Il rimborso dei finanziamenti dei soci a titolo di mutuo può costituire bancarotta preferenziale e non bancarotta fraudolenta

La Suprema Corte fa proprio un principio, di recente diffusione, secondo cui il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale o indicati con analoga dizione , integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società al contrario il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale .

Così con sentenza n. 825/21 depositata il giorno 12 gennaio. E ciò sulla base della semplice considerazione secondo cui, mentre i versamenti in conto capitale possono essere restituiti all’esito della procedura di liquidazione della società , gli altri versamenti costituiscono invece dei debiti verso i soci, che possono essere rimborsati” anche durante la vita ordinaria della società. Applicando questi principi, la Corte ha annullato la sentenza della Corte d’appello impugnata, che aveva condannato l’imputato per bancarotta fraudolenta avendo egli ceduto a prezzo di favore” un immobile della società alla propria moglie così contestualmente estinguendo anche un debito vantato dall’acquirente, nella sua qualità di socia della società , chiedendo un nuovo esame anche al fine della più mite qualificazione giuridica dei fatti contestati sub specie di bancarotta preferenziale. Di per sé la decisione è equilibrata e condivisibile. Più di tutto, però, rasserena poiché in questo caso la Corte di Cassazione è stata un vero giudice, poiché, pur nell’ambito dei motivi di gravame, non solo non ha rifuggito di giudicare il caso, ma si è oltremodo accorta di ulteriori equivoci nella motivazione della Corte distrettuali che, se non risolti, potevano condurre ad ulteriori errori in punto di qualificazione del fatto contestato. E ciò – si badi pur in presenza di una esplicita richiesta della Procura generale di dichiarazione di inammissibilità, trattandosi di impugnazione di una doppia condanna nel merito. Piace onestamente evidenziare il punto questa volta la Corte ha davvero svolto in pieno la sua principale funzione nomofilattica, ascoltando le tesi difensive senza pregiudizio e con dovizia di analisi del caso, non temendo di contraddire quanto ingiustamente stabilito nei precedenti gradi di giudizio. Non si sa se ci sarà pure un giudice a Berlino”, ma questa volta è certo che c’è stato un giudice a Roma.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 novembre 2020 – 12 gennaio 2021, n. 852 Presidente Miccoli – Relatore Belmonte Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Milano ha parzialmente riformato, solo con riguardo al trattamento sanzionatorio e ai benefici, la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, che aveva dichiarato P.M.R.M. , nella qualità di amministratore di fatto della società s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 20 gennaio 2015, colpevole, in concorso con l’amministratore di diritto, di bancarotta fraudolenta per distrazione, consistita nella cessione, in favore della ex moglie, degli unici cespiti di proprietà della fallita, costituiti da un appartamento e da un box pertinenziale, a un prezzo inferiore di oltre un milione di Euro al valore di stima peritale. 2. Avverso tale sentenza ricorre l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia, che svolge due motivi, con i quali denuncia vizio della motivazione, in violazione delle regole processuali che sovrintendono all’affermazione di responsabilità, sia nella ricostruzione dell’elemento oggettivo che con riguardo a quello psicologico del reato. 2.1. In particolare, e, in sintesi, quanto al primo aspetto, il ricorrente denuncia il travisamento della prova nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello con riguardo alla entità della perdita di esercizio per l’anno 2013, che, diversamente da quanto indicato in imputazione e ritenuto in sentenza, non corrispondeva all’importo di Euro 800.000 ma a quello, minore, di Euro 481.287, come emergente dalla relazione ex art. 33 L. Fall. pg. 10, tabella 2, voce Utile Gestione Caratteristica , acquisita agli atti del giudizio abbreviato, e segnalato nell’atto di appello. Erroneamente, quindi, nella sentenza impugnata, si afferma che il dato sarebbe pacificamente acquisito, in quanto non contestato detto errore, circa l’entità dei debiti della fallita, avrebbe condizionato l’intero ragionamento probatorio portato avanti dalla Corte territoriale. 2.1.1. La Corte di appello ha, inoltre, fondato il giudizio di responsabilità, non sulla differenza tra il valore dei beni ceduti, determinato, dal GUP, in Euro 2.960.000, e il prezzo di vendita pari a Euro 1.380.000, ma, sganciandosi da tale tema di accusa, affermando che la distrazione debba ricollegarsi alla vendita in sé, indipendentemente dalla predetta sproporzione, senza, tuttavia, spiegare il significato di tale affermazione, vieppiù perché contrastante con l’orientamento di legittimità che riconduce la distrazione a tutte quelle condotte tese a sviare i beni dell’impresa fallita alla loro funzione di garanzia del ceto creditorio. 2.1.2. Altri elementi di illogicità e contraddittorietà della motivazione sono segnalati dal ricorrente e riguardano le seguenti circostanze a La stima degli immobili, allegata alla relazione del curatore fallimentare, pari a quasi tre milioni di Euro, venne redatta al fine di ottenere un finanziamento bancario nel 2009 si tratta di una stima non giurata ma finalizzata ad ottenere un finanziamento congruo rispetto all’impegno finanziario concesso. Del tutto diversa la finalità della consulenza estimativa del 2015, che venne commissionata da al fine di resistere all’azione revocatoria avanzata dal omissis per il pregiudizio conseguente alla cessione dell’immobile avvenuta due anni prima, nel 2013. Lamenta la difesa che la stima del 2009 è smentita dalle valutazioni dell’Agenzia del territorio circa il valore degli immobili nella zona in cui insiste il cespite in questione, periodicamente aggiornati in ragione alle fluttuazioni di mercato. In realtà, la Corte di appello non ha considerato che la perizia del 2015 aveva considerato elementi di svalutazione immobiliare, ignorati da quella del 2009, come lo svolgimento di lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento degli impianti. b Vi è travisamento della prova con riguardo alle stime delle tabelle OMI predisposte dall’Agenzia del territorio, considerate dalla Corte di appello quali indicatori di massima, in ogni caso generici, per la ampiezza della zona di riferimento rispetto alla allocazione dell’immobile. Invece, quello in questione si trova proprio in omissis , zona prestigiosa di , e, a differenza delle tabelle OMI, la Corte territoriale che non ha tenuto conto del crollo del mercato immobiliare registratosi tra il 2009 e il 2015, con una flessione del 40% circa delle compravendita, e una diminuzione di oltre il 10% nella area , dati comprovanti una perdita di valore di 200.000 Euro per gli immobili della zona. Nè la Corte territoriale ha spiegato la affermata irrilevanza della circostanza che l’immobile in questione fosse stato acquistato all’asta a un prezzo inferiore a quello di vendita, donde la realizzazione di una plusvalenza, ignorata dai giudici di merito. 2.1.3. In sintesi, la Corte di merito, partendo da un dato erroneo, costituito dalla presenza di debiti pari al doppio di quanto risultante dalla relazione del curatore fallimentare, e valorizzando una circostanza del tutto neutra, ovvero la vendita di un cespite della fallita alla ex moglie del ricorrente, non è riuscita a dimostrare l’affermazione che i beni siano stati venduti a un prezzo inferiore al loro valore reale. 2.2. Con riguardo, invece, all’elemento soggettivo del reato, deduce il ricorrente che, in assenza della prova del fatto materiale, la Corte territoriale è inevitabilmente incorsa in una motivazione contraddittoria. Inoltre, non ha considerato alcuni eventi sopravvenuti alla compravendita, costituenti indici del fallimento, e cioè, il fallimento, nel 2014, del principale cliente della fallita, che copriva il 50% del fatturato, nonché del principale fornitore. Del tutto priva di riscontro sarebbe, dunque, l’affermazione che il ricorrente fosse consapevole, nel 2013, dell’imminente fallimento dell’impresa, così come sarebbero errate altre affermazioni connesse al debito della che, con la compravendita, il ricorrente avrebbe inteso estinguere, e, segnatamente si contesta a che vi sarebbe stata comunanza di interessi tra il ricorrente e la ex moglie socio finanziatore, creditore della società , tra i quali, tuttavia, era già in corso la separazione personale b che la avrebbe operato il pagamento preferenziale in favore della ex moglie del ricorrente, poiché, invece, detto pagamento era stato formalmente ingiunto alla società, sicché il ricorrente non ha operato alcuna scelta, in violazione della par condicio creditorum c che la vendita sarebbe stata proceduta dalla nomina di un amministratore formale, c.d. testa di paglia, per schermare gli interessi del ricorrente, poiché, invece, il nuovo amministratore, L. , subentrava non al P. , ma ad altro amministratore, tale C.M. , rimasto in carica dal giugno 2012 all’ottobre 2013 d che la mancata opposizione al decreto ingiuntivo sarebbe sintomatica della acquiescenza complice al credito della ex moglie, trattandosi di presunzione del tutto indimostrata, senza neppure esplicitare eventuali ragioni di opposizione che, sussistenti, non sarebbero state opportunamente attivate dalla società, e senza tenere in debito conto le più negative conseguenze, di tipo economico, che sarebbero derivate dalla mancata ottemperanza all’ingiunzione, a cui sarebbe conseguita una vendita all’incanto certamente meno favorevole per i creditori. In conclusione, la Corte di appello non ha indicato le circostanze di fatto da cui ha tratto l’elemento soggettivo del dolo. 3. Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, con memoria del 04/11/2020, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. 4. In data 16/11/2020, il difensore del ricorrente ha depositato memoria integrativa a confutazione delle conclusioni del P.G Si sottolinea che non si è in presenza di una doppia conforme pronuncia di condanna, dal momento che, mentre il Tribunale aveva considerato, quale fatto distrattivo, la vendita immobiliare a prezzo inferiore al valore di mercato, la Corte di appello, mutando direzione, ha considerato la cessione in sé, in favore della ex moglie, avvenuta in periodo già fortemente caratterizzato dall’esposizione debitoria della società, a un prezzo genericamente definito non vantaggioso, come il fatto distrattivo. In assenza di depauperamento patrimoniale non è configurabile la distrazione, anche perché il prezzo di vendita è stato superiore a quello di acquisto. Si ripete che il prezzo di vendita è coerente con le valutazioni dell’OMI e che il passivo è pari alla metà circa di quello ritenuto dalla Corte di appello. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1.Secondo quanto emerge dalla imputazione, la condotta distrattiva contestata al ricorrente sarebbe consistita nell’avere ceduto, nella qualità di amministratore di fatto della s.r.l., a un prezzo largamente inferiore al suo valore reale, gli unici cespiti di proprietà della fallita, già socia ed amministratore della società ed ex moglie del P. . La compravendita era avvenuta il 04/11/2013, a fronte di un fallimento intervenuto il 20 gennaio 2015. 2. Si apprende, poi, dalla lettura della sentenza impugnata, che la cessione era avvenuta in compensazione con un credito vantato, nei confronti della società, dalla acquirente, in ragione di un finanziamento soci, effettuato nel 2002, postergato nel bilancio di esercizio del 2011, di cui era stata chiesta la restituzione, a distanza di oltre dieci anni, anche presentando ricorso per decreto ingiuntivo, che, emesso il 14 10.2013, non venne mai opposto dalla società. 3.Contesta la Difesa ricorrente che, nel caso di specie, non ricorra una situazione di c.d. doppia conformità, dal momento che le due sentenze di merito hanno fondato su valutazioni differenti la affermazione di colpevolezza. La deduzione è fondata. 3.1. In particolare, il Tribunale ha ravvisato la condotta distrattiva nell’avere ceduto a un corrispettivo largamente inferiore pari alla metà del valore stimato le uniche disponibilità immobiliari della società, peraltro, in un momento in cui il capitale sociale era stato già completamente azzerato secondo quanto riferito dal curatore e annotato dalla sentenza di primo grado . Nella sentenza impugnata, invece, la Corte di appello sottolinea, nell’incipit della motivazione, che la condotta distrattiva contestata attiene il negozio di compravendita in sé e non il minore introito derivato dalla vendita a un prezzo piuttosto che a un altro pg. 2 . Salvo, poi, nelle pagine successive, a diffondersi in una specifica disamina della questione della congruità del prezzo della compravendita, posto dalla difesa appellante a considerare che la cessione fosse stata effettuata ad un prezzo non linearmente apprezzabile come appagante, in ogni caso non vantaggioso pg. 4 a concludere, dopo avere richiamato consolidati principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta, che l’avere ceduto tutti i beni componenti l’attivo delle immobilizzazioni della società a prezzo inidoneo a garantire l’intangibilità della garanzia offerta dal patrimonio sociale, in costanza di una situazione debitoria ammontante a circa 800.000 Euro, per di più a soggetto avente rapporti di familiarità con gli organi che di fatto hanno dato corso all’operazione, sono elementi che correttamente sono stati valutati dal giudice di prime cure ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato pg. 5 . 3.2. La evidente contraddittorietà delle argomentazioni così sintetizzate impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito affinché la sani, prendendo specifica posizione circa la natura della condotta distrattiva in concreto ravvisata, se riferibile al negozio traslativo in sé ovvero alla sproporzione del prezzo di vendita rispetto al valore reale del bene. Nel rinnovato esame la Corte territoriale si uniformerà al consolidato principio di diritto che individua il bene giuridico protetto dalla bancarotta per distrazione negli interessi patrimoniali dei creditori del fallito, trattandosi di fattispecie costruita come reato di pericolo, onde l’evento di pericolo resta integrato dalla idoneità della condotta depauperativa a creare un vulnus alla integrità della garanzia della intera massa dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale. 4. Nell’esaminare ex novo la condotta contestata, la Corte di merito rivaluterà, altresì, un ulteriore circostanza, esposta in maniera perplessa nella sentenza gravata. Ci si riferisce alla imprecisata natura del finanziamento effettuato dalla ex moglie del ricorrente in favore della società, quello che ha prodotto il credito poi andato in compensazione all’atto della compravendita de qua. 4.1.Si legge nella sentenza che si sarebbe trattato di un finanziamento soci risalente al 2002, e postergato nel bilancio del 2011. Manca, tuttavia, una specifica indicazione circa la effettiva natura di tale versamento, con conseguenti riflessi in punto di qualificazione giuridica del fatto distrattivo, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale che, a proposito della natura dei finanziamenti dei soci in favore della società, distingue, quanto agli effetti penali, tra l’ipotesi in cui l’indebita restituzione ai soci abbia riguardato finanziamenti effettuati dai medesimi nel corso della vita della società in conto capitale, dal caso della restituzione di versamenti effettuati a titolo di mutuo. Si è affermato, in un recente arresto di questa Sezione, che il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale o indicati con analoga dizione , integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale Sez. 5 -, n. 8431 del 01/02/2019, Rv. 276031 in senso conforme, Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Rv. 254985 Sez. 5, n. 1793/12 del 10 novembre 2011, Rv. 252003 . 4.2. Mutuando principi della giurisprudenza civilistica, si, è infatti considerato che i versamenti operati dai soci in conto capitale o con altra analoga dizione indicati , pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso , hanno, tuttavia, una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio, sicché essi non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la società ed i soci può viceversa essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo con o senza interessi , riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234 conf., ex plurimis, Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810 Sez. civ. 1, n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560 Sez. civ. 1, n. 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073 . Ne discende che l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva in conto capitale o altre simili denominazioni , versamento, quest’ultimo, che non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899 . Il condivisibile principio di diritto derivante dalle precedenti osservazioni è nel senso, dunque, che, nella materia penai-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale o indicati con altra analoga dizione integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale Sez. 5 n. 8431/2019 cit. nello stesso senso, Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, Rv. 239487, e Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254985 . 4.3. Ciò posto, osserva il Collegio che, nella sentenza impugnata, la Corte di appello, dopo avere indicato quello effettuato dalla ex moglie del ricorrente nel 2002 come un finanziamento soci, ha affermato che il credito correttamente nel 2011 era stato postergato . Espressione che lascerebbe, dunque, intendere che non si sia trattato di un versamento in conto capitale , quanto di un finanziamento rimborsabile, assoggettato alla disciplina di cui all’art. 2467 c.c., secondo cui il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, sul presupposto accertato dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Tuttavia, la genericità delle indicazioni che, sul punto, si leggono nella sentenza gravata che, di fatto, vi opera un mero accenno, senza chiarire in alcun modo la natura del versamento, per i riflessi che riverbera sull’esatto inquadramento del fatto - come bancarotta distrattiva o preferenziale - impone di chiarire, in sede di rinvio, anche la natura del versamento in denaro effettuato nel 2002 dalla Gennari, verificando se si sia trattato di un versamento di un apporto in conto capitale di rischio per il quale non c’è obbligo di restituzione , oppure di un vero e proprio finanziamento per il quale sussiste, invece, l’obbligo di restituzione . È evidente, infatti, alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche, che ove il versamento debba essere inteso quale finanziamento in conto soci, non essendo maturato in capo alla finanziatrice un diritto di credito verso la società, alcuna compensazione sarebbe stata possibile all’atto della compravendita immobiliare. Diversamente, dovrebbe essere valutata la natura eventualmente preferenziale della distrazione derivata dalla compensazione del credito in favore di uno dei creditori sociali. E deve ricordarsi che la verifica della natura del versamento, per stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, secondo le indicazioni rinvenibili nella giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, passa attraverso la interpretazione della volontà delle parti Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234 Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557 . 5. Assorbiti gli ulteriori motivi, si impone pertanto l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che si uniformerà ai principi di diritto enunciati ai punti che precedono in ordine alla natura della condotta depauperativa, ai criteri distintivi tra bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta preferenziale, a quelli relativi a versamenti operati in conto capitale e versamenti a titolo di mutuo, e alla idoneità della condotta depauperativa a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori. 5.1. Nel quadro di tali principi di diritto, il giudice del rinvio conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, Scuotto, Rv. 210016 , potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi rilevati nel provvedimento annullato Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333 . All’esito del giudizio di rinvio va altresì devoluto il regolamento delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame.