Come procedere al sequestro preventivo di una somma di denaro non più fisicamente identificabile?

Con riferimento al sequestro nei reati tributari, quando il profitto di reato consista in una somma di denaro non più fisicamente identificabile, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro di valore corrispondente attribuibili all’indagato al momento della commissione o dell’accertamento del reato è sempre legittimo, senza la necessaria dimostrazione del nesso di derivazione dal reato.

Così si esprime la Suprema Corte nella sentenza n. 29830/20, depositata il 27 ottobre. Il Tribunale di Bergamo accoglieva l’istanza di riesame proposta dall’indagato, annullando il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP nei suoi confronti e disponendo la restituzione delle somme sequestrate. Il suddetto Tribunale, nelle vesti di Giudice cautelare, osservava infatti che il decreto era stato finalizzato alla confisca del profitto del reato di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74/2000, ma essendo stata la somma di denaro ritrovata e sequestrata in una cassetta di sicurezza aperta nel mese di agosto 2019, la provvista contenuta non poteva riferirsi ad attività illecita successiva, difettando dunque il requisito dell’ inerenza del bene sequestrato al reato di cui all’art. 2 citato. Avverso tale pronuncia, propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, denunciando la violazione dell’art. 321 c.p.p., non essendo richiesta la prova del nesso di derivazione diretta dal reato della somma oggetto di confisca ed essendo perciò rilevante solo che la disponibilità monetaria del percipiente risulti accresciuta di quella somma. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile , in quanto i motivi che ne sono oggetto non sono consentiti in sede di legittimità. Ciò posto, gli Ermellini rilevano che la decisione impugnata ha ritenuto che non sussistessero elementi oggettivi da cui desumere che la somma sequestrata fosse coinvolta con il commercio illecito di denaro derivante dall’emissione e dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e qualificabile, dunque, come profitto del reato. Tuttavia, il ricorrente non ha censurato tale profilo ma quello inerente al nesso di pertinenzialità del profitto accrescitivo, contestando presupposti di fatto, inammissibili in tale sede. In ogni caso, i Giudici di legittimità ritengono opportuno richiamare il principio in base al quale, qualora il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile , è sempre consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, non essendo necessaria la prova del nesso di derivazione del reato, delle stesse somme attribuibili all’indagato al momento della commissione del reato ovvero del suo accertamento. In tale contesto, si inserisce anche l’ipotesi in cui il denaro sia stato depositato in una cassetta di sicurezza, come nel caso di specie, aggiungendo che La medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerario che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato , perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 settembre – 27 ottobre 2020, n. 29830 Presidente Aceto – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Bergamo ha accolto l’istanza di riesame, ex art. 324 c.p.p., proposta da I.S. e, per l’effetto, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, disponendo la restituzione della somma di denaro di Euro 100.050,00 in favore di I.S. . 1.1. Il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice cautelare ha osservato che era stato emesso decreto di sequestro preventivo impeditivo finalizzato alla confisca del profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 unica ipotesi di incolpazione provvisoria da valutare essendo priva di qualsiasi descrizione la contestazione di violazione dell’art. 648 bis c.p. che la somma di denaro era stata rinvenuta e sequestrata all’interno di una cassetta di sicurezza aperta solo in data omissis , sicché la provvista contenuta non poteva essere riferita ad attività illecita successiva, integrante il reato di cui all’art. 2 cit., risultando solo n. 9 fatture ricomprese nell’arco temporale omissis , per una retrocessione dell’Iva pari a Euro 22.000, che, dunque, difettava il requisito della inerenza del bene sequestrato al reato per il quale si procede e della natura di profitto del reato. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, articolando un unico motivo di ricorso con il quale denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità. Sotto il primo profilo denuncia la violazione dell’art. 321 c.p.p. non essendo richiesta la prova del nesso di derivazione diretta dal reato della somma di denaro oggetto di confisca secondo i principi affermati dalla sentenza S.U. Lucci, per cui ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma. Dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo ovunque e presso chiunque custodito nell’interesse del reo, salvo che si abbia la prova che le somme non possano proprio derivare in alcun modo dal reato e neppure possano rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte. A tali principi non si sarebbe attenuto il tribunale cautelare secondo un ragionamento errato in diritto secondo cui il profitto del reato si sarebbe perfezionato solo con la presentazione della dichiarazione fiscale non considerando che il risparmio di spesa si sarebbe già incamerato durante tutto l’anno di imposta. Il denaro rinvenuto nella cassetta di sicurezza sarebbe profitto del reato che è pervenuto a consumazione in data omissis . Infine, vi sarebbe la prova che il suddetto denaro fosse di derivazione da titolo lecito. Sotto altro profilo l’ordinanza sarebbe illogicamente motivata in punto determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, risultando questa dall’annotazione di P.G. in data 7/11/2019 che l’ha quantifica da un minimo di Euro 96.940,18 ad un massimo di Euro 152.629,22. 3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, l’annullamento con rinvio. Considerato in diritto 4. Il ricorso del Pubblico Ministero è inammissibile per la proposizione di motivi non consentiti in questa sede tenuto conto del limite del sindacato di legittimità nei procedimenti penali avverso ai provvedimenti cautelari reali, che ai sensi dell’art. 325 c.p.p., circoscrive il ricorso per cassazione soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Al netto della deduzione del vizio di motivazione espressamente indicata nell’epigrafe del motivo, anche la deduzione di vizio di violazione di legge pone questione di vizio di motivazione non consentita in questa sede. Il ricorrente dopo avere ricordato i principi della nota sentenza S.U. Lucci, non si è direttamente confrontato con le ragioni della decisione del Tribunale. L’ordinanza impugnata, pur sintetica, ha ritenuto che non vi fossero elementi obiettivi dai quali desumere che la somma sequestrata, rinvenuta nella cassetta di sicurezza dello I. e ivi depositata in epoca precedente al commesso reato, fosse impinguata con il commercio illecito di denaro derivante dall’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, e fosse, dunque, qualificabile quale profitto del reato, requisito necessario per l’adozione della misura ablativa. La esclusa natura di profitto del reato è rimasta priva di censura da parte del ricorrente che pone la questione diversa del nesso di pertinenzialità del profitto accrescitivo secondo la sentenza S.U. Lucci. Il ricorrente non fa questione di erronea interpretazione, alla luce della sentenza Lucci, di principi di diritto, ma di contestazione dei presupposti di fatto, e dunque pone questioni di motivazione, sulla scorta dei quali l’ordinanza impugnata ha annullato il decreto di sequestro. Allo stesso modo, anche la censura sulla mancata determinazione del profitto del reato si risolve in un vizio di motivazione non consentito. Per completezza osserva il Collegio, che, con riferimento al sequestro nei reati tributari, sulla scorta dei principi della S.U. Lucci, è stato affermato che laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile, è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato, ivi compreso il deposito in cassetta di sicurezza, al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento. La medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerarlo che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, Torelli, Rv. 274859 - 01 Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, Rv. 274307 - 01 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Motivazione semplificata.