomo per i maltrattamenti in famiglia in danno della figlia e della moglie e per la violenza sessuale compiuta in un’occasione ai danni della consorte. Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo contesta il reato di violenza sessuale, mettendo sul tavolo le spiegazioni fornite dal suo cliente circa il consenso della donna all’atto sessuale – o la non percezione del dissenso da parte sua – e la saltuaria consumazione di rapporti sessuali tra i due coniugi, pur in assenza di sentimenti amorosi . In aggiunta, poi, il legale parla di episodio non grave, richiamando la poca chiarezza circa l’effettiva coartazione della persona offesa e l’assenza di consenso da parte sua nel particolare quadro dei rapporti tra i coniugi . Dalla Cassazione ribattono mostrando di condividere la ricostruzione compiuta in Appello. In particolare, è emerso che il rapporto sessuale in discussione fu consapevolmente imposto dall’uomo alla moglie, che manifestò il proprio dissenso, posto che da tempo come coniugi non avevano rapporti sessuali e vivevano da separati in casa , ed esso e fu subito dalla donna per paura di incorrere in ulteriori condotte maltrattanti , sì da costituire, peraltro, la molla che fece scattare in lei, che da molti anni subiva le angherie e i soprusi del marito, la decisione di porre fine alla convivenza e di allontanarsi di casa con le figlie . Rispetto a tale quadro ha piena applicazione il principio secondo cui in tema di violenza sessuale il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali . Impossibile, infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ridimensionare la gravità dell’episodio. Su questo fronte i Giudici ricordano che per il riconoscimento della circostanza attenuante deve potersi ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno ad essa arrecato, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto . In questo caso, è corretto parlare di fatto grave , concludono dalla Cassazione, poiché si è appurato che si trattò di un rapporto sessuale completo, realizzato anche con sodomizzazione, nei confronti della moglie da anni maltrattata .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 novembre 2020 – 18 gennaio 2021, n. 1764 Presidente Lapalorcia – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 aprile 2019, la Corte d'appello di Palermo, giudicando sul gravame proposto dall'odierno ricorrente, ha confermato la condanna del medesimo alle pene di legge per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di maltrattamenti in famiglia in danno della figlia e della moglie e di un episodio di violenza sessuale nei confronti di quest'ultima. 2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione per essere stato ritenuto il reato di cui all'art. 572 cod. pen. sulla scorta delle inattendibili dichiarazioni rese dalle due persone offese. In ricorso si evidenziano le dichiarazioni menzognere rese dalla moglie dell'imputato che nella deposizione testimoniale aveva inizialmente negato di avere a suo carico un procedimento penale per grave reato e che era stata smentita dal responsabile dei servizi sociali sulla frequenza dei rapporti con quell'ufficio, non avendo peraltro il teste confermato che ella avesse avuto un lavoro , censurando l'illogica spiegazione data in sentenza circa tali profili di inattendibilità e circa le ragioni che indussero la donna ad abbandonare l'abitazione coniugale. Si censura, inoltre, la ritenuta attendibilità della figlia dell'imputato, benché la stessa avesse più volte negato di essere sottoposta a procedimento penale per falsa testimonianza, così mostrando, come la madre, una certa proclività al mendacio. 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato ritenuto il reato di violenza sessuale, senza valutare le genuine spiegazioni date dall'imputato circa il consenso della donna all'atto sessuale - o la non percezione del dissenso da parte sua - e senza adeguatamente valutare l'alternativa ricostruzione del fatto, del tutto plausibile, sulla saltuaria consumazione di rapporti sessuali tra i due coniugi, pur in assenza di sentimenti amorosi. 4. Con il terzo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per non essere stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen., non effettuando la valutazione globale del fatto, caratterizzato da poca chiarezza circa l'effettiva coartazione della persona offesa e l'assenza di consenso da parte sua nel particolare quadro dei rapporti tra i coniugi. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, manifesta infondatezza e perché propone doglianze non consentite in quanto attinenti alla valutazione del merito. Ed invero, in ricorso ci si limita a riproporre - sub specie di vizio motivazionale - questioni di accertamento di merito e valutazione delle prove che non possono formare oggetto di diversa considerazione in sede di legittimità e che sono state risolte con motivazione non illogica dalla sentenza impugnata, peraltro conforme a quella resa in primo grado. 1.1. La Corte territoriale ha dato - punto per punto - ampia, accurata, logica e convincente motivazione nel disattendere i motivi di doglianza contenuti nell'atto di appello e qui nuovamente in parte riproposti, senza che il ricorrente si confronti in modo critico con quelle argomentazioni, si che sul punto l'impugnazione è innanzitutto generica, dovendosi ribadire il consolidato orientamento secondo cui non soddisfa il requisito di specificità un ricorso in cui siano riproposti gli stessi motivi sollevati nell'atto d'appello, senza che il ricorrente si confronti criticamente con le argomentazioni al proposito fornite dal giudice di secondo grado in sentenza v. Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611 Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e a., Rv. 254584 . In particolare, la genericità è causa di inammissibilità che ricorre non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 . I motivi del ricorso per cassazione - che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito - si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838 , sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 . 1.2. Nel respingere le doglianze afferenti alla dedotta inattendibilità delle persone offese, neppure costituitesi parti civili, la sentenza impugnata pagg. 5 ss. attesta l'intrinseca credibilità delle dichiarazioni, reiterate senza significative contraddizioni, precise e circostanziate nella ricostruzione di determinati episodi, nonostante il tempo trascorso e la frequenza delle condotte maltrattanti esclude motivatamente qualsiasi intento calunniatorio nella loro condotta motiva del pari logicamente circa la soggettiva attendibilità delle dichiaranti e l'irrilevanza delle menzogne - afferenti a questioni diverse, in alcun modo collegate con quelle oggetto di procedimento - riferite dalle testimoni per tentare, del tutto ingenuamente, di negare la sottoposizione a procedimenti penali individua plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni rese, sui quali il ricorrente neppure si sofferma. 1.3. La sentenza, dunque, ha fatto buon governo del consolidato principio per cui le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte e aa., Rv. 253214 Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajo e aa., Rv. 261730 Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 . Del resto, proprio nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali - e lo stesso vale per i crimini che si consumano tra le mura domestiche - la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661 Sez. 4, n. 30422 del 2.1/06/2005, Poggi, Rv. 232018 . Qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci - ciò che, secondo la citata decisione delle Sezioni unite, può avvenire allorquando la persona offesa si sia costituita parte civile - questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 . 1.4. Del pari corretta è stata l'applicazione del principio - sovente affermato quando si tratti di valutare con maggior scrupolo deposizioni rese da soggetti non indifferenti, come i correi o le vittime del reato - secondo cui è legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni, purché il giudizio di inattendibilità, riferito soltanto ad alcune circostanze, non comprometta per intero la stessa credibilità del dichiarante ovvero non infici la plausibilità delle altre parti del racconto Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014, L, Rv. 260160 e purché non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti, l'inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante, sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, Polimeni e a., Rv. 270153 . Come detto, le false dichiarazioni inizialmente rese dalle testimoni, e poi ritrattate in corso di esame, avevano riguardo a fatti, infamanti per il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie peraltro ben note alle parti processuali, che le due donne hanno inizialmente tentato di nascondere e che non hanno alcun riferimento - come la sentenza impugnata logicamente argomenta - con i fatti qui sub iudice. Si aggiunga - quanto alle doglianze proposte in ricorso in relazione al dedotto contrasto con le dichiarazioni rese dal responsabile dei servizi socialirche il lamentato contrasto attiene, per un verso ad un solo profilo, all'evidenza assai marginale ed in alcun modo connesso al therna decidendum vale a dire alla frequenza dei rapporti avuti dalla donna con i servizi sociali , per altro verso ad una circostanza se la donna avesse avuto un lavoro, venti anni prima della fine della relazione che, oltre ad essere del pari irrilevante rispetto alla prova dei fatti addebitati, il teste non ha sconfessato, essendosi limitato a non riferirne si tratta, peraltro, di dichiarazioni rese a s.i.t. e acquisite sull'accordo delle parti senza che il dichiarante sia stato esaminato in dibattimento . 2. Il secondo motivo di ricorso è del pari inammissibile per analoghe ragioni. Si tratta, anche qui, di doglianza meramente reiterativa di critiche sollevate con il gravame, che sono state compiutamente ed attentamente analizzate dalla sentenza impugnata. Al di là della genericità del motivo per le ragioni giù più sopra esposte § . 1.1. , nel dolersi di un inesistente vizio motivazionale, il ricorrente trascura peraltro di considerare che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 . . Ed invero, alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 , così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e a., Rv. 271623 Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . Anche la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241 Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342 , ciò che nella specie, per quanto detto, non è. 2.1. Nell'argomentare che il rapporto sessuale fatto oggetto di contestazione fu consapevolmente imposto dall'imputato alla moglie - che manifestò il proprio dissenso, posto che da tempo i coniugi non avevano rapporti sessuali e vivevano da separati in casa - e fu da questa subfto per paura di incorrere in ulteriori condotte maltrattanti, si da costituire, peraltro, la molla che fece scattare nella donna, che da molti anni subiva le angherie e i soprusi del marito, la decisione di porre fine alla convivenza e di allontanarsi di casa con le figlie, la Corte territoriale ha reso motivazione del tutto logica, che non presta il fianco a censure in questa sede di legittimità. 2.2. Per altro verso, la sentenza ha fatto buon governo del consolidato principio interpretativo, condiviso dal Collegio e anche di recente ribadito, secondo cui, in tema di violenza sessuale, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali Sez. 3, n. 17676 del 14/12/2018, dep. 2019, R., Rv. 275947 Sez. 3, n. 39865 del 17/02/2015, S., Rv. 264788 Sez. 3, n. 29725 del 23/05/2013, S., Rv. 256823 . 3. Parimenti inammissibile per genericità e manifesta infondatezza è il terzo motivo di ricorso. 3.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, L, Rv. 269600 Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272 Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, K., Rv. 263821 . In particolare, per il riconoscimento della circostanza attenuante deve potersi ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C, Rv. 259196 Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516 , dovendosi escludere che la sola tipologia dell'atto possa essere sufficiente per ravvisare o negare tale attenuante Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S., Rv. 260501 . 3.2. La sentenza impugnata si è attenuta a tali principi, giudicando grave il fatto, sul rilievo che si trattò di un rapporto sessuale completo, realizzato anche con sodomizzazione, nei confronti della moglie da anni maltrattata. Si tratta di valutazione di merito logicamente motivata che non può essere in questa sede censurata. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.