Alloggio comunale occupato abusivamente: i pagamenti saltuari non possono regolarizzare la situazione

Condanna definitiva per una coppia, colpevole di avere preso possesso abusivamente di un appartamento di proprietà del Comune di Milano. Irrilevanti i pagamenti da loro effettuati a titolo di indennità. Privo di significato, infine, anche il fatto che l’ente abbia inviato loro regolari bollettini per il pagamento del canone di locazione.

I saltuari pagamenti effettuati all’ente proprietario dell’immobile non possono rendere meno grave, o addirittura non punibile, la condotta consistita nell’occupazione abusiva di una casa Cassazione, sentenza n. 29642/20, depositata il 26 ottobre . Scenario della vicenda è la città di Milano. Sotto processo un marito e una moglie, beccati ad occupare illegittimamente una casa di proprietà del Comune. Ricostruita la vicenda, i Giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza della coppia. Entrambi i coniugi sono ritenuti responsabili di occupazione abusiva e vengono sanzionati con 6 mesi di reclusione ciascuno . Inutile il richiamo difensivo ai versamenti effettuati dal marito all’ente proprietario dell’immobile. Proprio su questo dettaglio è centrato però il ricorso in Cassazione proposto dal difensore della coppia. In prima battuta, comunque, il legale sostiene che i suoi clienti hanno agito per esercitare il diritto all’abitazione , così evitando un possibile grave danno , e aggiunge che il marito ha provveduto al pagamento di somme di danaro a titolo di canone, o quantomeno di indennizzo, all’ente proprietario dell’immobile. E a questo proposito il legale pone in evidenza quello che a suo dire è un elemento rilevante a fronte dell’occupazione della casa il Comune di Milano ha emesso regolari bollette di pagamento a titolo di riscossione affitto” , e tale circostanza ha creato nel suo cliente, spiega, il convincimento che l’occupazione dell’immobile fosse stata ritenuta legittima . Tutti gli elementi a disposizione consentono, secondo il legale, di escludere l’ipotesi del dolo a carico dei suoi clienti. Dalla Cassazione ribattono però che va esclusa l’esimente dello stato di necessità . Soprattutto perché l’occupazione abusiva dell’immobile è stata posta in essere per far fronte alle esigenze abitative di un nucleo familiare che godeva di un reddito stabile con cui far fronte alle proprie necessità . Comunque, aggiungono i Giudici del Palazzaccio, l’illecita occupazione di un immobile può essere giustificata solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona , non potendosi legittimare – anche nelle ipotesi di difficoltà economica permanente – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia . Di conseguenza, se il pericolo di danno grave alla persona può ben consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dalla Costituzione , è tuttavia necessario per riconoscere lo stato di necessità che ricorrano per tutto il tempo dell’illecita occupazione , elementi fondamentali quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo . Ciò significa che va provato un pericolo attuale e non basta, invece, il richiamo alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa . Per quanto concerne, invece, l’ipotesi, fatta balenare dal difensore, di una presunta regolarizzazione del rapporto di locazione, desumibile dal versamento dell’indennità di occupazione , i Giudici della Cassazione condividono la valutazione compiuta in Appello, laddove si è osservato che i discontinui pagamenti effettuati non costituiscono prova dell’avvenuta regolarizzazione amministrativa del rapporto di fatto instaurato e non valgono a scriminare la condotta delittuosa . Di conseguenza, deve escludersi che l’unilaterale attività costituita dal versamento di un’indennità, ovvero il recepimento di una situazione di fatto da parte dell’ente proprietario, abbiano efficacia sanante di un delitto già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la sua destinazione a propria stabile dimora , concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 settembre – 26 ottobre 2020, n. 29642 Presidente Cervadoro – Relatore De Santis Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale in data 17/1/2017, dichiarava l'estinzione per maturata prescrizione del reato di danneggiamento aggravato ascritto ai prevenuti, riducendo nella misura di mesi sei di reclusione ciascuno la pena inflitta per il residuo addebito di occupazione abusiva di un immobile di proprietà del Comune di Milano. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore degli imputati, Avv. An. Ro., il quale con unico atto ha dedotto 2.1 la violazione dell'articolo 54 cod.pen., avendo la Corte d'appello escluso la ricorrenza dei presupposti dell'esimente senza considerare che nel concetto di danno grave alla persona debbono farsi rientrare anche quelle situazioni che attengono alla sfera dei diritti fondamentali, tra i quali deve essere ricompreso il diritto all'abitazione, e quelle che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto. La Corte di merito, inoltre, ha omesso di considerare che il Ma. ha provveduto al pagamento di somme di danaro a titolo di canone o quantomeno di indennizzo all'ente proprietario 2.2 la violazione e falsa applicazione dell'articolo 43 cod.pen. in quanto i giudici d'appello non hanno valutato che il Comune di Milano ha emesso nei confronti del Ma. bollette di pagamento a titolo di riscossione affitto, circostanza che ha creato nel prevenuto il convincimento che l'occupazione dell'immobile fosse stata ritenuta legittima, con conseguente esclusione del dolo. Quanto alla posizione della Po. la difesa assume che la stessa non ha partecipato né al danneggiamento né all'abusiva occupazione, limitandosi a seguire il marito. 3. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza delle censure proposte che reiterano rilievi già compiutamente scrutinati dalla Corte di merito e disattesi con il supporto di congrua motivazione. Ed, invero, quanto all'esimente dello stato di necessità la sentenza impugnata ha evidenziato che, alla stregua delle risultanze dibattimentali, l'occupazione abusiva dell'immobile era stata posta in essere per far fronte alle esigenze abitative del nucleo familiare, che pure godeva di un reddito stabile con il quale far fronte alle proprie necessità. La valutazione dei giudici d'appello è coerente con il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l'illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare anche nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015, Pg in proc. An. e altro, Rv. 264560 n. 9655 del 16/01/2015,Cannalire, Rv. 263296 . L'istituto di cui all'art 54 cod. pen. richiede, infatti, per la sua configurabilità, che nel momento in cui l'agente agisce contra ius , al fine di evitare un danno grave alla persona, il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio Sez. 2, n. 43078 del 25/09/2014, Centonze, Rv. 260475 . Pertanto, se il pericolo di danno grave alla persona può ben consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 Cost., è tuttavia necessario perché operi l'invocata scriminante che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della stessa, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa Sez. 2, n. 10694 del 30/10/2019 dep. 2020, PG e/ Tortorici, Rv. 278520 . 3.1 Né hanno pregio le censure difensive relative alla pretesa regolarizzazione del rapporto di locazione, desumibile dal versamento dell'indennità di occupazione. La Corte territoriale ha esattamente rilevato che i discontinui pagamenti effettuati non costituiscono prova dell'avvenuta regolarizzazione amministrativa del rapporto di fatto instaurato e non valgono a scriminare la condotta delittuosa. Infatti, deve escludersi che l'unilaterale attività costituita dal versamento di un'indennità ovvero il recepimento di una situazione di fatto da parte dell'ente proprietario abbiano efficacia sanante di un delitto già perfezionato con l'abusiva introduzione nell'immobile e la destinazione del medesimo a propria stabile dimora. La circostanza segnalata, dunque, non ha portata scriminante ed è insuscettibile di incidere sulla configurabilità del delitto ex articolo 633 cod.pen. e sulla responsabilità dell'agente nel senso dell'irrilevanza di eventuali, sopravvenute regolarizzazioni amministrative, Sez. 2, n. 269 del 30/04/1986 dep. 1987, Bo., Rv. 174813 . Da tanto consegue la manifesta infondatezza dei rilievi in punto di dolo. 4. Quanto alla posizione della Po., la generica doglianza svolta in punto di concorso è preclusa in conseguenza della mancata devoluzione in appello, avendo in quella sede la difesa pag. 4 atto d'appello contestato esclusivamente la responsabilità per il delitto di danneggiamento aggravato e s'appalesa, comunque, destituita di giuridico fondamento alla luce della consapevole condivisione della condotta d'occupazione abusiva protrattasi fino alla sentenza di primo grado. 5. Alla luce delle considerazioni svolte i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili con condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d'esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.