Gabbia sporca e piena di piume: condannato per avere maltrattato due pappagalli

Confermata la responsabilità penale dell’imputato, sanzionato con 800 euro di ammenda. Evidenti per i Giudici le condizioni di degrado a cui erano sottoposti gli uccelli.

Gabbia sporca e poca acqua situazione insostenibile per due pappagalli. Condannato perciò il proprietario. Decisivo il blitz compiuto dalle guardie zoofile Cassazione, sentenza n. 34236/20, depositata oggi . A finire sotto accusa è un uomo. A lui viene contestato di avere detenuto due pappagalli in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi di gravi sofferenze . Nello specifico, dopo aver ricevuto una segnalazione, alcune guardie zoofile hanno compiuto un blitz trovando un esemplare di Ara Ararauna” e un esemplare di Conuro della Patagonia” all’interno di una gabbia sporca, con presenza di deiezioni e piume, con poca acqua sporca a disposizione e dunque in condizioni incompatibili con la natura degli animali . Per i Giudici del Tribunale il quadro emerso dal resoconto delle guardie zoofile è sufficiente per ritenere colpevole il proprietario dei due pappagalli e per sanzionarlo con 800 euro di ammenda . Il difensore prova a dare una lettura diversa alla vicenda, sostenendo col ricorso in Cassazione che se all’accesso delle guardie zoofile le gabbie risultavano sporche, non era provato che quello stato di fatto fosse la conseguenza di una pluralità di giorni di incuria, non potendosi escludere che tale condizione dipendesse da attività fisiologiche espletate dopo la pulizia quotidiana delle gabbie e degli animali, che certo non rispettavano orari fissi per i loro bisogni . A margine, poi, il legale lamenta anche il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, risultato del tutto occasionale . Per i Giudici del Palazzaccio, però, non ci sono i presupposti per mettere in discussione la responsabilità penale del proprietario dei due pappagalli. A inchiodare l’imputato sono gli esiti del sopralluogo effettuato dalle guardie zoofile. Difatti, si è appurato che risultavano presenti, senza attestati sulla loro provenienza, due pappagalli, ovvero un esemplare di Conuro della Patagonia” detenuto in una gabbia caratterizzata dalla presenza di numerose deiezioni e di piume, con poca acqua a disposizione e priva degli arricchimenti ambientali necessari al benessere della specie, e un esemplare di Ara Ararauna” che, in seguito al decesso, veniva consegnato agli operanti in stato di crioconservazione . Per giunta, alla luce della normativa comunitaria i volatili necessitavano di uno specifico grado di protezione , evidentemente non assicurato in questo caso. Ciò significa, osservano i Giudici, che alla luce delle condizioni in cui sono stati rinvenuti gli uccelli è legittima la condanna . Impossibile, poi, ridimensionare la vicenda, checché ne dica il legale. Su questo punto dalla Cassazione osservano che ci si trova di fronte a un comportamento non estemporaneo, viste le condizioni di generale degrado in cui versavano i volatili , senza dimenticare, infine, i precedenti penali a carico del proprietario dei due pappagalli.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 settembre – 2 dicembre 2020, n. 34236 Presidente Izzo – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 luglio 2019, il Tribunale di Civitavecchia condannava Sa. Es. alla pena di mesi di 800 Euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole della contravvenzione di cui all'art. 727 comma 2 cod. proc. pen., a lui contestata per aver detenuto, in un'area di sosta camper denominata Riva di Ponente , un esemplare di Ara Ara Ararauna e un esemplare di Conuro della Patagonia all'interno di una gabbia sporca, con presenza di deiezioni e piume, con poca acqua sporca a disposizione e dunque in condizioni incompatibili con la natura degli animali, fatto accertato in Ladispoli il 26 settembre 2015. 2. Avverso la sentenza del Tribunale laziale, Es., tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto appello, sollevando due profili di censura. Con il primo, la difesa contesta la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato, evidenziando che, se all'accesso delle guardie zoologiche le gabbie risultavano sporche, non era provato che lo stato di fatto fosse la conseguenza di una pluralità di giorni di incuria, non potendosi escludere che tale condizione dipendesse da attività fisiologiche espletate dopo la pulizia quotidiana delle gabbie e degli animali, che certo non rispettavano orari fissi per i loro bisogni. Con il secondo tema di censura, la difesa si duole infine del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, risultato del tutto occasionale. Considerato in diritto Premesso che l'appello deve essere convertito in ricorso per cassazione, in quanto proposto avverso sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda, deve rilevarsi che l'impugnazione è inammissibile per manifesta infondatezza. 1. Iniziando dalle censure sull'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, deve rilevarsi che le stesse, prevalentemente fattuali e assertive, non sono affatto idonee a scalfire il percorso argomentativo seguito dal Tribunale rispetto alla sussistenza del reato contestato e alla sua ascrivibilità a Es E invero il Giudice monocratico ha innanzitutto operato un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamando in particolare gli esiti del sopralluogo eseguito dal Nucleo di Guardie zoofile della Onlus Oipa Italia, che, il 26 settembre 2015, a seguito di una segnalazione, si recavano presso l'area di sosta camper denominata Riva di Ponente , sita in Ladispoli, dove accertavano la detenzione da parte di Sa. Es. di numerosi esemplari della fauna selvatica locale nel sito risultavano inoltre presenti, senza che vi fossero attestati sulla loro provenienza, due pappagalli, ovvero un esemplare di Conuro della Patagonia detenuto in una gabbia caratterizzata dalla presenza di numerose deiezioni e di piume, con poca acqua a disposizione e priva degli arricchimenti ambientali necessari al benessere della specie, e un esemplare di Ara ararauna che, in seguito al decesso, veniva consegnato agli operanti in stato di crioconservazione. Appartenendo a una delle specie ricomprese all'interno dell'allegato B del regolamento CE n. 388/97, i volatili necessitavano di uno specifico grado di protezione, nella vicenda de qua non assicurato, per cui, alla luce delle condizioni in cui sono stati rinvenuti gli uccelli, legittimamente a carico di Es. è stato ritenuta configurabile la contravvenzione di cui all'art. 727 comma 2 cod. pen. In quanto coerente con le fonti dimostrativi disponibili, il giudizio sulla penale responsabilità di Es. non presta dunque il fianco alle obiezioni difensive, formulate invero in termini apodittici e non adeguatamente specifici. 2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, risultando pure in tal caso generica la censura difensiva, a fronte di una condotta che non appare riconducibile a un comportamento estemporaneo, stante le condizioni di generale degrado in cui versavano i volatili, non potendosi peraltro sottacere che in senso ostativo all'asserita occasionalità del fatto si pone anche l'esistenza dei numerosi precedenti penali dell'imputato richiamati dal Tribunale. Anche nella parte relativa al diniego della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., la sentenza del Tribunale resiste quindi alle censure difensive. 3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, l'impugnazione proposta nell'interesse di Es. deve essere dichiarata inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il gravame sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.