Lettera all’assemblea contro l’amministratore di condominio: condannato

Fatale a un condomino la missiva spedita al presidente dell’assemblea e poi letta durante i lavori e infine allegata agli atti della riunione. Eccessive e non corredate da prove le critiche mosse all’operato dell’amministratore.

Lanciare accuse pesanti – e non corredate da prove certe – all’amministratore condominiale ricorrendo a una missiva letta pubblicamente in assemblea, vale una condanna per diffamazione Cassazione, sentenza n. 147/21, depositata il 5 gennaio . Scenario della vicenda è un condominio in Campania. Durante un’assemblea viene letta una lettera con cui un condomino muove pesanti accuse all’amministratore in merito alla gestione delle risorse economiche a lui affidate. Inevitabile la reazione dell’amministratore, che trascina in aula il condomino ipercritico, ottenendone la condanna, sia in primo che in secondo grado, per il reato di diffamazione . Per i Giudici di merito, difatti, il condomino autore della lettera si è reso colpevole con la spedizione di una missiva, contenente contestazioni offensive della reputazione dell’amministratore, al presidente dell’assemblea del condominio e con l’invito a divulgarla in sede assembleare, come poi avvenuto, e ad allegarla agli atti dell’assemblea stessa . Col ricorso in Cassazione il condomino sotto accusa prova a giustificare la propria condotta, sostenendo la continenza delle espressioni utilizzate e la loro intrinseca inoffensività . A questo proposito, il suo difensore spiega che la missiva aveva ad oggetto contestazioni tecniche all’operato dell’amministratore , risultando invece esclusa qualsiasi gratuita aggressione morale alla persona dell’amministratore. Il legale spiega che la finalità del condomino era quella di colpire la sfera della competenza dell’amministratore e non già quella di diffamarlo e dunque egli si è limitato ad esercitare il proprio diritto di critica dell’operato della persona offesa e, nel divulgare agli altri condomini in sede assembleare i contenuti della missiva, anche il proprio diritto di cronaca . Questa ricostruzione non convince però i Giudici della Cassazione, i quali condividono la decisione del Tribunale, decisione che non ha posto l’accento tanto sull’eventuale incontinenza delle espressioni dispiegate nella missiva incriminata, quanto sul fatto che il condomino ha accusato la persona offesa, esplicitamente o in maniera insinuante, di aver gestito le risorse condominiali nel proprio interesse o di non meglio precisate terze persone . Evidente che le accuse messe per iscritto sfiorano la calunniosità e certamente risultano idonee a ledere la reputazione dell’amministratore, soprattutto in quanto divulgate dinanzi alla platea dei componenti del condominio , osservano dalla Cassazione. A inchiodare il condomino, infine, la mancanza di prove in merito alla presunta veridicità dei fatti denunziati .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 novembre 2020 – 5 gennaio 2021, n. 147 Presidente Vessichelli – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Napoli ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di De Vi. Vi. per il reato di diffamazione aggravata, commesso mediante la spedizione di una missiva contenente contestazioni offensive della reputazione di Di Ma. An. al presidente dell'assemblea del condominio di cui la persona offesa era l'amministratore con l'invito a divulgarla in sede assembleare, come poi avvenuto, e di allegarla agli atti dell'assemblea stessa. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato deducendo violazione di legge, eccependo la continenza delle espressioni utilizzate e la loro intrinseca inoffensività, avendo ad oggetto contestazioni tecniche all'operato dell'amministratore e risultando estranee a qualsiasi gratuita aggressione morale alla sua persona, giacché la finalità del De Vi. era quella di colpire la sfera della competenza del Di Ma. e non già quella di diffamarlo. In tal senso dunque l'imputato si sarebbe limitato ad esercitare il proprio diritto di critica dell'operato della persona offesa e, nel divulgare agli altri condomini in sede assembleare i contenuti della missiva, anche quello di cronaca. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Invero, al di là dell'intestazione dell'unico motivo articolato - di per sé non vincolante - quelli denunziati dal ricorrente sono per lo più vizi di motivazione, come noto indeducibili, ai sensi degli artt. 606, comma 2-bis c.p.p. e 39-bis del D.Lgs. n. 274/2000, con il ricorso avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace Sez. 5, n. 22854 del 29/04/2019, De Bilio, Rv. 275557 . Va infatti ricordato che il vizio di cui all'art. 606, comma primo, lett. b c.p.p. - atteso che a tale disposizione si è implicitamente riferito il ricorrente evocando la violazione degli artt. 51 e 595 c.p. - riguarda l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale ossia, la sua inosservanza , ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta , e va tenuto distinto dalla deduzione di un'erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l'aspetto del vizio di motivazione Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè e altri, Rv. 268404 . Ed infatti ad essere censurata con il motivo in esame non è già l'eventualmente erronea interpretazione delle norme sostanziali ricordate fornita dal giudice e dunque la loro illegittima applicazione o disapplicazione, quanto la motivazione relativa all'interpretazione delle circostanze di fatto da cui dipende l'integrazione dei presupposti applicativi delle stesse. Invero il Tribunale non ha posto l'accento tanto sull'eventuale incontinenza delle espressioni dispiegate dall'imputato nella missiva incriminata, quanto sul fatto che egli ha accusato la persona offesa, esplicitamente o in maniera insinuante, di aver gestito le risorse condominiali nel proprio interesse o di non meglio precisati terzi. Accuse che sfiorano la calunniosità e che certamente risultano idonee a ledere la reputazione del Di Ma., soprattutto in quanto divulgate dinanzi alla platea dei suoi amministrati. Le censure del ricorrente appaiono dunque non coerenti allo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, giacché il fulcro della decisione è rappresentato dalla valutazione compiuta dal Tribunale in merito alla veridicità dei fatti denunziati ed in riferimento ai quali sarebbe stato esercitato il diritto di critica esclusa per l'assenza di qualsiasi riscontro in grado di comprovarli . Profilo questo sostanzialmente nemmeno attenzionato dal ricorso, che dunque in ogni caso rivela la sua intrinseca genericità. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.