Investigazioni dall’estero, al bando i formalismi

Sostanziale via libera a perquisizioni e sequestri ordinati dalle autorità investigative straniere senza il previo avviso del procuratore italiano al difensore dell’indagato ex art. 4, comma 4, d.lgs. n. 108/2017.

Così la Cassazione con sentenza n. 30855/20 depositata il 5 novembre. L’art. 4, comma 4, d.lgs. n. 108/2017 l’informativa al difensore dell’indagato. Se ordinata l’investigazione dall’estero, il PM italiano deve comunicare il decreto di riconoscimento dell’Ordine Europeo d’Indagine – OIE - al difensore della persona sottoposta alle indagini entro il termine stabilito per l'avviso di cui ha diritto secondo la legge italiana per il compimento dell'atto. Quando la legge italiana prevede soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto senza previo avviso – art. 365 c.p.p. perquisizioni, sequestri -, il decreto di riconoscimento – non anche l’Ordine di indagine, non allegato per ragioni di segretezza dell’atto - è comunicato nel momento in cui l'atto è compiuto o immediatamente dopo l’indagato acquisisce di seguito almeno contezza dell’Autorità emittente e della contestazione mossagli. Nessuna comunicazione è dovuta negli altri casi. In caso di comunicazione tardiva Nel caso, la comunicazione del Pubblico Ministero aveva seguito di un mese il compimento dell’atto investigativo, eppure la Cassazione ha specificato che non ogni ritardo può determinare l’invalidità delle indagini svolte in territorio nazionale, occorre la concreta e significativa lesione ai diritti di difesa dell’indagato, nel caso nemmeno integrata. può non esservi alcuna invalidità. Di certo non potrebbe condurre ad alcuna invalidità il ritardo nell’avviso del Procuratore laddove sia stato ancora pendente il termine per impugnare il decreto di riconoscimento ex art. 13 del d.lgs. cit. e l’atto investigativo non sia stato ancora ultimato – e dunque il difensore avrebbe ancora il potere di assistervi -. Ossia, se l’atto investigativo è lungi dall’esaurimento, l’avviso del decreto di riconoscimento sia stato omesso e ciò nonostante il difensore sia venuto a conoscenza dell’atto d’indagine in capo al proprio assistito, il difensore dell’indagato può compiutamente prendervi parte e – pur in assenza di un potere di richiesta di sospensione cautelare dell’atto investigativo in fieri - eventualmente esercitare il potere di impugnativa ex art. 13 del d.lgs cit. avverso il decreto cit. poi notificato. anche laddove l’atto investigativo sia stato completato e gli esiti già trasmessi all’Autorità estera. Specifica la Cassazione anche l’eventuale omissione dell’avviso all’indagato del decreto di riconoscimento pur già avvenuta la trasmissione degli esiti dell’atto investigativo sottostante – già completato – presso l’Autorità investigativa estera, può non determinare alcuna invalidità del decreto cit. laddove, in primis, il Giudice invocato ex art. 13 del d.lgs. cit. accerti il mancato pregiudizio dei diritti fondamentali dell’indagato in Italia e, in secundis , si tenga conto che in ogni caso presso l’Autorità estera non viene preclusa all’indagato l’impugnativa avverso l’acquisizione dei medesimi atti e risultati d’indagine, secondo regole e procedure proprie nell’ordinamento straniero.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 settembre – 5 novembre 2020, n. 30885 Presidente Villoni – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il GIP presso il Tribunale di Napoli ha accolto l’opposizione, proposta nell’interesse S.E.M. ai sensi del D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, art. 13 avverso il decreto di riconoscimento, adottato dal P.M. in data 2 settembre 2019, dell’ordine di indagine Europeo emesso dall’Autorità giudiziaria olandese Procura del Re di Rotterdam in data 26 luglio 2019, annullandolo per la violazione del disposto di cui all’art. 4, comma 4, D.Lgs. cit. e in ragione del conseguente pregiudizio recato al diritto di difesa. Con l’ordine d’indagine Europeo OIE l’autorità di emissione aveva chiesto l’adozione di atti di perquisizione, sequestro di documentazione e audizione dello stesso S. in relazione alle indagini in corso in detto Stato per il reato in materia di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, punito nell’ordinamento nazionale dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291-quater. 2. Avverso l’ordinanza sopra indicata, ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Napoli, che ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 108 del 2017, artt. 4 e 13 osservando innanzitutto l’errore in cui è incorso il GIP nell’affermare che il decreto di riconoscimento emesso dal P.M. il 2 settembre 2019 non fosse stato mai comunicato al difensore, neppure tardivamente, essendo in realtà stata eseguita la relativa comunicazione in data 12 novembre 2019, come da provvedimento già inserito agli atti della procedura di opposizione. In secondo luogo, ha rilevato la illegittima estensione del sindacato consentito al GIP in sede di opposizione ex art. 13 cit., che si assume limitato alla verifica di eventuali ragioni ostative al riconoscimento dell’OIE, dunque ad eventuali vizi genetici dell’atto o alla ricorrenza di motivi di rifiuto o all’assenza di proporzionalità, ma che non attiene all’osservanza delle forme relative alla comunicazione del decreto di riconoscimento, non dovendosi confondere la legittimità del decreto stesso con la regolarità formale della sua notificazione. In terzo luogo, dopo aver ricostruito i tempi di esecuzione degli atti di indagine oggetto dell’OIE perquisizione e sequestri eseguiti in data 28/10/19 interrogatorio del S. in data 31/10/2019 e rilevato che in data 12/11/19 era stata data comunicazione al difensore del decreto di riconoscimento, ha osservato che nessuna lesione dei diritti della difesa si è concretizzata per effetto della tardiva comunicazione essendo passati solo dieci giorni dalla perquisizione rispetto alla data di autorizzazione al rilascio al difensore di copia del decreto , tenuto anche conto che l’esecuzione era ancora in corso al momento della presentazione dell’impugnazione ex art. 13 promossa dal difensore in data 21/11/2019. Al riguardo si assume che il decreto di riconoscimento non è atto recettizio, nel senso che i suoi effetti non dipendono dalla comunicazione alla parte interessata e che la comunicazione tardiva potrebbe inficiare la validità della procedura di riconoscimento solo se intervenuta dopo la trasmissione delle risultati delle indagini svolte allo Stato emittente, mentre nel caso in esame nessuna trasmissione degli atti era stata ancora disposta, talché la difesa aveva ancora la piena facoltà di ottenere il blocco dell’esecuzione o della trasmissione dei risultati dell’indagine, con la conseguenza che il difensore e l’indagato erano stati messi in condizione di esercitare il diritto di difesa. Si deduce, infine, che nessun avviso doveva esser dato alla parte prima e durante lo svolgimento di atti cd. a sorpresa e che trattandosi in ogni caso di nullità a regime intermedio di ordine generale, essa andava eccepita al compimento dell’atto cui la parte aveva assistito e quindi al momento della perquisizione o dell’interrogatorio. 3. Preso atto dell’interposizione del ricorso in sede di legittimità, il GIP ha poi interinalmente sospeso l’esecuzione dell’ordinanza di annullamento dell’OIE e dei provvedimenti consequenziali, ravvisando giusti motivi per disporre in tal senso art. 127 c.p.p., comma 8 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Preliminarmente va osservato che il caso in esame presenta alcune peculiarità, debitamente evidenziate dal pubblico ministero ricorrente, che inducono a rivedere e puntualizzare alcuni aspetti rispetto a quanto stabilito da questa Corte di Cassazione in una precedente decisione Sez. 6, sent. n. 8320 del 31/01/2019, P.M. in proc. Creo, Rv. 275732 riguardo alla violazione del D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, art. 4, comma 4, per tardiva comunicazione alla difesa dell’indagato del decreto di riconoscimento dell’ordine Europeo di indagine. Innanzitutto deve rilevarsi la fondatezza del rilievo preliminare circa l’errore percettivo in cui è incorso il giudice dell’opposizione nell’avere ritenuto inadempiuto l’obbligo di comunicazione previsto dal D.Lgs. 21 giugno 2017, n. 108, art. 4, comma 4. Il P.M. ricorrente ha, infatti, prodotto copia della ricevuta attestante il rilascio, autorizzato in data 07/11/2019, al difensore dell’indagato di copia del decreto di riconoscimento dell’OIE, ritenendo irrilevante la circostanza che la comunicazione fosse avvenuta per iniziativa della difesa che ne aveva chiesto il rilascio. Pertanto, contrariamente a quanto dedotto nell’atto di opposizione accolto dal GIP e ribadito nella memoria difensiva prodotta in questa sede processuale, il decreto di riconoscimento dell’OIE risulta essere stato debitamente comunicato al difensore dell’odierno ricorrente. Occorre, infatti, rilevare che ai fini della comunicazione di cui all’art. 4, comma 4, non sono previste forme speciali nè tanto meno sacramentali, essendo solo richiesto che la persona indagata sia messa a conoscenza dell’atto emesso dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel quale devono essere compiuti gli atti di indagine richiesti. Vale anche precisare che, come puntualizzato dal P.M., è prevista la comunicazione al difensore del solo decreto di riconoscimento, ma non anche dell’ordine Europeo di indagine emesso dall’A.G. dello Stato estero, che per il suo contenuto informativo, indirizzato alla sola A.G. dello Stato di esecuzione, presenta evidenti profili di segretezza, propri della fase delle indagini in cui tale atto si colloca. L’art. 4 prevede, infatti, che della ricezione dell’ordine di indagine il Procuratore della Repubblica informi il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ai fini del coordinamento investigativo ove si proceda per i delitti previsti dall’art. 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, essendo in ogni caso previsto che ne sia trasmessa copia al Ministero della Giustizia. Non è quindi prevista, per le ricordate ragioni di segretezza, la comunicazione dell’OIE alla difesa della persona indagata, che deve però essere messa in condizione, attraverso la comunicazione del decreto di riconoscimento, di conoscere l’Autorità giudiziaria emittente ed il titolo dei reati per i quali si procede ai fini dell’eventuale impugnazione. Altre informazioni vengono poi indirettamente ed inevitabilmente offerte alla persona indagata attraverso gli avvisi previsti dalla disposizione di cui all’art. 366 c.p.p., comma 1, in relazione al deposito dei verbali degli atti di indagine compiuti, espressamente richiamata dall’art. 4, comma 8, D.Lgs. cit Ciò appare in linea con il principio fissato dalla direttiva Europea all’art. 14, comma 3 secondo cui entro i limiti imposti dalla riservatezza dell’attività indagine, l’autorità di emissione e l’autorità di esecuzione adottano le misure adeguate per far sì che siano fornite informazioni disponibili in merito alle possibilità di impugnazione ai sensi del diritto nazionale, ove applicabili e in tempo utile per il loro impiego. Va anche precisato che la disposizione dell’art. 4, comma 4 non prevede che il decreto di riconoscimento debba essere comunicato al difensore della persona indagata indefettibilmente, ma unicamente nei casi in cui dalla legge processuale italiana è previsto l’avviso al difensore del compimento dell’atto nei termini stabiliti per l’avviso stesso. Ne deriva, pertanto, che nessuna comunicazione è dovuta allorché si tratti di atti di indagine che non richiedano la partecipazione dell’indagato o che per esigenze di segretezza, proprie della fase delle indagini, non prevedano neppure per la legge italiana l’avviso del loro compimento alla persona indagata o al suo difensore. Quando poi si tratti di atti di indagine per il cui compimento sia previsto il diritto del difensore di essere previamente avvisato o solo quello di assistere senza avviso preventivo, la norma dispone che il decreto di riconoscimento sia comunicato entro il termine stabilito ai fini dell’avviso per il compimento dell’atto o, per la seconda ipotesi riferita ai c.d. atti a sorpresa, al momento in cui l’atto è compiuto o immediatamente dopo , come nella fattispecie di compimento di atti di perquisizione e sequestro, in ossequio a quanto previsto dall’art. 356 c.p.p. in tema di assistenza del difensore per tali incombenti processuali. Con la richiamata decisione Sez. 6, n. 8320/19 cit. questa Corte di legittimità ha, inoltre, affermato il principio che il provvedimento di riconoscimento dell’OIE non può essere incorporato nell’atto di perquisizione, trattandosi di atto distinto avente effetti giuridici propri, che deve essere, quindi, emesso con decreto motivato quanto alla verifica dell’insussistenza delle condizioni ostative al riconoscimento ed alla conseguente sua esecuzione dell’ordine art. 1, comma 1, D.Lgs. cit. , questione peraltro irrilevante nella fattispecie di rituale emissione di autonomo decreto da parte del P.M. Ciò comporta che sebbene il difensore possa avere preso effettiva conoscenza dell’intervenuto riconoscimento al momento del compimento degli atti di indagine, tuttavia, a fronte del tenore letterale della norma entro cinque giorni dalla comunicazione di cui all’art. 4, comma 4, la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore possono proporre, contro il decreto di riconoscimento, opposizione al giudice per le indagini preliminari vedi art. 13, comma 1, cit. , il termine per la presentazione dell’opposizione decorre sempre e comunque dalla comunicazione dell’atto da parte della segreteria del pubblico ministero. 2. Assodato che nel caso in esame non v’è stata omissione della comunicazione prevista dall’art. 4, comma 4, si tratta di ora stabilire se anche il mero ritardo nella comunicazione possa giustificare l’annullamento del decreto di riconoscimento e per l’effetto invalidare gli atti di indagine compiuti in esecuzione dell’ordine di indagine Europeo. Il GIP del Tribunale di Napoli, dopo aver ripercorso modalità e forme della procedura passiva di riconoscimento dell’OIE, per la parte che qui rileva, ha affermato testualmente che l’obbligo di tempestiva comunicazione è finalizzato ad impedire, a fronte della illegittimità dell’atto, che la procedura di esecuzione giunga a suo naturale compimento e che i relativi atti vengano trasmessi all’autorità richiedente . Ha poi aggiunto, a ulteriore supporto del proprio assunto, che estendere la nozione di tempestività della comunicazione ad un’epoca successiva al completamento della procedura, con la conseguente trasmissione degli atti all’autorità richiedente, si risolverebbe in un definitivo pregiudizio del diritto di difesa, non potendo più il soggetto interessato conseguire alcun effetto utile dall’eventuale accoglimento dell’opposizione . L’erroneità di tali argomenti, evidenziata già dal PM ricorrente, trova una prima eclatante dimostrazione nello stesso dispiegarsi della vicenda processuale che ha dato origine al presente ricorso, in quanto la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento dell’OIE non ha in alcun modo impedito all’indagato o al suo difensore di proporre impugnazione davanti al GIP ai sensi e nei modi previsti dal citato articolo di legge. In particolare, tenuto conto dei tempi di esecuzione degli atti di indagine oggetto dell’OIE perquisizione e sequestri eseguiti in data 28/10/2019 e considerato che in data 12/11/2019 è stata data comunicazione al difensore del decreto di riconoscimento, nessuna lesione dei diritti della difesa, pur se intesi nel senso propugnato nel provvedimento impugnato, si è verificata per effetto della tardiva comunicazione, tenuto conto che l’esecuzione dell’OIE era ancora in corso al momento della decorrenza del termine per la presentazione dell’impugnazione ex art. 13, comma 1, non essendo stato ancora disposto il trasferimento delle prove ai sensi dell’art. 12 D.Lgs. cit. da parte del Procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di emissione Procura del Re di Rotterdam . Alla già evidente contraddittorietà riguardo al precluso esercizio di un mezzo di impugnazione denunciato proprio attraverso la proposizione di quello stesso mezzo asseritamente impedito, si aggiunge l’ulteriore contraddittorietà dell’affermazione secondo cui la sua finalità sarebbe di impedire l’esecuzione di un ordine di indagine Europeo in ipotesi illegittimo, sebbene nessuna censura fosse stata neppure articolata in sede di impugnazione ex art. 13 cit. sugli aspetti afferenti la legittimità del riconoscimento in relazione ai motivi di rifiuto indicati all’art. 10 dello stesso decreto. È necessario, infatti, indicare con chiarezza la finalità del mezzo di impugnazione previsto dall’art. 13 cit., interpretato alla stregua delle chiare disposizioni della fonte normativa Europea, cui la normativa nazionale ha inteso dare recepimento con il citato D.Lgs. n. 108 del 2017, anche alla luce di quanto stabilito da questa Corte di legittimità in altra decisione intervenuta sule tema Sez. 6, sent. n. 11491 del 14/02/2019, Bonanno, Rv.275291 . È vero, infatti, che l’art. 13 cit., il quale individua il mezzo di impugnazione dell’opposizione proponibile avverso il decreto di riconoscimento emesso dal Pubblico Ministero, non precisa nè specifica l’ambito di cognizione del giudice adito, limitandosi a regolare le forme e gli effetti della decisione rimessa al Giudice delle indagini preliminari, ma ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che il potere di controllo del GIP in sede di opposizione non possa essere diverso da quello attribuitogli in sede di decisione ai fini dell’esecuzione dell’OIE avente ad oggetto il compimento di atti che non possono essere compiuti dal pubblico ministero ma che secondo la legge italiana presuppongono l’intervento del giudice. Il D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 5 nel disciplinare i poteri di controllo del giudice quando l’atto di indagine richiesto rientri nella sua competenza, ne delimita la cognizione, ai fini dell’autorizzazione per la relativa esecuzione, espressamente ed unicamente al previo accertamento delle condizioni per il riconoscimento dell’ordine di indagine . A sua volta l’art. 13, comma 5, sempre con riferimento al caso in cui l’atto di indagine richiesto debba essere compiuto secondo la legge italiana dal giudice ai sensi dell’art. 5 , delimita l’ambito della cognizione ai soli profili relativi alla verifica della insussistenza di ragioni ostative al riconoscimento dell’ordine di indagine, stabilendo che il giudice, quando è richiesto dell’esecuzione, se ricorrono i motivi di rifiuto indicati dall’art. 10, dispone l’annullamento del decreto di riconoscimento emesso dal procuratore della Repubblica. Se questi sono i poteri di controllo del giudice previsti nella fase di decisione nei casi in cui ad esso competa di dare corso all’esecuzione dell’OIE, non vi è ragione di distinguere detti poteri di controllo rispetto al caso in cui il suo intervento sia sollecitato con l’opposizione proposta avverso il decreto di riconoscimento emesso dal P.M., per il caso, cioè, di atti di indagine rientranti nella competenza di quest’ultimo. Anche nel giudizio di opposizione l’unico sindacato consentito al giudice è, pertanto, quello relativo alla verifica della sussistenza dei motivi di rifiuto indicati nell’art. 10, oltre all’accertamento delle condizioni per il riconoscimento dell’ordine di indagine alla stregua degli altri criteri di valutazione desumibili dagli artt. 7 e 9, D.Lgs. cit In ultima analisi, rientra nel sindacato del GIP soltanto la verifica dell’insussistenza dei motivi di rifiuto afferenti alla tutela dei diritti fondamentali dell’indagato, che potrebbero in ipotesi venire lesi in maniera diretta dal riconoscimento ed esecuzione dell’atto emesso dall’Autorità Giudiziaria di uno Stato membro dell’UE. Tale delimitazione dell’ambito dei poteri del giudice appare del resto in linea con l’art. 14 della direttiva 41/2014/UE del 3 aprile 2014 in tema di ordine Europeo di indagine penale, cui il D.Lgs. n. 108 del 2017 ha dato recepimento, il quale espressamente prevede che le ragioni di merito possono essere impugnate soltanto mediante un’azione introdotta nello Stato di emissione, fatte salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione . Al mezzo di impugnazione previsto nello Stato di esecuzione è demandata, quindi, essenzialmente la finalità di impedire che l’esecuzione dell’OIE possa pregiudicare quei diritti che l’Unione Europea ha posto a fondamento della creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia sulla base della fiducia reciproca e della presunzione di conformità, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell’Unione e in particolare ai diritti fondamentali. Come si legge, infatti, nel preambolo della fonte normativa Europea punto 19 , l’esecuzione dell’OIE deve essere rifiutata solo se sussistono seri motivi per ritenere che l’esecuzione dell’atto di indagine richiesto comporti la violazione dei diritti fondamentali dell’indagato e che lo Stato di esecuzione possa venir meno ai suoi obblighi di protezione in contrasto con la Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea. In tale prospettiva il sistema di tutela nello Stato di esecuzione, per come recepito nell’ordinamento nazionale, non può mai invadere l’ambito del sindacato concernente il merito degli atti compiuti, spettante esclusivamente alla giurisdizione dello Stato di emissione, nè può ritenersi esteso alla verifica di eventuali vizi formali e procedurali che attengono alle modalità con cui è stato dato riconoscimento all’OIE dalla competente autorità giudiziaria, a meno che quei vizi procedurali non abbiano inciso in modo determinante sulla difesa dei diritti fondamentali, alla cui salvaguardia lo Stato di esecuzione è tenuto. A questo riguardo il parametro utile a graduare le sanzioni processuali al fine di assicurare la conformità della procedura di riconoscimento dell’OIE alla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona può essere individuato dal raffronto con la tutela che nel nostro ordinamento processuale è prevista per alcune patologie da cui possono essere affette determinati atti processuali, tutela che viene modulata nei suoi effetti a seconda della gravità della violazione commessa. Ma prima ancora di procedere a tale verifica, si deve sottolineare e considerare la peculiarità di una tutela giudiziaria realizzata su due diversi piani, l’uno attinente al merito ed alla legittimità del singolo atto di indagine e l’altro alla verifica della compatibilità dell’atto medesimo con la tutela dei fondamentali diritti dell’individuo, attraverso la predisposizione dei mezzi di impugnazione previsti nei due distinti ordinamenti, quello dello Stato di esecuzione e quello dello Stato di emissione. La previsione di una tutela differenziata si riflette nella necessaria complementarità delle due forme e rende ragione dell’utilità del ricorso al mezzo di impugnazione previsto dall’art. 13 cit. anche nel caso in cui l’esecuzione dell’ordine di indagine si sia già perfezionata con la trasmissione delle prove all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. cit Nell’art. 14 della direttiva Europea è, infatti, stabilito espressamente che lo Stato di emissione tiene conto del fatto che il riconoscimento o l’esecuzione di un OIE sono stati impugnati con successo, conformemente al proprio diritto nazionale . Risalta, quindi, con evidenza l’infondatezza dell’affermazione secondo cui l’esperimento del mezzo di impugnazione previsto dall’art. 13 cit. dovrebbe ritenersi inutile nel caso in cui il pubblico ministero procedente abbia provveduto a trasmettere gli atti relativi all’esecuzione dell’ordine di indagine prima della definizione del giudizio di opposizione. Contrariamente, infatti, a quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata, l’accoglimento dell’opposizione con il conseguente annullamento del decreto di riconoscimento integrano un titolo che lungi dal rivelarsi inutile, consente di invalidare gli atti di indagine eventualmente compiuti e che per quanto già trasmessi allo Stato di emissione, possono essere impugnati con i mezzi previsti dal relativo ordinamento, analogamente a quanto previsto dall’art. 28, cit. D.Lgs. per la procedura attiva di emissione, che riferendosi specificamente all’ordine di indagine avente ad oggetto il sequestro ai fini di prova, prevede che la persona sottoposta alle indagini o l’imputato, il suo difensore, persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati e quella che avrebbe diritto la loro restituzione, possono proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 324 c.p.p. e che si applicano altresì le previsioni di cui agli artt. 322-bis e 325 c.p.p. . Nè vale obiettare che attraverso la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento verrebbe pregiudicato irrimediabilmente il diritto di proprietà o di altra natura vantato sul bene colpito dal provvedimento di sequestro, atteso che, come già osservato, la tutela riservata allo Stato di esecuzione non deve essere confusa con quella assicurata nello Stato di emissione attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione previsti per tutti gli altri procedimenti. Si deve, inoltre, osservare che nel nostro sistema processuale la tutela della persona indagata durante la fase delle indagini preliminari non prevede affatto il diritto di impedire il compimento dell’atto di indagine, sia esso una perquisizione o un sequestro, ma soltanto di opporvisi attraverso la successiva richiesta di annullamento e di dissequestro nelle forme previste dagli artt. 257 e 324 c.p.p Analogamente, pertanto, si deve ritenere che ove il sequestro sia disposto dal pubblico ministero in esecuzione di un OIE, la tutela prevista dall’art. 13 D.Lgs. cit. non possa essere mai finalizzata ad impedire il compimento dell’atto, ma unicamente a verificarne la validità e a determinarne l’inefficacia attraverso l’eventuale annullamento del decreto di riconoscimento. Si deve poi ricordare che l’impugnazione in esame non ha effetto sospensivo, per l’evidente ragione che non deve pregiudicare l’utilità e l’efficacia dell’atto di indagine e neppure è previsto dalla legge che la persona indagata abbia il potere di impedire il trasferimento della prova ai sensi dell’art. 12 cit. all’autorità giudiziaria dello Stato di emissione. Per quanto possa apparire peculiare, infatti, il D.Lgs. n. 108 del 2017 attribuisce proprio al Procuratore della Repubblica il compito di salvaguardare in prima istanza i diritti fondamentali dell’indagato cbn. disp. artt. 1 e 4 D.Lgs. cit. ed è quindi a tale organo giudiziario che spetta il compito di vagliare preliminarmente se sussistono le condizioni per disporre il riconoscimento dell’OIE alla stregua delle condizioni fissate negli artt. 7 proporzionalità , 10 motivi di rifiuto e 11 deroghe alla doppia incriminazione , onde dare corso alla sua esecuzione, fatto sempre salvo, come sopra ricordato, l’intervento del GIP se l’atto di indagine ordinato rientri nella competenza del giudice. All’indagato è data la facoltà di proporre impugnazione ex art. 13 davanti al GIP, secondo due diverse procedure, quella ordinaria de piano comma 1 e quella partecipata ex art. 127 c.p.p., dante a sua volta luogo a provvedimento ricorribile per cassazione, quest’ultima prevista però solo nel caso di OIE avente ad oggetto il sequestro probatorio comma 7 . L’aspetto centrale del sistema di tutela nello Stato di esecuzione, ferma la preclusione del sindacato vertente sulle ragioni di merito sottese alla emissione dell’OIE come anzidetto deducibili solo dinanzi allo Stato di emissione ex art. 14, par. 2, direttiva cit. , consiste nel fatto che l’impugnazione non sospende mai l’esecutività dell’ordine, al quale il pubblico ministero è tenuto a dare esecuzione sempre e senza ritardo ex art. 12 ed anche in pendenza di impugnazione, salvo che non ravvisi l’opportunità di non trasmettere gli atti ritenendo che, in concreto, possa derivarne un grave e irreparabile danno all’indagato, all’imputato, ovvero alla persona comunque interessata dal suo compimento art. 13, comma 4, secondo inciso . Si tratta quindi di una valutazione rimessa alla competenza esclusiva del Procuratore della Repubblica, non sindacabile da parte della difesa, anche in pendenza di impugnazione. La normativa nazionale attribuisce, in definitiva, al Procuratore della Repubblica la gestione dei tempi di esecuzione e di trasmissione degli atti, senza neppure prevedere per effetto dell’impugnazione davanti al GIP, una sospensione dei termini ordinatori fissati dall’art. 4, commi 1 e 2 atteso che nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell’ordine o entro il diverso termine indicato dall’autorità di emissione e comunque non oltre sessanta giorni, il Procuratore deve provvedere al riconoscimento con decreto motivato ed entro i successivi novanta giorni procedere alla relativa esecuzione. Risalta, infatti, la doverosità dell’esecuzione in tempi ristretti, essendo il Pubblico Ministero tenuto a provvedervi anche nel più breve termine indicato dall’autorità di emissione quando sussistono ragioni di urgenza o di necessità art. 4, comma 3 . Al trasferimento delle prove assunte provvede ancora il Procuratore senza ritardo e comunque entro il termine fissato per l’esecuzione dell’OIE ex art. 1 commi 2 e 3, art. 12, comma 1 , costituendo tale adempimento l’ultima fase dell’esecuzione. Si tratta di termini che, sebbene ordinatori e per quanto implicanti di fatto anche la responsabilità dello Stato dell’esecuzione nell’adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva, non contemplano decadenze o nullità in caso di inosservanza. Si deve, pertanto, coerentemente ritenere che il non puntuale rispetto del termine previsto per la comunicazione all’indagato del decreto di riconoscimento non possa di per sé invalidare l’attività istruttoria svolta in esecuzione dell’OIE, ove preceduta dal motivato riconoscimento dell’assenza di cause ostative da parte del Procuratore distrettuale, atteso che l’efficacia del decreto di riconoscimento non è mai condizionata nella sua validità dalla comunicazione all’indagato, come correttamente osservato dal ricorrente che ne ha escluso il carattere di atto recettizio. Ad escludere la necessità della previa comunicazione alla persona indagata quale condizione di validità dell’attività istruttoria svolta in esecuzione dell’OIE è sufficiente evidenziare che per i c.d. atti a sorpresa sequestro, perquisizione mai detta comunicazione potrebbe avvenire prima del loro compimento. Ma ciò che emerge in modo incontrovertibile dal sistema di tutela assicurato nello Stato di esecuzione, è l’inesistenza di un diritto dell’indagato di sospendere e quindi impedire in via preventiva l’esecuzione dell’OIE. Nè, come anticipato, è sostenibile che il ritardo possa di per sé ledere i diritti di difesa della persona indagata nello Stato di esecuzione, perché anche ove la decisione sull’opposizione dovesse intervenire dopo che l’esecuzione ha già avuto corso, l’eventuale accoglimento avrebbe un seguito di tutela nello Stato di emissione, tenuto a considerare gli effetti della decisione di annullamento del riconoscimento dell’OIE con conseguente invalidità e inutilizzabilità dell’atto e diritto alla restituzione del bene all’avente diritto. La disposizione del D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 13, comma 6 secondo cui non si dà luogo all’esecuzione dell’ordine di indagine in caso di annullamento del decreto di riconoscimento non descrive ed esaurisce la finalità del mezzo di tutela e tanto meno configura un diritto per l’indagato, ma disciplina soltanto l’effetto dell’annullamento disposto dal GIP nell’eventualità in cui questo intervenga prima dell’esecuzione, ferma restando la sua persistente rilevanza anche quando esso arrivi ad esecuzione dell’OIE già perfezionatasi. In coerenza con le superiori premesse si deve, pertanto, concludere che la tardiva comunicazione del decreto di riconoscimento non può di per sé costituire causa di illegittimità di tale provvedimento, trattandosi di una violazione che attiene alla fase successiva alla emissione dell’atto, che non ne condiziona in alcun modo la legittimità. 3. Tornando alla fattispecie, il ritardo nella comunicazione non ha impedito al difensore di poter tempestivamente impugnare gli atti di perquisizione e sequestro a norma dell’art. 13 cit., proponendo opposizione davanti al GIP entro il termine di cinque giorni decorrente dalla comunicazione da parte della segreteria del pubblico ministero del decreto di riconoscimento dell’OIE. Nè è revocabile in dubbio che il ricorrente, attraverso la proposta opposizione, abbia avuto anche la possibilità di eccepire la presenza di eventuali ragioni ostative all’esecuzione degli atti richiesti, deducendo l’eventuale sussistenza di motivi di rifiuto al riconoscimento dell’OIE previsti dall’art. 10 del D.Lgs. cit Nell’atto di opposizione il suo difensore si è, invece, limitato a denunciare la violazione dell’art. 4, comma 4, D.Lgs. cit. adducendo di non avere neppure ricevuto la prevista comunicazione da parte della segreteria del pubblico ministero, circostanza come anzidetto da quest’ultimo smentita documentalmente. Non vi è dubbio, pertanto, che la persona indagata disponesse delle informazioni necessarie per esperire il mezzo di impugnazione in esame, avendo avuto notizia sia dell’origine Europea dell’attività di indagine, sia della autorità giudiziaria che aveva emesso l’ordine di indagine, oltre ad avere contezza della sommaria descrizione del fatto-reato attraverso i verbali degli atti di perquisizione e sequestro, del cui deposito risulta che il pubblico ministero abbia dato regolare avviso ai sensi dell’art. 366 c.p.p., comma 1. 4. Sotto altro profilo si osserva che la violazione della previsione che impone al Pubblico Ministero l’obbligo di provvedere alla comunicazione dell’OIE immediatamente dopo il compimento dell’atto di indagine, ove anche integrasse - in linea con il precedente di legittimità sopra citato Sez. 6 n. 8320 del 31/01/2019, Rv. 275732 - una causa di nullità di ordine generale ex art. 179 c.p.p., comma 1, lett. c , risulterebbe indeducibile ai sensi dell’art. 183 c.p.p., lett. b , secondo cui la nullità è sanata se la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato. A tale proposito vale, infatti, rilevare che ove la persona indagata avesse proposto opposizione ex art. 13 D.Lgs. cit. prima ancora dell’omessa comunicazione del decreto di riconoscimento dell’OIE - come pur infondatamente dedotto nell’atto di opposizione - avendone avuto informale conoscenza al momento del compimento dell’atto di indagine, l’ipotetica nullità conseguente all’omessa comunicazione del predetto atto sarebbe risultata sanata per effetto del suddetto comportamento concludente. Non è, infatti, consentito alla parte utilizzare un mezzo di impugnazione al solo fine di dedurre la violazione della norma che lo contempla, quando non ne risultino concretamente pregiudicati i diritti sostanziali che l’impugnazione stessa è volta a salvaguardare. Trattasi di conclusione assolutamente in linea con l’orientamento interpretativo formatosi ad es. in relazione all’analoga ipotesi di omesso avviso di deposito al difensore di un atto cui abbia diritto di assistere. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha da tempo, infatti, affermato il principio che la conseguente nullità non può essere dedotta, poiché sanata, quando la parte si avvalga proprio delle facoltà derivanti dall’atto omesso, essendo stata in tal modo conseguita la finalità cui l’avviso è destinato e cioè porre l’interessato in grado di svolgere ogni utile difesa Sez. 3, n. 1269 del 28/05/1993, De Colombi, Rv. 194584 in tema di rituale e tempestiva istanza di riesame avverso un provvedimento di sequestro . In linea con siffatto orientamento è anche la sentenza n. 20629 del 10/04/2008, Scalzo, Rv. 239989 con cui è stato affermato l’ulteriore principio che l’omesso avviso del deposito dei verbali degli atti compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria, ai quali il difensore abbia il diritto di assistere costituisce una mera irregolarità che non incide sulla validità e utilizzabilità dell’atto, ma rileva solo ai fini della decorrenza del termine entro il quale è consentito l’esercizio delle attività difensive fattispecie relativa a sequestro operato ai sensi dell’art. 354 c.p.p. . A maggior ragione, dunque, il principio così affermato vale in caso non di omissione ma di mero ritardo nella comunicazione dell’avviso. 5. Analogamente nel caso in esame l’inosservanza dell’obbligo di immediata comunicazione ha comportato unicamente il differimento del dies a quo di decorrenza del termine di cinque giorni di cui all’art. 13, comma 1, senza alcuna compromissione dell’effettività della tutela apprestata in favore dell’indagato. Ciò non comporta ovviamente che il Pubblico Ministero debba ritenersi autorizzato a ritardare la comunicazione prevista dall’art. 4, comma 4, D.Lgs. essendo indubbia la doverosità dell’immediata comunicazione subito dopo il compimento dell’atto di indagine nella specie sequestro probatorio , trattandosi di ritardo di fatto incidente sulla durata del vincolo reale, aggravando, per la persona che ne subisce gli effetti, il danno conseguente al riconoscimento di un ordine di indagine in ipotesi illegittimo. Occorre, tuttavia, riconoscere che l’eventuale violazione di quella disposizione non trova sanzione sul piano processuale, atteso che l’unico mezzo di impugnazione previsto nello Stato di esecuzione, ovvero l’opposizione ex art. 13 cit., presuppone necessariamente l’avvenuto adempimento dell’obbligo di comunicazione, facendo decorrere da tale atto il termine per impugnare. E così nei casi di più grave ritardo, ove tale adempimento seguisse l’avvenuto trasferimento della prova all’Autorità Giudiziaria di emissione, l’eventuale accoglimento dell’opposizione, oltre a quanto già detto sulla tutela prevista dello Stato di emissione, costituirebbe comunque per il Pubblico Ministero titolo di responsabilità sul piano disciplinare nonché civile per il danno eventualmente derivante dall’ingiustificato ritardo della comunicazione. D’altra parte è ovvio che la stessa esecuzione dell’ordine di indagine, anche se non preceduta dalla rituale comunicazione del decreto di riconoscimento emesso dal pubblico ministero, pone di fatto la persona sottoposta ad indagini nella condizione di venirne a conoscenza attraverso il compimento dell’atto di sequestro e dei conseguenti adempimenti ex art. 366 c.p.p., comma 1, e quindi nella condizione di proporre opposizione ex art. 13 cit. davanti al GIP anche al solo fine di ottenere per tale via la rituale comunicazione di tutte le informazioni necessarie, che gli sono dovute nei limiti compatibili con le esigenze di segretezza, al fine di potere nella stessa sede vagliare la sussistenza di eventuali motivi di rifiuto o di altre condizioni ostative al riconoscimento dell’OIE. Il contraddittorio che si instaura con il pubblico ministero ex art. 127 c.p.p., consente così di porre rimedio alla violazione formale, senza che la stessa possa, però, influire sull’esito del giudizio di opposizione, limitato in via esclusiva alla valutazione della sussistenza dei motivi di rifiuto dell’ordine di indagine. Deve conclusivamente escludersi che meri vizi formali afferenti la comunicazione possano comportare l’annullamento di un decreto di riconoscimento di un ordine di indagine Europeo in ipotesi legittimo sotto il profilo sostanziale, da cui il principio che l’opposizione prevista dall’art. 13 può essere esperita esclusivamente per dedurne i vizi genetici, che investano i diritti fondamentali della persona, attraverso la verifica della sussistenza delle condizioni che ne legittimano l’adozione ai sensi del D.Lgs. n. 108 del 2017, artt. 7, 9 e 10. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al GIP del Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.