Conversazione hot con una minorenne, la ricezione di selfie sessuali fa scattare l’accusa di pornografia minorile

Per i Giudici è solida e legittima la contestazione mossa nei confronti dell’imputato. Impossibile sostenere che gli autoscatti erotici a lui inviati da una ragazzina di 14 anni siano catalogabili come frutto di una decisione spontanea. Legittima anche la misura cautelare applicata nei suoi confronti, cioè l’obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria.

Legittimo ipotizzare il reato di pornografia minorile quando la persona adulta intrattiene una conversazione online col soggetto minorenne, convincendolo ad inviare autoscatti erotici. Conseguente quindi anche l’applicazione della misura cautelare decisa in questa vicenda, ossia obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria” Cassazione, sentenza n. 31192/20, depositata oggi . Riflettori puntati su un uomo, finito sotto accusa per le foto erotiche a lui inviate da una ragazzina di 14 anni. A rendere grave la sua posizione è anche la constatazione che egli ha portato avanti nel tempo una conversazione digitale – e a sfondo sessuale – con la ragazzina, così spingendola a realizzare i selfie e inviarglieli. Inevitabile l’accusa di pornografia minorile . E legittima, secondo i Giudici del Tribunale, l’applicazione di una misura cautelare ad hoc , ossia l’ obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria . Il provvedimento viene contestato dal difensore dell’imputato. Innanzitutto, il legale ritiene prive di rilevanza penale le condotte di chi riceva autoscatti erotici della presunta vittima nel contesto di conversazioni digitali di tipo sessuale, posto che l’autoscatto è generalmente espressione di libera autodeterminazione, così da escludere rapporti di strumentalizzazione e degrado della personalità del minore . E sempre secondo questa prospettiva il legale sostiene sia plausibile ipotizzare piuttosto il reato di detenzione di materiale pornografico che punisce il soggetto diverso dal produttore del materiale , poiché in questo caso le due foto ricevute dal suo cliente e ritraenti le parti intime di una minore, di 14 anni sono frutto di autoscatti spontaneamente realizzati, in assenza di una posizione di abuso dell’uomo rispetto alla minorenne, stante l’esistenza piuttosto di una relazione paritaria tra i due soggetti coinvolti . Secondo il legale, poi, è priva di logica l’applicazione dell’ obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria , poiché non è stata valutata la probabilità di commissione di altri reati alla luce della personalità dell’indagato o della sua condizione psicologica, così omettendo ogni verifica sulle occasioni di possibile ricaduta né è stata verificata la idoneità della misura disposta, in realtà inadeguata , osserva il legale, a fronteggiare il pericolo di reiterazione, posto che le condotte sono state realizzate mediante comunicazioni a distanza . Dalla Cassazione ribattono innanzitutto confermando la solidità dell’accusa. Secondo i magistrati del Palazzaccio si è fatta corretta applicazione, in questa vicenda, del principio secondo cui risponde del delitto di pornografia minorile anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata . In sostanza, tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore , che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo , aggiungono i Giudici. In questa vicenda si è posta in evidenza l’ influenza causale dell’istigazione operata dall’imputato sulla minorenne, alla luce della stretta correlazione tra gli autoscatti e il relativo invio da parte della vittima da una parte, e i messaggi, dal corrispondente contenuto, inoltrati dall’uomo, e diretti nella medesima direzione . Legittimo, quindi, rilevare la strumentalizzazione e l’utilizzo della minore , e respingere la tesi difensiva centrata su una presunta spontaneità delle condotte della ragazzina. Sacrosanta anche la misura cautelare adottata dal Tribunale. Su questo fronte i Giudici della Cassazione osservano che il pericolo di reiterazione è stato congruamente motivato alla luce della sintomaticità delle condotte, per nulla occasionali, rispetto ad impulsi sessuali dell’uomo recenti e in alcun modo controllati ed a fronte dell’assenza di iniziative volte a governare la rilevata deviazione sessuale . Così è stata delineata ragionevolmente una personalità incline alla ripetizione dei reati ipotizzati . E congrua è la misura applicata, coerente rispetto alle esigenze cautelari ravvisate, di reiterazione di reati analoghi, cosicché risulta ragionevolmente funzionale a fronteggiare il pericolo di commissione dei reati . Ciò perché con particolare riguardo all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, la funzione deterrente della misura prescelta rispetto al pericolo di reiterazione di reati non va identificata solo nella specifica capacità di incidenza materiale della misura sulle probabili condotte criminali, bensì anche sul piano della idoneità della misura, nel contesto della valutazione complessiva, oltre che delle condotte, anche della personalità della persona, di fronteggiare il pericolo di reiterazione, anche agendo sul piano della riflessione psicologica della persona, nel senso di dispiegare, per la sua sussistenza e modalità di applicazione, un’efficacia dissuasiva rispetto a nuove iniziative criminali .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 settembre – 9 novembre 2020, n. 31192 Presidente Sarno – Relatore Noviello Ritenuto in fatto 1. Il tribunale di Bologna adito ai sensi dell'art. 310 c.p. dal P.M. del medesimo tribunale, con ordinanza del 13 dicembre 2019 in parziale accoglimento dell'appello applicava a D’An. Ma. la misura cautelare dell'obbligo giornaliero di presentazione alla p.g. in relazione ai reati di cui agli artt. 81 600 ter c.p. capo a . 2. Avverso la pronuncia del tribunale sopra indicata, propone ricorso per cassazione D’An. Ma. mediante il proprio difensore, che solleva due motivi di impugnazione. 3. Con il primo motivo deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen. rilevando come siano prive di rilevanza penale le condotte di chi riceva auto - scatti erotici della presunta vittima nel contesto di conversazioni digitali di tipo sessuale, posto che l'autoscatto generalmente sarebbe espressione di libera autodeterminazione, così da escludere rapporti di strumentalizzazione e degrado della personalità del minore. Richiesti invece per la sussistenza del reato ex art. 600 ter comma 1 c.p. Con l'ulteriore considerazione per cui la condotta configurata in ordinanza integrerebbe la diversa ipotesi di cui all'art. 600 quater c.p., che punisce il soggetto diverso dal produttore del materiale, posto che per le due foto detenute dal ricorrente e ritraenti le parti intime di una minore, di anni 14, lo stesso non risulta produttore, trattandosi di autoscatti spontaneamente realizzati, e considerata l'assenza di una posizione di abuso dell'agente rispetto alla ritenuta vittima, stante l'esistenza piuttosto di una relazione paritaria tra i soggetti coinvolti. 4. Con il secondo motivo prospetta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c ed e cod. proc. pen., posto che il tribunale non avrebbe valutato la probabilità di commissione di altri reati alla luce della personalità dell'indagato o della sua condizione psicologica, così omettendo ogni verifica sulle occasioni di possibile ricaduta. Né avrebbe verificato la idoneità e proporzionalità della misura disposta, in realtà inadeguata a fronteggiare il pericolo di reiterazione, posto che le condotte sono state realizzate mediante comunicazioni a distanza. Così assolvendo la misura ad una funzione di diffida che non le è propria. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il tribunale ha fatto corretta applicazione del principio per cui risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall'art. 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen. anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l'intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell'utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l'azione sia posta in essere solo da quest'ultimo cfr. Sez. 3 - n. 26862 del 18/04/2019 Rv. 276231 - 01 P. . In tale cornice giuridica si pongono le considerazioni del collegio, laddove accertando l'influenza causale dell'istigazione operata dall'indagato, secondo un giudizio di fatto immune da vizi e quindi non censurabile in questa sede, ha posto in evidenza la stretta correlazione tra gli autoscatti e il relativo invio da parte della vittima da una parte, e i messaggi, dal corrispondente contenuto, inoltrati dal ricorrente, e diretti nella medesima direzione così sottolineando la strumentalizzazione e utilizzo della minore e confutando la tesi, del tutto unilaterale quanto assertiva, della spontaneità delle condotte della medesima. 2. Anche il secondo motivo è infondato. Il pericolo di reiterazione è stato congruamente motivato alla luce della sintomaticità delle condotte, per nulla occasionali, rispetto ad impulsi sessuali dell'indagato recenti e in alcun modo controllati ed a fronte dell'assenza di iniziative volte a governare la rilevata deviazione sessuale. Così delineando ragionevolmente - ancora una volta smentendo la tesi difensiva circa la mancata valutazione dei presupposti del pericolo di recidivanza, invero elaborata trascurando le argomentazioni dei giudici sopra riassunte e così incorrendo in difetti di specificità estrinseca cfr. per tutte Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568 -, una personalità incline alla ripetizione dei reati ipotizzati. Congrua e puntuale è altresì la motivazione della misura applicata, coerente rispetto alle esigenze cautelari ravvisate, di reiterazione di reati analoghi, cosicché risulta ragionevolmente funzionale a fronteggiare il pericolo di commissione dei medesimi. A tale ultimo riguardo occorre sottolineare che con particolare riguardo all'obbligo di presentazione alla p.g., la funzione deterrente della misura prescelta rispetto al pericolo di reiterazione di reati non va identificata solo nella specifica capacità di incidenza materiale, della misura, sulle probabili condotte criminali, bensì anche sul piano della idoneità della misura, nel contesto della valutazione complessiva, oltre che delle condotte, anche della personalità dell'interessato, di fronteggiare il pericolo di reiterazione anche agendo sul piano della riflessione psicologica dell'agente, nel senso di dispiegare, per la sua sussistenza e modalità di applicazione, un'efficacia dissuasiva rispetto a nuove iniziative criminali. 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.