Concessione scaduta? È illegittima l’occupazione del demanio

In tema di reati marittimi, e segnatamente della fattispecie incriminatrice di occupazione abusiva di spazio demaniale prevista e punita dagli articoli 54 e 1161 del Codice della Navigazione, essa si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l'esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell'istanza di rinnovo.

Lo ha confermato la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 29105/20, depositata il 21 ottobre. L’occupazione abusiva del demanio marittimo L’art. 55 del Codice della Navigazione stabilisce testualmente che l’esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio di terreni elevati dal mare è sottoposta all’autorizzazione del capo del compartimento. La medesima norma, al comma quinto, aggiunge che quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata nei primi due commi, l’autorità marittima provvede ai sensi dell’articolo precedente. Quest’ultimo, e cioè l’articolo 54, a sua volta recita che qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tale fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell’ordine, provvede d’ufficio, a spese dell’interessato. A tal proposito, deve escludersi qualsiasi possibilità di sdemanializzazione tacita del demanio marittimo, attuabile solo in forma espressa mediante uno specifico provvedimento di carattere costitutivo da parte dell'autorità amministrativa competente. In altri termini, l'occupazione dello spazio demaniale marittimo è arbitraria ogni volta in cui non sia legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il reato previsto dagli articoli 55 e 1161 del Codice della Navigazione, concernente l’esecuzione di opere intraprese nelle zone di rispetto del demanio marittimo senza l’autorizzazione del capo del compartimento, ha natura permanente tale permanenza, tuttavia, cessa al termine dell’esecuzione delle opere abusive. Ciò in quanto, nell’ipotesi dell’occupazione del demanio marittimo art. 54 del Codice della Navigazione il soggetto attivo invade in maniera permanente un bene di proprietà dello Stato mentre nell’ipotesi di costruzione nella zona di rispetto che è quella di cui alla sentenza in commento , il bene utilizzato per l’esecuzione dell’opera è normalmente di proprietà, dello stesso privato che l’ha effettuata, e quindi non si verifica alcun tipo di invasione di un immobile altrui. Quando tale bene consiste nella realizzazione di un manufatto abusivo non rimosso, la permanenza cessa solamente con il sequestro del manufatto medesimo, ancorché si tratti di edificio di risalente realizzazione. Seguendo una impostazione restrittiva, la Suprema Corte di Cassazione è giunta pure a ritenere integrato il reato in esame anche dalla esclusione o semplice limitazione dell'utilizzo del pubblico demanio. Quanto alla nozione di zona di rispetto”, si è ritenuto che questa sussista anche qualora la condotta abbia ad oggetto la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare e, comunque, non coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, nonchè quell'ulteriore porzione fra detta striscia e l'entroterra che venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare. Del pari, la Suprema Corte ha statuito che, in tema d'occupazione abusiva di spazi demaniali, pur non facendo parte il mare territoriale del demanio marittimo in quanto res communis omnium , è configurabile il reato di cui all'art. 1161 del Codice della Navigazione in caso d'uso privato di zone del mare territoriale in assenza di concessione demaniale. Va infatti considerato che il Regolamento d'esecuzione del codice della navigazione per la navigazione marittima art. 524, d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328 prevede che per l'occupazione e l'uso delle zone predette trovano applicazione le disposizioni stabilite per il demanio marittimo dal Codice della navigazione e dal relativo Regolamento d'esecuzione. l’elemento psicologico del reato La violazione in esame ha natura contravvenzionale pertanto, a norma dell’art. 42, ultimo comma, c.p., l’autore di essa risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria sia dolosa cioè secondo l’intenzione che colposa cioè contro l’intenzione . Peraltro, sempre in tema di tutela del demanio, si è ritenuto debba escludersi l'elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di spazio demaniale, quando la condotta dell'agente non sia conseguenza della ignoranza della legge penale, ma riveli una volontà contraria alla violazione di legge e l'agente abbia assolto all'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per uniformarvisi. e l’occupazione arbitraria. Va ricordato che la Suprema Corte ha più volte definito arbitraria art. 1161 c. nav. e, cioè, contra legem , l’occupazione del demanio marittimo, quando non sia legittimata da titolo concessorio, valido ed efficace, in precedenza rilasciato. L'atto formale di concessione non può essere surrogato da autorizzazioni verbali, eventualmente provenienti da organi della pubblica amministrazione, poiché la volontà di questa si manifesta validamente, in questa materia, con provvedimenti formali, in forza dei quali soltanto si instaura il rapporto di concessione. Tali principi trovano applicazione anche nel caso di cosiddetta proroga o di rinnovo della concessione, sicché la protrazione dell'occupazione di spazio marittimo, da parte del privato, in attesa dell'emanazione del nuovo provvedimento di concessione, è da considerarsi arbitraria , secondo la previsione dell'art. 1161 cod. nav., così come l'occupazione per la prima volta, senza che vi sia mai stato un atto di concessione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 settembre – 21 ottobre 2020, n. 29105 Presidente Di Nicola – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, in accoglimento della richiesta di riesame avanzata nell’interesse di L.T. , quale legale rappresentante della Arlecchino s.a.s., il Tribunale di Teramo, costituito ai sensi dell’art. 324 c.p.p., annullava il decreto emesso dal G.i.p. del Tribunale di Teramo, che aveva disposto il sequestro preventivo dello stabilimento balneare denominato Arlecchino , sito nel comune di omissis , ipotizzando il reato ex artt. 54, 1161 c.n. contestato al capo B dell’incolpazione provvisoria. 2. Avverso l’indicata ordinanza, il Pubblico ministero propone ricorso per Cassazione, affidato a un unico motivo, con cui deduce violazione di legge con riferimento ai reati di occupazione abusiva del suolo demaniale e di realizzazione di manufatti abusivi in zona sottoposta a vincolo ambientale, ricadente in area demaniale marittima. Dopo aver ricapitolato l’evoluzione normativa, interna e sovranazionale, in tema di rinnovo automatico delle concessioni demaniali, a partire dalla L. n. 88 del 2001, art. 10, comma 1, assume il ricorrente che il Tribunale cautelare avrebbe erroneamente configurato il rinnovo automatico come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio senza soluzione di continuità , omettendo di considerare che detto rinnovo presuppone il verificarsi di determinati requisiti, tra cui la regolare corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza e la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido. Aggiunge il ricorrente che la Regione Abruzzo, con Delib. G.R. 19 novembre 2007, n. 1119 ha approvato un modello di rinnovo per uniformare i procedimenti di rinnovo automatico, indicando, nel preambolo, il pagamento del canone e il versamento del deposito cauzionale dell’anno . Nel caso di specie, il comune di omissis ha riscontrato l’istanza di rinnovo della concessione avanzata nel dall’indagata con la nota di richiesta di pagamento canoni, a cui la L. diede riscontro solo nel , quando depositò le ricevute di pagamento eseguite nel , e quindi tardivamente, ciò che ha inibito la definizione del procedimento e, di conseguenza, l’emanazione di un titolo concessorio valido. Di conseguenza, il Comune nemmeno avrebbe dovuto intraprendere - come invece ipotizzato dal Tribunale cautelare - alcun procedimento amministrativo preordinato alla decadenza della concessione, che presuppone la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace, non riscontrabile nel caso in esame. Di nessun peso sarebbe poi la sentenza del T.A.R. Abruzzo n. 271 del 2018, la quale ha assunto, come presupposto ritenuto erroneo, che la concessione si fosse rinnovata nel , quando, invece, era scaduta. Conclude il ricorrente che, in assenza di un provvedimento mai formalmente rinnovatosi, sarebbe configurabile il reato ex art. 1161 c.n., illecito che ha natura permanente, con conseguente sussistenza del periculum in mora. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Al capo B dell’incolpazione provvisoria - reato per il quale è stato disposto il sequestro preventivo - si contesta alla L. di aver utilizzato e gestito uno stabilimento balneare su un’area balneare marittima, occupata in assenza del prescritto titolo concessorio, scaduto il omissis e mai rinnovato e/o prorogato dall’autorità competente, stante il mancato pagamento, da parte della concessionaria, dei canoni demaniali e dell’imposta regionale secondo l’assunto accusatorio, alla richiesta del comune di omissis di esibire la documentazione attestante l’avvenuto pagamento del canone concessorio per il periodo / , la L. solo in data omissis presentò alcune ricevute di pagamento, effettuate nel , dei canoni e dell’imposta regionale per il periodo - . 3. Il Tribunale cautelare ha escluso la sussistenza del requisito del fumus del reato di cui agli artt. 54, 1161 c.n. sul presupposto che il titolo concessorio, rilasciato alla società Arlecchino il omissis non fosse scaduto il omissis per effetto del rinnovo automatico disposto con gli interventi legislativi puntualmente indicati, nè ostandovi il mancato pagamento del canone, non essendovi prova degli adempimenti previsti dal codice della navigazione per la decadenza della società. Oltre a ciò, il Tribunale cautelare ha valorizzato quanto affermato dal T.A.R. Abruzzo nella sentenza n. 271 del 2018, in relazione all’opposizione del Comune alla domanda di prolungamento della durata della concessione richiesta proprio dalla società Arlecchino in data omissis ai sensi del D.L. n. 400 del 1993, art. 3, comma 4-bis, laddove il Tribunale amministrativo ha dato atto che detta società è titolare di concessione demaniale successivamente rinnovata sino al omissis . Di conseguenza, non potendosi ravvisare il reato di occupazione abusiva del suolo demaniale, non essendo la concessione scaduta, e considerando che gli interventi edilizi realizzati non hanno determinato un ampliamento dell’occupazione demaniale, essendo circoscritti nel perimetro di superficie di pertinenza del concessionario, ad avviso del Tribunale distrettuale il fatto integra il reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell’area demaniale, che, avendo natura istantanea, si è prescritto nel , data di ultimazione delle opere in parola. 4. Si tratta di una motivazione giuridicamente errata, che non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità a proposito della proroga automatica delle concessioni demaniali in forza della normativa interna, succedutasi nel tempo - ossia il D.L. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, che ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative dapprima al omissis e, successivamente, le modifiche apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al omissis -, alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE. 5. Ed invero, va ricordato che il D.L. n. 400 del 1993, art. 1, comma 2, abrogato dalla L. 15 dicembre 2011, n. 217, art. 11, comma 1, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee - Legge comunitaria 2010 stabiliva che Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l’art. 42 c.n., comma 2. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84 . L’abrogazione di quella disposizione, come espressamente chiarito dalla L. n. 217 del 2011, che vi provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. OMISSIS avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare-ricreativa. L’instaurazione della procedura d’infrazione e la successiva abrogazione della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione. 6. Come già rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 213 del 18 luglio 2011, chiamata a valutare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali in tema di proroga automatica di concessioni demaniali, il menzionato D.L. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, ha carattere transitorio in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato - Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37 c.n., comma 2. La finalità del legislatore è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni . 7. Successivamente il Tar Lombardia e il Tar Sardegna sottoponevano alla Corte di Giustizia Europea il quesito pregiudiziale della compatibilità del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18, con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, nonché con gli artt. 49, 56 e 106 TFUE. La Corte di Giustizia CGUE, sentenza 14 luglio 2016, pronunciata nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 , ha definito la questione esprimendo inequivocabilmente il principio secondo il quale le concessioni demaniali marittime non possono essere automaticamente rinnovate, perché ciò contrasta con il principio della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli artt. 49, 56 e 106 del TFUE. Inoltre, a parere della Corte, l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio stabilisce che il rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali deve necessariamente avvenire attraverso una gara pubblica che consenta a tutti gli operatori economici di inserirsi nel mercato. Da quanto precede risulta che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. Ed ancora, sulla base dell’art. 49 TFUE, la Corte precisa che, ove tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo, una proroga automatica ad un’impresa con sede in uno Stato le concessioni demaniali marittime all’indomani della sentenza della corte di giustizia Europea del 14 luglio 2016 costituisce una disparità di trattamento nei confronti delle altre imprese collocate in altri Stati ed interessate al settore. 8. Premessi questi principi generali, la Corte di giustizia sembra consentire alcune aperture , che di seguito sinteticamente si evidenziano A l’assegnazione di una concessione in assenza di trasparenza costituisce disparità di trattamento a danno di imprese che potrebbero essere interessate alla medesima concessione solo qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo B l’interesse transfrontaliero dovrà essere, appunto, certo, quindi verificato caso per caso sulla base di elementi quanto più possibile oggettivi. La Corte individua tali elementi in tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione , nonché della situazione geografica del bene e del valore economico di tale concessione C la disparità di trattamento potrebbe essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto e, in buona sostanza, il legittimo affidamento del concessionario uscente D anche in tal caso si rende necessaria una verifica caso per caso, potendosi giustificare la proroga ove determinata dalla necessità di consentire al concessionario di ammortizzare gli investimenti realizzati E l’applicabilità alle concessioni demaniali italiane della Direttiva Bolkenstein è demandata al giudice nazionale, il quale dovrà verificare se dette concessioni debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali F avendo attribuito detta facoltà di verifica al giudice, possiamo presumere che, anche sotto tale profilo, l’accertamento vada effettuato caso per caso e sulla base di criteri oggettivi, appuntati sul territorio ove insiste la concessione. 9. A seguito della predetta sentenza della CGUE, il legislatore è intervenuto con il D.L. 24 giugno 2016, n. 113, conv. con modd. in L. 7 agosto 2016, n. 160 recante Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio , che, in applicazione di quanto previsto dal precedente punto c della sentenza CGUE dianzi richiamata, ha previsto, all’art. 24, comma 3-septies, che Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione Europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base al D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25 . 10. Muovendo da tale assunto, sostiene il Tribunale cautelare che la normativa del 2016 avrebbe riconosciuto la validità ex lege dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base al D.L. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, che aveva prorogato fino al 31 dicembre la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative in essere al omissis , data di entrata in vigore del decreto, e in scadenza entro il omissis . Tale lettura, tuttavia, non appare persuasiva in quanto non è questo il significato che deve ad essa attribuirsi. Ed infatti, la legge del 2016 si è limitata a stabilire che conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base al D.L. n. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18 convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25 . Il logico corollario di tale impostazione è che le disposizioni ex L. n. 194 del 2009 si riferiscono esclusivamente alle concessioni nuove, ovvero a quelle sorte dopo la L. n. 88 del 2001, e comunque valide a prescindere dalla proroga automatica di cui al D.L. n. 400 del 1993, come modificato dalla L. n. 88 del 2001, introdotta nel 1993 ed abrogata nel 2001. Una diversa interpretazione porterebbe a ritenere, in maniera inammissibile, che il legislatore abbia abrogato espressamente la disciplina della proroga automatica nel 1993, in quanto in contrasto con la normativa Europea, salvaguardandone comunque gli effetti e, in tal modo, operando in contrasto con la disciplina comunitaria. 11. Peraltro, le disposizioni di cui al D.L. n. 179 del 2012, che prevedono la proroga automatica delle concessioni sino al omissis , sarebbero comunque inapplicabili al caso di specie, richiedendo la norma una espressa istanza da parte del concessionario ed un provvedimento espresso da parte del Comune previa necessaria verifica, non solo della esistenza a monte di un titolo valido, ma anche del permanere dei requisiti in capo al concessionario. Ed infatti la proroga è applicabile soltanto ad alcune tipologie di concessione, circostanza che impone una verifica da parte della competente amministrazione sul rilievo che la proroga, riguardando una concessione valida ed ancora in essere, presuppone un controllo circa la sussistenza di tale condizione e la permanenza dei requisiti richiesti per il suo rilascio, il che implica, ancora una volta, l’esigenza di una verifica. 12. Del resto la conferma dell’inapplicabilità del D.L. n. 179 del 2012 alle concessioni preesistenti già prorogate automaticamente e da ritenersi scadute, si rinviene anche nella sentenza 21 maggio 2013 n. 171 della Corte costituzionale che, richiamando, tra le altre, la decisione n. 213 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.R. Liguria 30 luglio 2012, n. 24, art. 1 in quanto la norma regionale impugnata prevede, a determinate condizioni, una proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo a favore del soggetto già titolare della concessione, senza nemmeno determinarne la durata temporale e il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni, violando in tal modo l’art. 117 Cost., comma 1, per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, determinando altresì una disparità di trattamento tra operatori economici, in violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e , dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti. Al contempo, la disciplina regionale, impedendo l’ingresso di altri potenziali operatori economici nel mercato, pone barriere all’ingresso, tali da alterare la concorrenza. 13. Anche la giurisprudenza amministrativa Cons. Stato Sez. 6, n. 525 del 29 gennaio 2013 si è schierata in tal senso ricordando come la Corte Costituzionale abbia ripetutamente rilevato sentenze nn. 213/2011, 340/2010, 233/2010 e 180/2010 che le disposizioni le quali prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime violano l’art. 117 Cost., comma 1, per contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza e ciò in quanto l’automatismo della proroga della concessione determina una disparità di trattamento tra gli operatori del settore, violando i principi di concorrenza. 14. A ciò va aggiunto che, successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2016, art. 24, comma 3-septies, conv. con modd. in L. n. 160 del 2016, lo stesso massimo organo di Giustizia amministrativa Cons. Stato, sez. 6, sentenza 12 febbraio 2018, n. 873 ha ritenuto irrilevante la sopravvenuta disposizione di cui al D.L. 24 giugno 2016, n. 113, art. 24, comma 3-septies, convertito con la L. 7 agosto 2016, n. 160. In particolare, osservano i Giudici amministrativi, tale disposizione, laddove stabilizza gli effetti della disciplina come sopra dichiarata in contrasto con il diritto Eurounitario, incorre essa stessa nello stesso vizio di incompatibilità con l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE e, comunque, con l’art. 49 TFUE, talché anche tale disciplina sopravvenuta deve essere disapplicata e non può dunque costituire valido parametro di giudizio ai fini della decisione della fattispecie sub iudice. Persistono, in particolare, le ragioni di inapplicabilità, al caso in esame, della previsione derogatoria/limitativa di cui al paragrafo 3 dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, non essendo, ai fini dell’operatività di detta deroga/limitazione, sufficiente la parafrasi, su un mero piano astratto e generale, dei concetti indeterminati all’uopo utilizzati nella direttiva comunitaria, ma occorrendo una valutazione in concreto, rapportata alla fattispecie specifica che di volta in volta viene in rilievo, delle esigenze giustificatrici di una deroga al principio dell’evidenza pubblica funzionale all’apertura del mercato. Ne consegue che, per il Consiglio di Stato, va disapplicata la normativa interna che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, con finalità turistico-ricreative, ivi comprese le concessioni destinate ad approdi e porti turistici, per il contrasto della stessa con l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 cosiddetta direttiva Bolkestein e, comunque, anche con l’art. 49 TFUE. 18. Detto obbligo di disapplicazione graverebbe - quand’anche si ritenesse superabile il problema dell’applicabilità della c.d. stabilizzazione introdotta dalla normativa del 2016 alle concessioni nuove , circostanza come, anticipato, non riguardante la concessione di cui si discute, in quanto scaduta il omissis - anche sul giudice penale, essendo infatti stato affermato che il potere-dovere del giudice di disapplicare la normativa nazionale in contrasto con la normativa comunitaria sussiste solo laddove tale ultima normativa sia dotata di efficacia diretta nell’ordinamento interno Sez. 3, n. 41839 del 30/09/2008 - dep. 07/11/2008, Righi, Rv. 241422 . Ed è indubbio, dopo la pronuncia della Corte costituzionale sentenza n. 227 del 24 giugno 2010 , che l’art. 12 della Direttiva Bolkestein è self-executing, cioè ha efficacia diretta nell’ordinamento degli Stati Membri, dunque la stessa può essere disapplicata anche dal giudice ordinario. 15. Coerentemente con la ricostruzione di cui si è dato conto, questa Corte ha affermato che deve essere disapplicata la normativa di cui al D.L. 24 giugno 2016, n. 113, art. 24, comma 3-septies, conv. in L. 7 agosto 2016, n. 160, in quanto la stessa, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime prevista dal D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18, conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25, contrasta con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 c.d. direttiva Bolkestein e, comunque, con l’art. 49 TFUE Sez. 3, n. 21281 del 16/03/2018 - dep. 14/05/2018, Ragusi, Rv. 273222 . 16. Venendo al caso di specie, si osserva, in primo luogo, che concessione demaniale in questione era scaduta e non prorogata e ciò in quanto il D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18 conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25 prevede che il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del predetto decreto e in scadenza entro il OMISSIS sia prorogato fino al OMISSIS , con la logica conseguenza che la proroga vale per le concessioni nuove nel senso di successive al D.L. n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010 in quanto in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 194 del 2009 e in scadenza e tale non era la concessione originariamente emessa a favore del ricorrente v., in senso conforme Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014 - dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108 Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013 - dep. 30/07/2013, Vita, Rv. 256411 , non avendo innovato sul punto il D.L. n. 113 del 2016, conv. in L. n. 160 del 2016, che si limita a prevedere che conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base al D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25 , rapporti riferiti, come anticipato, alle sole concessioni nuove tra cui non rientrano quelle di cui si discute. In breve la concessione rilasciata alla L. , con scadenza alla data del omissis , non potendo essere prorogata automaticamente per effetto dell’immediata applicazione nell’ordinamento interno della Direttiva Bolkstein, era tamquam non esset. Essa semplicemente non esisteva più al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 194 del 2009, art. 1, comma 18, conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere oggetto di proroga al omissis e, quindi, al omissis . 17. Del tutto inconferente è il richiamo, da parte del Tribunale distrettuale, dell’omessa attivazione, da parte della P.A., del procedimento di decadenza dalla concessione per il omesso pagamento del canone di concessione, di cui all’art. 47 c.n., comma 1, lett. d , per l’assorbente ragione che, essendo la concessione scaduta, non era più in essere alcun rapporto giuridico tra l’amministrazione e la L. . 18. Va, infine, richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011 - dep. 23/09/2011, P.M. in proc. Barbieri, Rv. 250976 , attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione. 19. Per i motivi indicati, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Teramo in altra composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Teramo, sezione riesame.