Violenza sessuale: navigare online dopo il fatto non influisce sulla credibilità della persona offesa

Cinque anni di carcere per l’uomo. Respinte le obiezioni proposte dal suo difensore e mirate a mettere in discussione la attendibilità della moglie. Irrilevante anche il fatto che egli sia stato assolto dall’accusa di maltrattamenti.

Confermata la condanna per l’imputato. Irrilevante il fatto che la moglie abbia navigato online e visitato alcune pagine su Facebook dopo la violenza sessuale Cassazione, sentenza n. 29325/20, sez. III Penale, depositata oggi . Ricostruito, grazie alle dichiarazioni della persona offesa, l’episodio. Il coniuge viene ritenuto colpevole di violenza sessuale e condannato a cinque anni e dieci giorni di reclusione. Nessun dubbio, sia in primo che in secondo grado, sulla attendibilità della vittima , che ha raccontato non solo della violenza sessuale all’interno delle mura domestiche ma anche delle lesioni personali subite il giorno precedente. E la valutazione compiuta nello specifico in Appello è condivisa in toto dalla Cassazione. Respinto difatti il ricorso proposto dal legale dell’uomo sotto processo. In prima battuta i Giudici del Palazzaccio osservano che correttamente in secondo grado si è chiarito che la eventuale navigazione della vittima su internet, trattandosi di un post factum , nulla avrebbe aggiunto o escluso alla violenza sessuale subita poco prima dalla vittima per mano del marito, così come da costei dettagliatamente descritta nel corso della sua audizione . Inaccettabile, quindi, il richiamo difensivo a una presunta condizione di ‘serenità’ nella condotta tenuta dalla vittima successivamente all’episodio . Inutile anche il richiamo difensivo all’assoluzione ottenuta dall’uomo dall’accusa di maltrattamenti in famiglia . Su questo fronte viene condiviso il ragionamento compiuto dai giudici di merito, ragionamento centrato sulla constatazione che l’insussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato di maltrattamenti era motivata col fatto che le condotte vessatorie poste in essere nei confronti della vittima risultavano contenute nell’arco di una sola settimana, coincidente con la fase finale della relazione sentimentale cui la stessa donna aveva deciso di porre termine, di certo insufficiente a giustificare la reiterazione e l’abitualità delle condotte richieste dalla norma in contestazione . Tuttavia, viene precisato che la diversa percezione della personalità del compagno, vista improvvisamente dalla donna nei suoi aspetti più deteriori, derivava proprio dal venir meno dell’infatuazione iniziale e dalla conseguente estensione delle sensazioni negative da ultimo provate anche alla fase precedente del rapporto . In sostanza, l’assoluzione dell’uomo dal reato di maltrattamenti per l’insussistenza del fatto non è certo dipesa dalla circostanza che la persona offesa non fosse credibile , bensì dal rilievo che le condotte lamentate dalla donna nell’arco della convivenza coniugale difettassero del requisito dell’abitualità, né potessero, ad eccezione dell’ultima settimana, ritenersi vessatorie . Impossibile, di conseguenza, mettere in discussione l’attendibilità della donna.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 settembre – 22 ottobre 2020, numero 29325 Presidente Di Nicola – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 4.4.2019 la Corte di Appello di Venezia ha integralmente confermato la condanna resa all'esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Verona che ha condannato St. Go. alla pena di cinque anni e 10 giorni di reclusione con equivalenza delle attenuanti generiche con la contestata recidiva reiterata, ritenendolo responsabile dei reati di violenza sessuale in relazione ad un episodio occorso in data 2.11.2012 all'interno delle mura domestiche e lesioni personali poste in essere il giorno antecedente, entrambi ai danni della propria convivente. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando cinque motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.penumero 2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 603, nonché 234, 238, 189 e 190 cod. proc. penumero , la motivazione resa dalla Corte di Appello a fondamento del diniego della richiesta di rinnovazione istruttoria concernente la produzione delle pagine Facebook in cui la p.o. avrebbe navigato circa mezz'ora dopo la riferita violenza sessuale, l'audizione dell'avv. Bertolini per stabilire la provenienza di dette pagine e la denuncia a carico della p.o. per una pregressa rapina. Deduce che la testimonianza del citato legale, il quale aveva seguito la vittima nel procedimento civile relativo all'affido della figlia minore nata dal legame tra costei e l'imputato e che aveva personalmente effettuato lo screenshot delle suddette pagine Facebook ivi prodotto, non era affatto generica, così come affermato dalla Corte lagunare in quanto volta ad accertare la provenienza dello scritto e che comunque l'avv. Bertolini non faceva affatto parte del collegio difensivo del presente procedimento, con tale locuzione essendosi fatto solo riferimento da parte del difensore del Go. alla circostanza che questi avesse assistito l'imputato nel giudizio civile contro la compagna. Quanto alla prova documentale osserva che il relativo diritto risulta escluso solo per le prove vietate dalla legge, superflue o irrilevanti, ambito nel quale non rientravano le pagine Facebook già acquisite nel procedimento civile e in quella sede oggetto di contraddittorio fra le parti deduce che in ogni caso la sua utilizzabilità doveva ritenersi ampiamente consentita trattandosi di documenti provenienti dall'imputato alla luce della pronuncia numero 8736 del 16.1.2018 di questa Corte secondo cui la copia delle schermate di un sito internet erano utilizzabili ed attendibili a fini probatori. Sostiene che, conseguentemente, il giudice di appello avesse l'obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento in presenza di una palese pregressa violazione del diritto alla prova spettante all'imputato. Con riferimento, infine, alla precedente denuncia per rapina deduce che trattavasi di prova idonea ad accertare la credibilità della vittima, risultando da essa una condotta della p.o. del tutto incompatibile con la tesi da costei sostenuta nel presente giudizio, secondo la quale, su suggerimento del difensore di allora, che aveva accusato di patrocinio infedele aggravato, si era addossata tutta la responsabilità della rapina, quantunque fosse ad essa estranea solo l'acquisizione della suddetta denuncia avrebbe perciò consentito di appurare la veridicità o meno di tali dichiarazioni personali. 2.2. Con il secondo motivo contesta, invocando il vizio motivazionale, l'attendibilità della p.o. alla luce delle plurime contraddizioni in cui era incorsa in relazione ad asseriti episodi di maltrattamenti a sua detta particolarmente gravi, che invece la stessa Corte di Appello aveva ritenuto non sussistenti, essendosi limitata a ritenerla credibile sulla sola vicenda afferente la violenza sessuale, senza in ogni caso spiegare le ragioni per le quali potesse essere attendibile in termini frazionati. 2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di omessa motivazione in relazione all'attendibilità della vittima con specifico riferimento alle contraddittorie dichiarazioni rese da costei sull'affido della bambina che mai avrebbe lasciato all'imputato, smentite, invece dagli sms scambiati con costui nel mese di novembre 2012, ovverosia successivamente ai fatti incriminati da cui risulta, come rilevato anche dal giudice civile, che aveva lasciato, senza alcun timore, la figlia presso il compagno, nonché sul fatto che nel periodo dei fatti contestati la minore dormisse con la madre e sulla circostanza che non gli fosse stato consentito dall'uomo di avere l'accesso ad internet, contraddetto dal contenuto delle conversazioni intercorse con il compagno registrate dalla stessa p.o Lamenta altresì il travisamento del termine violentare utilizzato dal prevenuto come sinonimo di picchiare , atteso il riferimento ai fatti del 1. novembre relativi alle contestate lesioni derivate dalla condotta manesca dell'uomo nei confronti della compagna, senza alcun collegamento con la violenza sessuale collocata temporalmente il successivo 2 novembre. Evidenzia, ancora, le incongruenze della condotta della donna che si era fatta medicare solo svariati giorni dopo le lesioni, che aveva fatto ritorno nella abitazione familiare dopo i fatti incriminati, abbandonandola definitivamente solo il 7 novembre, che nulla aveva confidato di ciò alla sua migliore amica e che aveva denunciato a singhiozzo le asserite condotte criminose del convivente, inizialmente circoscrivendole soltanto alle lesioni ed ai maltrattamenti e solo successivamente estese al rapporto sessuale estortole con la minaccia di un coltello. Censura come illogica la motivazione resa sul punto dalla Corte di Appello che aveva attribuito alle spiegazioni dell'avvocato, cui si era rivolta, la comprensione da parte della p.o. del disvalore dell'episodio sessuale di cui era stata vittima e la conseguente successiva denuncia di tale reato, sostenendo che invece è solo la percezione del soggetto passivo a configurare il delitto di violenza sessuale, non necessitando la minaccia mediante l'utilizzo di un'arma, ove fosse stata reale, di alcuna spiegazione da parte di un legale. 2.4. Con il quarto motivo deduce la contraddittorietà della motivazione resa in ordine al diniego dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 609 bis ultimo comma cod. penumero , fondata sull'utilizzo del coltello con cui l'imputato avrebbe minacciato la vittima, la cui gravità è intrinsecamente esclusa dalla circostanza che siano state necessarie le spiegazioni di un legale per chiarirne la portata, oltre al fatto che la donna sia rimasta in casa dopo la subita violenza lasciando all'imputato anche successivamente la figlia elementi questi che escludono la gravità del grado di coartazione della vittima così come della compressione della sua libertà sessuale e del danno arrecatole. 2.5. Con il quinto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 69 e 133 cod. penumero , il diniego della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti fondato sul comportamento violento dell'imputato e sul suo certificato penale senza considerare che invece non si era macchiato di precedenti specifici, riguardando le condanne da costui riportate soltanto delitti contro la P.A o in materia di stupefacenti. Considerato in diritto 1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile alla luce della sua genericità. Al di là della dichiarazione resa dalla stessa difesa dell'imputato di per sé priva di margini di ambiguità ed insuscettibile di interpretazioni divergenti atteso che l'essere il legale di cui è stata richiesta l'escussione parte del collegio difensivo non può che essere riferita al processo in corso, va in ogni caso rilevato che le doglianze articolate con il presente ricorso tralasciano integralmente il dirimente rilievo svolto dalla Corte distrettuale in ordine all'irrilevanza della prova richiesta. Va al riguardo rilevato che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce, per consolidato indirizzo ermeneutico, un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l'indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del Giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti per tutte, Sez. U, numero 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974 e Sez. U, numero 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820 . Siffatta impossibilità può sussistere solo quando i dati probatori siano incerti ed in tal senso l'incombente richiesto deve, per superare il vaglio di ammissibilità, rivestire valenza decisiva o perché idoneo a superare tale incertezza o perché volto a scardinare l'impianto probatorio già acquisito. Avendo la Corte lagunare evidenziato, nel pronunciarsi espressamente sul punto, che la eventuale navigazione della vittima su internet, trattandosi di un post factum, nulla avrebbe aggiunto o escluso alla violenza sessuale subita poco prima dalla vittima per mano del marito, così come da costei dettagliatamente descritta nel corso della sua audizione, non potendo la condizione di serenità che, con allegazione meramente fattuale, viene utilizzata dalla difesa per descrivere la condotta tenuta dalla vittima successivamente all'episodio criminoso, la doglianza in esame, attesa l'indeterminatezza del suo contenuto, non può trovare ingresso innanzi a questa Corte. Deve invero essere chiarito che il rigetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale in tanto può costituire oggetto di censura innanzi nel giudizio di legittimità in quanto la motivazione della sentenza evidenzi lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate con l'assunzione o la riassunzione di determinate prove in appello il giudizio di questa Corte al riguardo non concerne la concreta rilevanza dell'atto istruttorio da espletare, ma soltanto la congruenza e non illogicità del ragionamento. E certamente non può sostenersi, sulla base della coerente motivazione fornita dalla Corte territoriale in merito alla pregnanza probatoria delle dichiarazioni rese dalla vittima, che, sul punto, il supporto giustificativo sia carente. Viene invero sottolineato a fondamento della ritenuta attendibilità della donna, come costei, oltre alla linearità e fermezza del suo racconto, non avesse alcun retrostante interesse a rivolgere accuse così dettagliate nei confronti del convivente tenuto conto che l'episodio oggetto di contestazione nel presente procedimento non era stato neppure utilizzato nel parallelo giudizio civile incardinato per l'affido esclusivo della figlia minore e che, in ogni caso, inequivoco riscontro della sua veridicità fossero le dichiarazioni di natura confessoria rese dallo stesso imputato che aveva espressamente confermato, nel corso di una conversazione registrata dalla vittima, di averla violentata . Neanche per quanto concerne la denuncia per rapina, di cui non è stata consentita dalla Corte veneziana la produzione, viene affrontato dalla difesa il tema della rilevanza della prova al di là delle censure del tutto generiche sull'ascrivibilità del crimine alla p.o., nulla viene dedotto dal ricorrente sulla relazione tra i crimini in contestazione e la suddetta rapina, risalente a numerosi anni addietro, di cui la ragazza non aveva neanche nel presente processo taciuto la sua correità sia pure a titolo di concorrente. 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Al di là del rilievo che la contestazione sulla diversa valutazione di quanto narrato dalla p.o. si traduce in una inammissibile doglianza involgente la sentenza di primo grado che aveva circoscritto la colpevolezza del prevenuto ai soli capi b e c dell'imputazione, in ogni caso la pronuncia di assoluzione dal reato di cui all'art. 572 cod. penumero , seppur contestuale alla condanna per gli altri capi di imputazione non comporta alcuna valutazione frazionata dell'attendibilità di costei così come insinua la difesa, bensì, secondo quanto evidenziato dai giudici di prime cure, nell'insussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato di maltrattamenti atteso che le condotte vessatorie poste in essere nei confronti della vittima risultavano contenute nell'arco di una sola settimana, coincidente con la fase finale della relazione sentimentale cui la stessa donna aveva deciso di porre termine, di certo insufficiente a giustificare la reiterazione e l'abitualità delle condotte richieste dalla norma in contestazione, precisandosi tuttavia che la diversa percezione della personalità del compagno, vista improvvisamente dalla donna nei suoi aspetti più deteriori, derivava proprio dal venir meno dell'infatuazione iniziale e dalla conseguente estensione delle sensazioni negative da ultimo provate anche alla fase precedente del rapporto. Dal momento che, quindi, l'assoluzione dell'imputato dal suddetto reato per l'insussistenza del fatto non è affatto dipesa dalla circostanza che la p.o. non fosse credibile, bensì dal rilievo che le condotte da costei lamentate nell'arco della convivenza coniugale, difettassero del requisito dell'abitualità, né potessero, ad eccezione dell'ultima settimana, ritenersi vessatorie, di nessuna censura è passibile la valutazione dell'attendibilità della vittima confermata dai giudici di appello che liquidano come mere imprecisioni i dettagli della sua deposizione che la difesa tenta di sottoporre all'attenzione di questa Corte, senza individuare alcun vulnus logico-argomentativo della sentenza impugnata, e perciò sollecitando un sindacato in merito, inammissibile in sede di legittimità. 3. Quanto alle condotte tenute successivamente dalla vittima, asseritamente incompatibili con la subita aggressione sessuale, le doglianze articolate con il terzo motivo, quali il numero di volte in cui la minore era stata lasciata a dormire dal padre o l'arco temporale di sette giorni intercorso tra gli episodi criminosi ed il definitivo abbandono da parte della vittima del tetto familiare, risultano generiche e comunque di chiara portata fattuale. Di natura esclusivamente valutativa, oltre che aspecifica, risulta la contestazione del termine violentare nell'accezione che, secondo la difesa, avrebbe utilizzato l'imputato, ovverosia quale sinonimo di picchiare , reiterando le medesime doglianze articolate con l'atto di appello puntuale ed ineccepibile sul piano della tenuta logica risulta la spiegazione fornita già della sentenza di primo grado in ordine all'univoco significato del verbo, in tali termini utilizzato anche dall'imputato alla luce dell'evidente ed inequivoco riferimento all'episodio del 2 novembre, giorno in cui si era consumata la violenza sessuale quale vendetta posta in essere nei confronti della compagna che aveva attivato il servizio di pronto intervento per le aggressioni fisiche ricevute, ed al tono minaccioso impiegato nel prospettarle una reiterazione della stessa condotta se la donna si fosse risolta a chiamar di nuovo i Carabinieri per fatti che il prevenuto stesso considerava nella sua etica minimali, quali i due ceffoni ed il calcio sferrati a costei il giorno prima. A fronte di tale dettagliata ricostruzione da parte dei giudici scaligeri, confermata dalla Corte lagunare, le censure difensive si limitano a prospettare una spiegazione alternativa della vicenda, analogamente a quanto già dedotto con l'atto di appello, senza riuscire ad individuare alcuna frattura logica o carenza argomentativa nelle quali possa compendiarsi il vizio motivazionale dedotto innanzi a questa Corte. Va al riguardo ribadito che l'illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile ai sensi dell'art. 606 lett. e cod. proc. penumero , può riferirsi esclusivamente alla mera correttezza dei discorso giustificativo della decisione, e non al suo contenuto valutativo, dovendo perciò essere unicamente riscontrata tra le diverse proposizioni contenute nella motivazione, ovverosia sulla congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo dello stesso provvedimento nel cui ambito resta relegato il controllo demandato a questa Corte, senza che, in ragione del circoscritto orizzonte cui è confinato il giudizio di legittimità, sia possibile procedere a una nuova o diversa valutazione delle risultanze sulle quali i giudici di merito hanno fondato il proprio convincimento, potendosi in questa sede solo stabilire se detti giudici abbiano fornito una corretta interpretazione di esse, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre cfr. Cass. Sez. 1 numero 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 e Cass. Sez. 1 numero 1507 del 17/12/1998, Rv. 212278 . 4. Inammissibile risulta altresì il quarto motivo, le cui censure risultano anch'esse di natura valutativa e comunque in aperto contrasto con l'univoca interpretazione giurisprudenziale in materia di attenuante di minore gravità, in relazione alla cui applicabilità deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, così come le sue caratteristiche psicologiche, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto Sez. 3, numero 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196 Sez. 3, numero 39445 del 01/07/2014 Rv. 260501 Sez. 3, numero 33479 del 5/07/2006, Rv. 234788 . Le modalità esecutive della condotta posta in essere con l'utilizzo di un'arma, di per sé configurante la specifica aggravante, seppur neutralizzata ai fini del trattamento sanzionatorio attraverso la dichiarazione di equivalenza con le attenuanti generiche, di cui all'art. 609 ter, primo comma lett. b cod. penumero e quindi in stridente contrasto con la eccepita minor gravità del fatto, e con la contestuale coartazione a fumare uno spinello così da alterare le condizioni di lucidità della vittima sono state coerentemente ritenute ostative al riconoscimento della diminuente invocata, integrando una condizione di marcata coartazione della donna e, al contempo, di condizionamento delle sue stesse capacità di reazione, entrambe pianificate dall'imputato per rimarcare il suo predominio sulla compagna, colpevole ai suoi occhi di averlo, con la richiesta di intervento dei Carabinieri, messo in discussione impedendogli di garantirsi, nell'obiettivo di relegare l'azione ritorsiva posta in essere nell'ambito delle mura domestiche, l'impunità. Non vale obiettare, travisando la portata dei rilievi svolti dai giudici di merito, che la p.o. sia stata indotta dal legale cui si era rivolta per ricevere assistenza a comprendere l'invasione da parte dell'agente della propria sfera sessuale, dalla stessa non colta nell'immediatezza del fatto, posto che quello che la Corte distrettuale ha inteso sottolineare non è affatto l'opera di persuasione da parte dell'avvocato, né tantomeno di chiarimenti in ordine al patimento subito sul piano fisico e psicologico dalla sua cliente, bensì l'evidenziazione della rilevanza penale della condotta ancorché consumata all'interno di una relazione para-coniugale. Le delucidazioni tecniche verosimilmente fornitele da costui non sono servite alla vittima per comprendere quanto accaduto, già chiaramente percepito tanto da averne fornito lei stessa un puntuale resoconto al professionista, bensì per acquisire consapevolezza del disvalore attribuito dall'ordinamento alla condotta del convivente posta in essere ai suoi danni e conseguentemente risolversi a sporgere una seconda denuncia nei suoi confronti in relazione alla violenza sessuale subita, denuncia che in ogni caso aveva scelto di non presentare a causa della presenza del padre allorquando si era recata per la prima volta presso gli uffici di polizia, stante il sentimento di pudore e di vergogna nei confronti del genitore che l'aveva allora assalita, secondo quanto chiarito dalla stessa p.o. nel corso della sua deposizione. 5. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche per il quinto motivo alla luce della genericità delle dispiegate censure in ordine al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti utilizzo di un coltello al fine di ottenere la prestazione sessuale e recidiva reiterata . Occorre al riguardo rilevare che secondo quanto già affermato da questa Corte, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee - per il carattere globale del giudizio che trova il suo fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa onde quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto - il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa Sez. 7, numero 11210 del 20/10/2017 - dep. 13/03/2018, Z, Rv. 272460 , ma in tal caso grava sull'interessato, pena l'inammissibilità del motivo per difetto di specificità, l'onere di contrastare specificamente la motivazione che abbia disatteso tali richieste. Onere questo che non può ritenersi adempiuto con la mera contestazione della mancanza di precedenti specifici a carico del reo posto che gli elementi che hanno portato la Corte veneziana a confermare il giudizio di equivalenza reso dal primo giudice, costituiti tanto dalla negativa personalità dell'imputato desunta dalle plurime condanne riportate sia pur per reati di natura diversa ma comunque idonei ad evidenziarne il temperamento trasgressivo, quanto dalla natura particolarmente violenta della condotta incriminata, non risultano affatto confutati, non valendo la sussistenza di precedenti penali non specifici ad escludere la valutazione negativa della persona del colpevole e dunque ad incidere sull'esercizio del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al giudice di merito. Dirimente peraltro è il rilievo svolto al riguardo dal Tribunale di Verona, secondo il quale considerato il carattere unitario del giudizio di bilanciamento tra le opposte circostanze che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa così da quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto Sez. 6, numero 6 del 26/11/2013 - dep. 02/01/2014, Acquafredda, Rv. 258457 , il divieto sancito dall'art. 69, terzo comma cod. penumero permane per le circostanze attenuanti generiche che non possono essere dichiarate prevalenti sulla recidiva reiterata. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 numero 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità a tale esito consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. penumero , l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.