Per l’ammissione al gratuito patrocinio è necessario indicare anche il reddito percepito dalla figlia non più convivente?

I Giudici di legittimità precisano quando si consuma il reato oggetto dell’art. 95, d.P.R. n. 115/2002, con specifico riferimento all’elemento soggettivo del dolo, e chiariscono il concetto di convivenza”, il quale si prospetta anche quando sia cessata la coabitazione.

Questo l’oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 29611/20, depositata il 26 ottobre. La Corte d’Appello di L’Aquila confermava la sentenza del Giudice di prime cure che aveva condannato l’odierna ricorrente per il reato di cui all’art. 95, d.P.R. n. 115/2002, avendo ella omesso di dichiarare i redditi percepiti nell’anno 2011 dal suo nucleo famigliare in particolare, il reddito da lavoro dipendente percepito dalla figlia al momento della dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata al fine di ottenere l’ammissione al gratuito patrocinio . L’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando l’assenza dell’elemento soggettivo del dolo , in quanto la figlia aveva solamente mantenuto la residenza anagrafica presso la sua casa ma senza più convivere con lei. La Suprema Corte dichiara fondato il motivo di ricorso, osservando come la Corte di merito abbia omesso di motivare sul punto relativo alla carenza di prova circa la sussistenza della convivenza tra la ricorrente e la figlia, dunque in merito alla cumulabilità del reddito di quest’ultima, che solo formalmente aveva mantenuto la residenza presso la prima ma nella sostanza si era trasferita altrove. A tal proposito, gli Ermellini richiamano l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato ex art. 95 del d.P.R. citato si consuma mediante la presentazione falsa ovvero l’omissione di dichiarazioni o comunicazioni per l’attestazione di reddito necessarie ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio ovvero per il mantenimento dello stesso, con la consapevolezza e volontà della falsità , senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete . Tuttavia, prosegue la Corte, anche il dolo generico deve essere rigorosamente provato, escludendo il reato qualora risulti che il falso derivi da una mera leggerezza o da una negligenza dell’agente, in quanto l’ordinamento vigente non incrimina il falso documentale colposo. Ciò posto, i Giudici ribadiscono anche il concetto di convivenza , il quale viene ad esistere anche in assenza di coabitazione tra le parti, comprendendo tutti quei rapporti continuativi di affetto, di interessi, di comunanza di vita che portano ad un legame stabile tra due o più persone, persistente pur se la coabitazione tra loro è venuta a cessare per motivi non dipendenti dalla loro volontà . Non avendo, però, il Giudice di seconde cure argomentato né sulla coabitazione né sulla convivenza effettiva tra la ricorrente e la figlia ai fini della sussistenza del dolo, la Corte di Cassazione annulla la pronuncia impugnata e rinvia gli atti alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 – 26 ottobre 2020, n. 29611 Presidente Piccialli – Relatore Ferranti Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1.La Corte di Appello di L’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di L’Aquila che condannava S.R. alla pena complessiva di anni uno di reclusione ed Euro 400,00 Euro di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, perché con dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata il 22.10.2012, finalizzata ad ottenere l’ammissione al gratuito patrocinio, ometteva di dichiarare i redditi percepiti nell’anno 2011 dal suo nucleo familiare, per complessivi Euro 20.775,00, con particolare riferimento al reddito da lavoro dipendente della figlia G.V. . 2.La Corte territoriale motivava sulla base della accertata falsità della dichiarazione reddituale della S. per l’anno 2011, risultante dalle indagini della Guardia di Finanza, in quanto la figlia G.V. , a fronte di un reddito dichiarato pari a zero, aveva percepito un reddito da lavoro dipendente di Euro 14.227,00, comprensivo dell’indennità di fine rapporto, corrisposta dall’INPS. 3.Proponeva ricorso S.R. , a mezzo del difensore, deducendo i seguenti motivi 3.1 Con il primo motivo deduce violazione di legge stante l’assenza dell’elemento soggettivo del dolo in quanto la figlia non era convivente ma aveva solo mantenuto la residenza anagrafica presso la casa della madre S.R. l’imputata al momento della dichiarazione per l’ottenimento del beneficio era del tutto all’oscuro dei redditi percepiti dalla figlia proprio perché difettava la coabitazione. 3.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza di motivazione da parte della Corte territoriale con riferimento ai motivi aggiunti presentati con atto del 9.09.2019, con cui insisteva sulla circostanza già dedotta in sede di motivi di appello, relativa alla mancanza di prova, in relazione all’elemento soggettivo in quanto la S. abitava da sola nella casa familiare poiché la figlia G.V. aveva solo mantenuto la residenza anagrafica ma viveva altrove. 4. Il ricorso è fondato nei termini di cui appresso indicati. È pur vero che l’imputata nella dichiarazione sostitutiva di certificazione ha dichiarato solo il proprio reddito pari a 6.458,92 Euro, omettendo di indicare quello della figlia anagraficamente residente presso la propria abitazione ma è altrettanto chiaro ed evidente che la Corte territoriale ha omesso di motivare sul punto, dedotto nel primo dei motivi di appello e ribadito nei motivi aggiunti, relativo alla carenza di prova circa la sussistenza della convivenza e quindi alla cumulabilità del reddito della propria figlia che solo formalmente aveva mantenuto la residenza presso la madre ma si era recata a vivere altrove. È giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità che il fatto reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 si consuma con la presentazione falsa o la omissione delle dichiarazioni o delle comunicazioni per l’attestazione di reddito necessarie per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o per il mantenimento del beneficio, con la consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete ma anche il dolo generico deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso derivi da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo Sez. 3, n 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 26432801 Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 24826401 . Inoltre va ribadito che il concetto di convivenza non è necessariamente collegato alla coabitazione, ma comprende tutti quei rapporti continuativi di affetto, di interessi, di comunanza di vita che portano ad un legame stabile tra due o più persone, persistente pur se la coabitazione tra loro è venuta a cessare per motivi non dipendenti dalla loro volontà Sez. 4, n. 15715 del 20/03/2015 Ud. dep. 15/04/2015 Rv. 263153 - 01 . Nel caso di specie non si argomenta nulla nè sulla coabitazione nè sulla effettiva convivenza alla luce dello specifico motivo dedotto in appello, anche ai fini della sussistenza del dolo. 5.In conclusione va disposto l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio. 5.1.Rimane impregiudicata la questione della sussistenza della causa di estinzione per intervenuta prescrizione alla luce delle indicazioni che risulteranno dalla decisione delle Sezioni unite di questa Corte, cui è stata rimessa la questione interpretativa relativa al D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 3-bis, conv., con modif., con la L. n. 27 del 2020, che prevede che nei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e pervenuti alla cancelleria della Corte nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020 il decorso del termine di prescrizione è sospeso sino alla data dell’udienza fissata per la trattazione e, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2020 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia per nuovo giudizio. Motivazione semplificata.