Inutile per l’imprenditore fallito dare la colpa al curatore per non aver aderito alla rottamazione: condanna confermata

La causa di non punibilità prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, come modificato dall’art. 11 d.lgs. n. 158/2015, per i reati di cui agli 10- bis , 10- ter e art. 10- quater , comma 1, ha natura personale. Di conseguenza, tenuto al pagamento del debito è esclusivamente l’autore del reato e, dunque, colui che era obbligato al versamento delle somme dovute al momento della scadenza del termine lungo previsto dal d.lgs. n. 74/2000, artt. 10- bis e 10- ter , ovvero che ha omesso il versamento utilizzando in compensazione crediti non spettanti.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 34940/20, depositata il 9 dicembre. La Corte d’Appello di Trento confermava la decisione di prime cure che, a seguito di giudizio ab breviato, condannava l’imputato alla pena di 20mila euro di multa in sostituzione di 2 mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di omesso versamento delle ritenute operate quale sostituto di imposta. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione deducendo illogicità della motivazione per aver disatteso la richiesta di assoluzione fondata sull’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13 d.lgs. n. 74/2000. Il ricorso sostiene infatti che il mancato inserimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del credito tributario relativo alle somme non versate, ha impedito al curatore fallimentare di ricorre alla rottamazione prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015, art. 11. A maggior ragione, ciò ha impedito all’imputato di ricorrere personalmente alla rottamazione perché, in quanto fallito, non era legittimato a disporre o effettuare pagamenti in nome e per conto della società in fallimento. La Corte ricorda che l’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, come modificato dall’art. 11 d.lgs. n. 158/2015, ha introdotto una nuova causa di non punibilità per i reati di cui agli 10- bis , 10- ter e art. 10- quater , comma 1, della quale l’autore del reato può fruire a condizione che paghi il debito tributario, al lordo di sanzioni e interessi, nei termini e modi da esso stabiliti. Trattandosi dunque di una causa personale di esclusione della punibilità tenuto al pagamento del debito è esclusivamente l’autore del reato e, dunque, colui che era obbligato al versamento delle somme dovute al momento della scadenza del termine lungo previsto dal d.lgs. n. 74/2000, artt. 10- bis e 10- ter , ovvero che ha omesso il versamento utilizzando in compensazione crediti non spettanti, anche se medio tempore abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa . In altre parole, la fatto che il ricorrente abbia perso la legale rappresentanza della società dopo aver commesso il reato non costituisce argomento dirimente, nemmeno se la perdita della rappresentanza avvenga, come nel caso di specie, a causa del fallimento dell’impresa. Ugualmente infondata è la censura relativa all’omesso inserimento della cartella di pagamento tra quelle che avrebbero potuto beneficiare della rottamazione, circostanza che ne avrebbe impedito il pagamento da parte del curatore. Il Collegio ricorda infatti che il quomodo dell’estinzione del debito non rileva ai fini dell’ an dell’estinzione stessa, posto che tale circostanza non ostava al pagamento del debito nella sua interezza . Infine, viene sottolineato il fatto che il ricorrente non abbia mai dedotto di aver messo a disposizione del curatore le somme necessarie al pagamento integrale del debito. Correttamente dunque la Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione, privilegiando il dato oggettivo del mancato pagamento. In conclusione, la Corte non può che dichiarare inammissibile il ricorso e condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 ottobre – 9 dicembre 2020, n. 34940 Presidente Izzo – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. il sig. L.S. ricorre per l’annullamento della sentenza del 10/07/2019 della Corte di appello di Trento che, decidendo sull’impugnazione della sentenza del 27/04/2018 del Tribunale del medesimo capoluogo, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui appellata, ha confermato la condanna alla pena principale di 20.000,00 Euro di multa in sostituzione di due mesi e venti giorni di reclusione , oltre pene accessorie, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, omesso versamento delle ritenute operate quale sostituto di imposta e risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti , commesso il omissis . 1.1.Con unico motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e , la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha disatteso la richiesta di assoluzione fondata sulla applicazione della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 e sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Sostiene che il mancato inserimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del credito tributario relativo alle somme non versate, ha impedito al curatore del fallimento di ricorre alla rottamazione prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11 a maggior ragione lo ha impedito a lui personalmente perché, in quanto fallito, non era legittimato a disporre o effettuare pagamenti in nome e per conto della società OMISSIS S.r.l. in fallimento. È manifestamente illogico, pertanto, il ragionamento della Corte di appello secondo cui il mancato pagamento delle somme dovute osta in ogni caso alla applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 cit. Considerato in diritto 2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 3. Il ricorrente è stato definitivamente dichiarato responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, perché, quale legale rappresentante della società OMISSIS S.r.l. , dichiarata fallita con sentenza dell’11/12/2012, non aveva versato le ritenute operate, quale sostituto di imposta, nell’anno 2011. 3.1. Benché nel titolo del motivo si faccia riferimento anche alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato, in realtà nessun argomento è stato speso a sostegno di tale deduzione, sicché la questione relativa alla sussistenza del reato sotto ogni suo profilo, oggettivo e soggettivo, è estranea all’odierna regiudicanda. 3.2. Il ricorrente, infatti, lamenta esclusivamente di non aver potuto beneficiare della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, per cause a lui non imputabili in quanto a il debito tributario non era stato inserito nella procedura di cd. rottamazione in quanto la relativa cartella non era stata erroneamente elencata da Equitalia tra i crediti della massa passiva fallimentare b tale omissione aveva impedito al curatore di estinguere il debito avvalendosi di tale procedura c egli non era legittimato a sostituirsi al curatore nel chiedere la rottamazione della cartella e nel pagarne comunque l’importo. 3.3. La deduzione difensiva è manifestamente infondata. 4. Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11 ha introdotto una nuova causa di non punibilità per i reati di cui agli 10-bis, 10-ter e art. 10-quater, comma 1, della quale l’autore del reato può fruire a condizione che paghi il debito tributario, al lordo di sanzioni e interessi, nei termini e modi da esso stabiliti. 4.1. Trattandosi di una causa personale di esclusione della punibilità, tenuto al pagamento del debito è esclusivamente l’autore del reato e, dunque, colui che era obbligato al versamento delle somme dovute al momento della scadenza del termine lungo previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis e 10-ter, ovvero che ha omesso il versamento utilizzando in compensazione crediti non spettanti, anche se medio tempore abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa cfr., sul punto, Sez. 3, n. 17695 dell’11/01/2019, Rv. 275448 - 01 Sez. 3, n. 30879 del 27/03/2018, Rv. 273335 - 01 Sez. 3, n. 39072 del 18/07/2017, Rv. 271473 - 01 . 4.2. Il fatto, dunque, che il ricorrente abbia perso la legale rappresentanza dell’ente dopo aver commesso il reato non costituisce argomento dirimente, nemmeno se la perdita della rappresentanza avvenga, come nel caso di specie, a causa del fallimento dell’impresa. 4.3. Altrettanto infondata è l’ulteriore deduzione difensiva secondo la quale l’omesso, erroneo, inserimento della cartella di pagamento tra quelle che avrebbero potuto beneficiare della cd. rottamazione ne ha impedito il pagamento da parte del curatore il quomodo dell’estinzione del debito non rileva ai fini dell’an dell’estinzione stessa, posto che tale circostanza non ostava al pagamento del debito nella sua interezza. Ciò non equivale ad escludere che le speciali procedure conciliative di cui al D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136 e quelle analoghe previste dal D.L. n. 193 del 2016 e dal D.L. n. 148 del 2017 , siano comprese tra quelle indicate dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 e ciò a prescindere dal fatto che per effetto di tali procedure non sono dovute le sanzioni e, in parte, anche gli interessi, purché il pagamento integrale intervenga nei termini scadenzati dall’art. 13, commi 1 e 3 , ma la deduzione difensiva si rivela estremamente fragile nella parte in cui il ricorrente lamenta, in buona sostanza, di non aver potuto fruire della speciale causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 a causa di un errore che aveva impedito la rottamazione anche della cartella relativa alle somme non versate. Ciò sul rilievo che al legislatore penale, una volta accertata la consumazione del reato, interessa il pagamento della somma dovuta non a titolo di estinzione del debito, bensì quale condizione imposta per andare esente da pena. Tant’è vero che l’estinzione del debito per prescrizione o per decadenza impedisce all’autore del reato di invocare l’applicazione della speciale causa di non punibilità, potendo fruire, semmai, della sola circostanza attenuante di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 14 si veda, sul punto, Sez. 7, n. 25277 del 19/05/2017, n. m. . 4.4. Orbene, il ricorrente non ha mai dedotto, nè in sede di merito, nè in questa, di aver messo a disposizione del curatore le somme necessarie al pagamento integrale del debito. Sicché non è affatto errata la motivazione della Corte di appello che, nel rigettare l’impugnazione, ha privilegiato il dato oggettivo del mancato pagamento. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.