Animali invadono il fondo altrui e danneggiano piante d’ulivo: proprietaria condannata

Respinta la tesi difensiva, mirata ad eliminare almeno la sanzione relativa al reato di danneggiamento. Inutile il richiamo alla depenalizzazione decisa nel gennaio del 2016.

Pessima idea, senza dubbio, quella di ‘facilitare’ l’ingresso di un gregge di bovini sul fondo di proprietà di un ordine religioso. Inevitabile che gli animali arrechino danni alle piante – d’ulivo – presenti su quel terreno. E consequenziale la condanna della proprietaria degli animali, ritenuta colpevole di danneggiamento, nonostante la depenalizzazione stabilita col d.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 Cassazione, sentenza n. 32006/20, sez. II Penale, depositata il 13 novembre . Scenario della vicenda è la provincia di Frosinone. Sotto accusa una donna le viene contestato di avere introdotto ed abbandonato circa trenta capi bovini sul fondo di proprietà di un ordine religioso, dopo aver reciso e danneggiato una parte della recinzione posta a protezione del terreno , e di avere così causato il danneggiamento da opera degli animali delle piante di ulivo presenti sul fondo. Per i Giudici di merito non ci sono dubbi sulla colpevolezza della donna, che viene condannata per introduzione di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo e per danneggiamento . Col ricorso in Cassazione, però, l’avvocato della donna osserva che il reato di danneggiamento è stato depenalizzato d.lgs. n. 7/2016 e chiede quindi, alla luce della intervenuta abolitio criminis , la riduzione del trattamento sanzionatorio a carico della sua cliente e la revoca delle statuizioni civili . Dalla Cassazione ribattono però con una precisazione in effetti il reato di danneggiamento semplice è stato depenalizzato , ma hanno conservato rilevanza penale le condotte di danneggiamento aggravato che includono il danneggiamento realizzato su piantate di viti, alberi o arbusti fruttiferi . In questa vicenda alla proprietaria dei bovini è addebitato di avere provocato il danneggiamento di numerose piante di ulivo, impiantate sul fondo di proprietà della parte civile . E la donna ha riconosciuto, osservano i Giudici, che i bovini di sua proprietà avevano danneggiato gli alberi altrui, sostenendo solo l’involontarietà della sua condotta , smentita però dalla ricostruzione compiuta tra primo e secondo grado. Di conseguenza, poiché il danneggiamento ha riguardato ulivi, alberi da frutto certamente rientranti nella nozione di cui al secondo comma dell’articolo 635 del codice penale , non si può parlare di reato depenalizzato, concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 settembre – 13 novembre 2020, n. 32006 Presidente Cammino – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23/10/2019 il Tribunale di Frosinone ha confermato la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Frosinone in data 03/07/2015 che aveva condannato RI. Si. per i reati di cui agli artt. 81, 635 e 636 comma 3 cod. pen. per avere introdotto ed abbandonato circa 30 capi bovini sul fondo di proprietà della Congregazione del Sacro Ordine Cistercense di Casamari dopo aver reciso e danneggiato una parte della recinzione posta a protezione del fondo e con danneggiamento delle piante di ulivo ivi insistenti, confermando, altresì, le statuizioni civili. 2. Avverso detta sentenza l'imputata, a mezzo difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione deducendo, con un unico motivo, violazione di legge non avendo il Tribunale di Frosinone considerato che l'art. 635 primo comma cod. pen. fattispecie delittuosa per la quale la ricorrente era stata condannata nelle more del giudizio era stato depenalizzato con la conseguenza che il giudice, in sede di appello, tenuto conto della intervenuta abolitio criminis avrebbe dovuto annullare la sentenza impugnata rideterminando il trattamento sanzionatorio e revocando le statuizioni civili. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni appresso specificate. 2. Occorre premettere che il reato di danneggiamento semplice è stato depenalizzato con il decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016. Ai sensi dell'art. 2 di detto decreto hanno, invece, conservato rilevanza penale le condotte di danneggiamento aggravato di cui al secondo comma fra cui la condotta di danneggiamento qualora sia realizzata su piantate di viti, alberi o arbusti fruttiferi Osserva la Corte che nel caso in esame è stato contestato alla ricorrente, come è dato evincere chiaramente dal capo di imputazione, di avere provocato il danneggiamento di numerose piante di ulivo impiantate sul fondo di proprietà della parte civile Congregazione del Sacro Ordine Cistercense di Casamari. Invero è di tutta evidenza che l'aggravante di cui all'art. 635 comma 2 n. 4 c.p. è stata contestata in fatto e che l'imputata ha avuto piena cognizione degli elementi di fatto che la integrano, lei stessa ha, infatti, riconosciuto che i bovini di sua proprietà avevano danneggiato gli alberi altrui, sostenendo solo l'involontarietà della sua condotta, smentita secondo la ricostruzione dei giudici di merito. Va, del resto, ricordato che secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati. Fattispecie concernente la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del numero delle persone concorse nel reato, pur in assenza dell'indicazione, nel capo d'imputazione, dell'art. 112, comma primo, n. 1, cod. pen. . Sez. U, n. 18 del 21/06/2000 - dep. 01/08/2000, Franzo e altri, Rv. 21643001 . Dal momento che il danneggiamento ha riguardato ulivi, alberi da frutto certamente rientranti nella nozione di cui al secondo comma dell' art. 635 cod. pen, il reato contestato non può, pertanto, essere oggetto di depenalizzazione, sicché la sentenza impugnata è da ritenere immune da censure. 3. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.