Mancato versamento delle ritenute: niente sequestro delle somme se non costituiscono profitto del reato

Il denaro versato successivamente alla data di consumazione del reato non può essere ritenuto profitto” del reato, ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, eventualmente aggredibile con un provvedimento ablativo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31516/20, depositata l’11 novembre. Il Tribunale di Napoli, in sede di rinvio, rigettava la richiesta di riesame presentata dai curatori fallimentari di una società in liquidazione contro il decreto emesso dal GIP che aveva disposto, tra le altre cose, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del saldo attivo dei rapporti di conto corrente e dei rapporti finanziari intestati alla stessa società fino alla somma di circa un milione di euro, risultante dall’indebito risparmio derivante dal mancato versamento delle ritenute dovute quale sostituto d’imposta. I curatori del fallimento della società propongono ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’omesso esame del fatto che il sequestro fosse riferito a somme disponibili sul conto corrente solo dopo la consumazione del reato , non potendo rappresentare, dunque, tali somme il profitto del reato. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo di ricorso, osservando come in realtà le somme di denaro oggetto del sequestro intervenuto non possano avere natura di profitto del reato . A sostegno di tale tesi, la Corte riprende un precedente giurisprudenziale in cui le Sezioni Unite hanno affermato che quando il prezzo o il profitto accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su un conto corrente bancario deve essere qualificata come confisca diretta e non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma oggetto di ablazione ed il reato. Tuttavia, gli Ermellini affermano che proprio per questa ragione, e in senso corrispondente, qualora sussista la prova che le suddette somme non possano in alcun modo derivare dal reato come nel caso in oggetto , non potendo neppure le stesse rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio come conseguenza del mancato versamento delle imposte, esse non possono sottoporsi a sequestro , difettando la caratteristica di profitto. Per tali ragioni, la Corte afferma che il denaro versato successivamente alla data di consumazione del reato non può essere ritenuto profitto” del reato, ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, eventualmente aggredibile con un provvedimento ablativo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente . Di conseguenza, gli Ermellini annullano senza rinvio la pronuncia impugnata ed il decreto di sequestro, limitatamente all’importo riconosciuto come eccedenza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 settembre – 11 novembre 2020, n. 31516 Presidente Rosi – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 3, n. 17749 del 17 dicembre 2018, che aveva riconosciuto la legittimazione attiva del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell’art. 324 c.p.p., rigettava l’istanza di riesame presentata dai curatori fallimentari nell’interesse della omissis s.p.a. in liquidazione avverso il decreto emesso in data 15 febbraio 2018 dal G.i.p. del Tribunale di Nola, che aveva disposto, tra l’altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del saldo attivo dei rapporti di conto corrente e dei rapporti finanziari intestati alla predetta società fino alla concorrenza della somma di 1.081.554,62 Euro, quale indebito risparmio conseguito dalla società per avere il legale rappresentante della medesima, T.F. , omesso il versamento, in relazione all’anno di imposta 2013, delle ritenute dovute quale sostituto d’imposta entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale. 2. Avverso l’indicata ordinanza, i curatori del fallimento della società omissis s.p.a. in liquidazione, per il tramite dei difensori di fiducia nonché procuratori speciali, propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e . Assume la curatela ricorrente che il Tribunale cautelare, pur avendo correttamente sintetizzato i motivi dell’istanza di riesame sub 4 e 6 riguardanti, rispettivamente il fatto che il sequestro si riferisca a somme rese disponibili sul conto corrente solo successivamente al momento di consumazione del reato e che tali somme, pertanto, non rappresentino il profitto del reato avrebbe poi omesso di esaminare detti motivi, non essendo sufficiente valorizzare la natura fungibile del denaro per qualificare come profitto l’oggetto del sequestro, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità si indica, al proposito, Sez. 3, n. 22061 del 23/01/2019 - dep. 21/05/2019, Moroso, Rv. 275754 . 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e 322-ter c.p Lamenta la curatela ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nell’interpretazione del concetto di profitto, il quale, nel contestato reato omissivo ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, non si identifica per importi superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento, nè per somme di danaro acquisite successivamente alla consumazione del reato tale conclusione non si pone in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte sentenze n. 10561, Gubert e n. 31617, Lucci , che riguardano le diverse ipotesi in cui le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute della somma che costituisce il profitto del reato nel caso in esame, invece, si sarebbe in presenza di un mero risparmio d’imposta che non è accrescitivo . 2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e art. 322-ter c.p Ad avviso della curatela ricorrente, il Tribunale cautelare avrebbe errato nel ritenere che integrino il profitto del reato le somme di denaro frutto dell’attività di recupero credito da parte del curatore fallimentare dopo la consumazione del reato medesimo e depositate su un conto corrente intestato al fallimento. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, art. 322-ter c.p., art. 42 L. Fall., artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p Assume la ricorrente che, nel caso di specie, la disponibilità dei beni sarebbe in capo non alla società fallita, ma alla curatela, essendo il fallimento stato dichiarato prima del sequestro, come si desume dall’art. 42 L. Fall., con la conseguenza che il fallimento è da considerarsi terzo rispetto all’autore del reato. Pertanto, ove, come nella specie, sia intervenuta la sentenza di fallimento e, di conseguenza, la persona giuridica abbia perso la disponibilità dei beni in favore della curatela, il sequestro non è più ammissibile, anche considerando che si tratta di somme di denaro frutto dell’attività recuperatoria posta in essere dal curatore. Evidenzia inoltre la ricorrente che sarebbe irrilevante la circostanza, valorizzata dal Tribunale, secondo cui si tratta di confisca obbligatoria, sia perché non è il carattere obbligatorio della confisca che determina la pericolosità intrinseca della res, sia perché il fallito non aveva più la disponibilità dei beni. 3. In data 23 settembre 2020, il curatore fallimentare e il difensore della parte ricorrente hanno depositato memoria, con cui insistono per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. In primo luogo va rilevato che, nelle more, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, le quali, nel comporre un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il principio secondo cui il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019 - dep. 13/11/2019, Fallimento Di Mantova Petroli s.r.l. in liquidazione, Rv. 277257 . Alla curatela fallimentare, pertanto, deve riconoscersi, come già ritenuto dalla sentenza rescindente, la legittimazione ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza del Tribunale distrettuale che abbia rigettato l’istanza di riesame ex art. 322 c.p.p 2. Ciò posto, il primo motivo è fondato, con assorbimento dei motivi residui. 3. La questione posta dal ricorrente è se sia possibile, nei confronti della società dichiarata fallita, il sequestro diretto su somme di denaro frutto dell’attività recuperatoria di crediti posta in essere dal curatore fallimentare, evidentemente dopo la commissione del reato, e depositate su in conto corrente intestato al fallimento. 4. Il Tribunale cautelare ha risposto affermativamente, sul presupposto, per un verso, che i crediti vantati dalla società fallita ineriscono all’attività economica da questa svolta e, quindi, rappresentato risorse finanziarie riconducibili al patrimonio economico della società illecitamente accresciuto in conseguenza del reato, e, per altro verso, che la società fallita perde il potere di gestione e di disposizione dei propri beni, ma non la loro titolarità. 5. Si tratta di un’argomentazione non persuasiva, per l’assorbente ragione che alle somme di denaro oggetto dell’intervenuto sequestro non può riconoscersi la natura di profitto del reato. 6. Premesso che l’addebito mosso al legale rappresentante della società, in tesi accusatoria, si sarebbe perfezionato in data 20 settembre 2013, è incontroverso che la misura abbia attinto somme presenti sul conto corrente intestato al fallimento e, più in particolare, la somma di Euro 1.080.548,59 non sussistente al momento di consumazione del reato, bensì ivi solo successivamente riversata dal curatore fallimentare, quale recupero crediti. 7. Ora, è esatto, come ricordato dal Tribunale cautelare, che questa Corte a Sezioni Unite ha affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato Sez. Un., n. 10561 del 30/01/2014, dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258647 nonché Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264437 e ciò, implicitamente, proprio perché la natura fungibile del bene, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite Lucci, si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ed è tale da perdere - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita ciò che rileva , proseguono le Sezioni Unite, è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo . 8. Ma, proprio in ragione di ciò, ed in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle Sezioni Unite, ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato come appunto nel caso in cui le stesse, come nella specie, siano corrispondenti a rimesse effettuate dal curatore fallimentare successivamente alla scadenza del termine per il versamento delle ritenute , di talché le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte ovvero, in altri termini del risparmio di imposta nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari , le stesse non sono sottoponibili a sequestro, difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta. E ciò, a maggior ragione ove le somme siano rinvenute, in connessione con la stessa ragione della loro corresponsione, in un conto corrente intestato non già alla società, bensì al fallimento. 9. In altri termini, il denaro versato successivamente alla data di consumazione del reato non può essere ritenuto profitto del reato, ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, eventualmente aggredibile con un provvedimento ablativo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente. 10. Si tratta di una conclusione in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito Sez. 3 n. 41104 del 12/07/2018, dep. 24/09/2018, Vincenzini, Rv. 274307 Sez. 3 n. 6348 del 04/10/2018, dep. 11/02/2019, Torelli, Rv. 274859 . 11. Per i motivi indicati, l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro di sequestro preventivo devono essere annullati senza rinvio limitatamente all’importo eccedente la somma di Euro 1.006,03 Euro, disponendone la restituzione agli aventi diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro preventivo limitatamente all’importo eccedente la somma di Euro 1.006,03 Euro, disponendone la restituzione agli aventi diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p