Sbagliata la foto pubblicata: condannato il direttore

Il pezzo fa riferimento a condanne per alcuni componenti di un sodalizio criminoso. La foto invece ritrae un soggetto omonimo di uno dei condannati. Evidente per i Giudici l’omesso controllo da parte del direttore della testata. Irrilevante il richiamo difensivo a possibili colpe dei caporedattori.

Topica clamorosa per il quotidiano sbagliata la foto pubblicata. Sbattuto in prima pagina l’omonimo della persona condannata per appartenenza a un gruppo criminoso. Inevitabile la condanna del direttore per non avere provveduto ad un adeguato controllo prima di mandare in stampa il giornale Cassazione, sentenza n. 71/21, depositata il 4 gennaio . Una volta acclarato l’errore compiuto dal giornale, i Giudici di merito ritengono logica la condanna del direttore, sanzionato con 300 euro di multa per avere omesso di esercitare il controllo sull’articolo relativo alle condanne nei confronti di alcuni componenti di un clan criminoso e per non avere così impedito la erronea pubblicazione della fotografia della persona offesa in luogo di quella dell’omonimo cui l’articolo faceva riferimento . Il difensore del direttore contesta la condanna del suo cliente e prova a chiamare in causa i caporedattori . A questo proposito, viene lamentata la mancata assunzione in appello di una prova decisiva relativa all’acquisizione dell’estratto del quotidiano, dal quale era possibile individuare i caporedattori e viene anche ritenuto necessario l’esame dei caporedattori stessi per accertare una loro eventuale responsabilità, ritenuta però non sufficiente, in Appello, ad escludere la responsabilità del direttore . La valutazione compiuta in secondo grado è condivisa dalla Cassazione. In sostanza, l’eventuale escussione dei caporedattori, soggetti dotati del potere di individuare le foto da pubblicare a corredo dell’articolo, non avrebbe comunque comportato l’esenzione dalla responsabilità penale dell’imputato, il quale, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano, assume comunque una posizione di garanzia in ordine alla portata diffamatoria degli articoli pubblicati e, dunque, anche alle fotografie a corredo degli stessi . Fondamentale il richiamo al principio secondo cui il delitto di diffamazione commesso dal giornalista con il mezzo della stampa si configura quale evento attribuibile al direttore responsabile la cui condotta omissiva consiste nel non aver esperito i dovuti controlli al fine di evitare che, attraverso il periodico da lui diretto, venisse dolosamente lesa la reputazione di terze persone . Inutile, quindi, il richiamo difensivo a possibili colpe dei caporedattori. Ciò perché il Codice Penale prevede un reato colposo proprio del direttore responsabile. Pertanto, a tale titolo, non è configurabile la responsabilità del soggetto che di fatto eserciti il controllo sul contenuto del giornale, dovendosi escludere qualsivoglia rilevanza anche all’effettiva organizzazione interna dell’azienda giornalistica in virtù della quale siano conferite ad altri soggetti funzioni di coordinamento e di controllo . Peraltro, in questo specifico caso si è appurato che il direttore non ha apprestato alcun controllo né iniziativa diretta ad evitare la diffusione di notizie non rispondenti al vero, con ciò confermandosi la relativa penale responsabilità, essendo pacifico che la responsabilità a titolo di colpa del direttore per l’omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio a mezzo stampa può dirsi esclusa ove si dimostri che egli, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 novembre 2020 – 4 gennaio 2021, n. 71 Presidente Miccoli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 04/02/2019 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 25/01/2016, che aveva condannato Gi. Em. alla pena di 300 Euro di multa per il reato di cui agli artt. 57, 595 cod. pen. e artt. 13, 21 L. n. 47/1948, per avere omesso, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano La Provincia , di esercitare il controllo sull'articolo pubblicato il 10 maggio 2013 dal titolo Colpiti i vertici del clan che operava a Milano, pene fino a 17 anni per Be. , al fine di impedire la erronea pubblicazione della fotografia della persona offesa Be. Mi. in luogo di quella dell'omonimo cui l'articolo si riferiva. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Gi. Em., Avv. Gi. Ac., deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d , c.p.p., per la mancata assunzione in appello di una prova decisiva relativa all'acquisizione dell'estratto de Il Quotidiano della Calabria del 10.05.2014, dal quale era possibile individuare i caporedattori, e all'esame dei caporedattori stessi. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., perché ritiene la motivazione illogica con riguardo alla ritenuta non necessità della rinnovazione dell'istruttoria basata sull'assunto che un'eventuale responsabilità dei caporedattori non sarebbe stata comunque sufficiente ad escludere la responsabilità del Gi., trattandosi, al più, di responsabilità concorrenti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Giova premettere che la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Capitanio, Rv. 274337 , dovendo diversamente esserne censurata la mancata rinnovazione di prove decisive, pur esistenti e conosciute durante il giudizio di prime cure, ex art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. ex multis, Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, De Carlo, Rv. 240995 . Peraltro, la prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell'art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. per ., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, D, Rv. 277035 deve ritenersi decisiva , secondo la previsione dell'art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R, Rv. 278670 Tanto premesso, la Corte di Appello ha correttamente negato la rinnovazione dell'istruttoria nel caso di specie invero, l'eventuale escussione dei caporedattori, soggetti dotati del potere di individuare le foto da pubblicare a corredo dell'articolo, non avrebbe comunque comportato l'esenzione daiia responsabilità penale del Gi., il quale, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano, assume comunque una posizione di garanzia in ordine alla portata diffamatoria degli articoli pubblicati e, dunque, anche alle fotografie a corredo degli stessi. Il delitto di diffamazione commesso dal giornalista con il mezzo della stampa, infatti, si configura quale evento di quello attribuibile, ex art. 57 cod. pen., al direttore responsabile la cui condotta omissiva consiste nel non aver esperito i dovuti controlli al fine di evitare che, attraverso il periodico da lui diretto, venisse dolosamente lesa la reputazione di terze persone Sez. 5, n. 22850 del 29/04/2019, Rossi, Rv. 275556 . 3. Il secondo motivo, oltre ad essere del tutto generico e sostanzialmente reiterativo della prima doglianza, è altresì manifestamente infondato. Invero, la richiesta di rinnovazione avanzata dal Gi. era diretta a stabilire se l'imputato, relazionandosi con i caporedattori, avesse svolto qualche attività di controllo sul materiale pubblicato. Tuttavia, correttamente i giudici di merito hanno affermato la responsabilità dell'odierno ricorrente sulla base di un compendio probatorio chiaro ed univoco, con ciò ritenendo di non procedere a rinnovazione di istruttoria, conformemente all'insegnamento secondo cui l'art. 57 cod. pen. prevede un reato colposo proprio del direttore responsabile pertanto, a tale titolo, non è configurabile la responsabilità del soggetto che di fatto eserciti il controllo sul contenuto del giornale, dovendosi escludere qualsivoglia rilevanza anche all'effettiva organizzazione interna dell'azienda giornalistica in virtù della quale siano conferite ad altri soggetti funzioni di coordinamento e di controllo Sez. 5, n. 42309 del 02/05/2016, Clemente, Rv. 268461 . Al riguardo, secondo quanto risulta dalle sentenze di merito, il Gi. non ha apprestato alcun controllo né iniziativa diretta ad evitare la diffusione di notizie non rispondenti al vero, con ciò confermandosi la relativa penale responsabilità, essendo pacifico che la responsabilità a titolo di colpa del direttore per l'omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio a mezzo stampa può dirsi esclusa ove si dimostri che il predetto, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia Sez. 1, n. 48119 del 15/10/2009, Ciancio Sanfilippo, Rv. 245668 . 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.