In possesso di 30 dosi singole di cocaina: condannato per la detenzione a fini di spaccio

Il possesso di trenta dosi singole di cocaina da piazzare sul mercato comporta la condanna per detenzione di droga a fini di spaccio, ma non può escludere automaticamente il riconoscimento del danno lieve.

Così la Cassazione, sentenza n. 1278/21, depositata il 14 gennaio. Sotto accusa un uomo, beccato in possesso 3,3 grammi lordi di cocaina , con la sostanza suddivisa in due bustine contenenti rispettivamente 3 grammi e 0,3 grammi. Il quadro probatorio a disposizione è ritenuto sufficiente dai giudici merito così, sia in primo che in secondo grado, l’uomo viene ritenuto colpevole per avere detenuto sostanza stupefacente destinata ad essere spacciata e viene punito con 6 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa . Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo sostiene innanzitutto la tesi dell’ uso personale della cocaina a disposizione del suo cliente, che, precisa, è percettore di una pensione di invalidità e svolge attività lavorativa ‘in nero’ . Allo stesso tempo, però, il legale chiede il riconoscimento dell’attenuante prevista in caso di danno di particolare tenuità . Dalla Cassazione ribattono innanzitutto confermando la destinazione dello stupefacente allo spaccio . Decisivo il richiamo alle condizioni patrimoniali dell’uomo se anche si volesse ammettere che egli sia percettore di una pensione di invalidità avente l’importo di 800 euro mensili , appare comunque non giustificabile, osservano i giudici, un esborso netto, non trascurabile in relazione all’entità delle entrate, per la acquisizione dello stupefacente in questione . A dare forza a questa visione, poi, anche la qualità dello stupefacente in possesso dell’uomo, avente un assai elevato tenore di principio attivo e tale da fare logicamente ritenere che fosse suscettibile di essere ulteriormente commercializzato a seguito del suo ‘taglio’ con sostanze eccipienti, di modo che con esso sarebbe stato possibile realizzare un numero di dosi commerciabili superiore a trenta, già di per sé problematicamente compatibili con una esclusiva destinazione ad uso personale . Questi dettagli non portano però ad escludere l’ipotesi del danno lieve , aggiungono i giudici. Su questo fronte si è sostenuto in appello che lo stupefacente in possesso dell’uomo fosse suscettibile di essere suddiviso in più dosi e che quindi la condotta dell’uomo fosse espressiva di una consueta e costante modalità di guadagno . Dalla Cassazione ribattono però che il possibile confezionamento di trenta dosi singole con la droga rinvenuta addosso all’uomo mal si concilia, attesa la modestia del numero di possibili transazioni derivanti dall’illecito commercio dello stupefacente, con l’affermazione della costante consuetudine dell’uomo con la fonte di guadagno rappresentata dallo spaccio di sostanze stupefacenti . Ancora possibile, quindi, riconoscere l’ attenuante prevista per il danno di lieve entità – con conseguenti ricadute sul trattamento sanzionatorio –, ma su questo fronte è necessario un approfondimento in Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 ottobre 2020 – 14 gennaio 2021, n. 1278 Presidente Ramacci – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 23 ottobre 2018 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con la quale, in data 20 febbraio 2028, il Tribunale di Roma, esclusa la contestata recidiva e concesse le circostanze attenuanti generiche, aveva dichiarato, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, Pi. Ra. responsabile del reato di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, per avere egli detenuto gr 3,3 lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in due bustine contenenti, rispettivamente gr 3 e gr 0,3 della sostanza in questione. Avendo la Corte confermato la sentenza del giudice di primo grado anche per ciò che attiene alla determinazione della pena, dosata in mesi 6 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, il ricorrente ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi di impugnazione. L'uno ha ad oggetto il vizio di motivazione in ordine alla esclusione della detenzione della sostanza stupefacente ad esclusivo uso personale e l'affermazione, invece, della sua destinazione allo spaccio. Ha, infatti, rilevato il ricorrente che la Corte territoriale ha escluso l'uso personale della sostanza di cui al capo di imputazione sulla base a del fatto che le condizioni economiche del prevenuto non avrebbero giustificato un esborso tale da consentirgli l'uso esclusivamente personale dello stupefacente, ma, rileva il ricorrente, tale affermazione sarebbe ingiustificata in quanto il Pi. ha dichiarato di essere percettore di una pensione di invalidità e di svolgere un'altra attività lavorativa in nero b dal fatto che la droga, avente un elevato grado di purezza, era tale da giustificare la realizzazione di ulteriori tagli per consentire il confezionamento di altre dosi, affermazione questa smentita dalla circostanza che lo stupefacente era già suddiviso in dosi autonome. Il secondo motivo di impugnazione ha ad oggetto l'avvenuta esclusione da parte dei giudici di merito della circostanza attenuante della derivazione dal reato di un danno ovvero di un lucro di particolare tenuità. Considerato in diritto Il ricorso, solo parzialmente fondato deve essere accolto per quanto di ragione. Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso è inammissibile. In relazione alla destinazione dello stupefacente allo spaccio, infatti, la Corte territoriale ha chiaramente motivato le ragioni di tale propria valutazione. Invero la Corte ha rilevato, conformemente a quanto già considerato dal giudice di primo grado, che per un verso le condizioni patrimoniali del prevenuto, quand'anche si volesse ammettere che lo stesso sia percettore di una pensione di invalidità avente l'importo di Euro 800,00 mensili assai più arduo è ritenere dimostrata la percezione da parte del Pi. di altri redditi, stante la mancanza di qualsivoglia dimostrazione sul punto nelle opportune sedi di merito , appaiono non giustificare un esborso netto, non trascurabile in relazione all'entità delle entrate, per la acquisizione dello stupefacente in questione. Siffatta considerazione, di per sé già plausibile è stata ulteriormente avvalorata dal dato, sempre segnalato dagli organi giudicanti in sede di merito, che la qualità dello stupefacente in possesso del Pi., avente un assai elevato tenore di principio attivo, era tale da fare logicamente ritenere che lo stesso fosse suscettibile di essere ulteriormente commercializzato a seguito del suo taglio con sostanze eccipienti, di modo che con esso sarebbe stato possibile realizzare un numero di dosi commerciabili al minuto superiore alle 30, già di per sé problematicamente compatibili con una esclusiva destinazione ad uso personale, ricavabili dalla sostanza della quale il Pi. era detentore nello stato in cui essa si trovava. Si tratta di valutazioni certamente congrue e sulle quali non è, pertanto, possibile un riesame da parte di questa Corte di legittimità. Fondato è, invece, il motivo riguardante la ritenuta carenza di motivazione in relazione alla esclusione della possibilità per il Pi. di beneficiare della attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. proc. pen. Al riguardo deve, preliminarmente, osservarsi l'avvenuto superamento del preesistente contrasto giurisprudenziale in relazione alla compatibilità di tale circostanza con la tipologia di reato contestata al prevenuto. Infatti, a fronte di un orientamento secondo il quale, la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, ed è compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990 per tutte Corte di cassazione, Sezione IV, 17 settembre 2019, n. 38381 , si contrapponeva altro indirizzo giurisprudenziale in forza del quale la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. non è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti, sia perché, vertendosi in materia di salute della persona e dovendosi tener conto anche dei danni mediati, non può ritenersi integrata l'altra condizione prevista dalla norma, costituita dalla speciale tenuità del danno o del pericolo derivati al consumatore dall'azione dello spacciatore, sia perché, potendo la ridotta rilevanza economica della violazione di uno dei precetti contenuti nell'art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 rendere configurabile la fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo articolo, l'eventuale riconoscimento dell'attenuante si risolverebbe in una duplice valutazione del medesimo elemento anche qui per tutte, cfr. Corte di cassazione, Sezione IV penale, 22 luglio 2019, n. 32513 . Tale contrasto giurisprudenziale è stato, di recente, composto dalla Sezioni unite di questa Corte, le quali hanno puntualizzato che la circostanza attenuante del lucro e dell'evento di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. è compatibile con la fattispecie di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che detta circostanza attenuante è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 2 settembre 2020, n. 24990 . Deve, peraltro, considerarsi come la Corte capitolina già avesse, in linea di principio, condiviso un tale ora consolidato orientamento con la sentenza oggi in scrutinio, giungendo, tuttavia, ad escludere che nel caso del Pi. esso fosse praticabile in quanto doveva ritenersi, atteso il fatto che lo stupefacente in possesso del Pi. fosse suscettibile di essere suddiviso in più dosi, che la condotta del prevenuto fosse espressiva di una consueta e costante modalità di guadagno seguita dall'imputato. Un siffatto rilievo mostra, tuttavia, un evidente vizio di logicità ove solo si consideri che lo stupefacente del quale il Pi. era detentore era sufficiente, per come lo stesso era stato rinvenuto addosso all'imputato, per il confezionamento di 30 dosi singole, fattore questo che, in assenza di ulteriori elementi, mal si concilia, proprio sotto il profilo della coerenza logica della motivazione, attesa la modestia del numero di possibili transazioni derivanti dall'illecito commercio dello stupefacente, con la ritenuta affermazione della costante consuetudine dell'imputato con la fonte di guadagno rappresentata dallo spaccio di sostanze stupefacenti. La sentenza deve, pertanto, essere annullata, con rinvio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma con esclusivo riferimento alla riconoscibilità o meno in favore del prevenuto della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. ed alle, eventuali, ricadute di un tale riconoscimento in tema di trattamento sanzionatorio, essendo, per il resto, risultata definitivamente dimostrata la sua penale responsabilità del Pi. in ordine al reato a lui contestato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione in merito al possibile riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.