Registratore portatile in sala consiliare: seduta sospesa e cittadino condannato

Respinte le obiezioni difensive evidente, secondo i Giudici, la consapevolezza del cittadino di avere violato lo Statuto comunale e di avere posto le condizioni per uno stop ai lavori dell’assemblea. Evidente, quindi, la responsabilità penale per il reato di interruzione di pubblico servizio. A salvarlo è la prescrizione. Confermate invece le statuizioni civili a suo carico.

Pessima idea, senza dubbio, quella di provare a registrare di nascosto una seduta consiliare in Comune. Tale azione è vietata dallo Statuto e obbliga il sindaco, a fronte della posizione assunta dal cittadino, a sospendere i lavori dell’assemblea. E ciò comporta per il cittadino la condanna – evitata, in questo caso, solo grazie alla prescrizione – per il reato di interruzione di pubblico servizio Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 28950, depositata oggi . All’imputato sotto processo viene addebitato di aver provocato, nel febbraio del 2010, l’interruzione del consiglio comunale in un paese lombardo, in quanto durante la seduta ha iniziato a registrare con un apparecchio portatile, contrariamente al regolamento comunale . Tra primo e secondo grado l’episodio viene ricostruito nei dettagli. Così si accerta che egli ha utilizzato, durante una seduta consiliare , un piccolo registratore e il sindaco gli ha chiesto di interrompere la registrazione, vietata dallo Statuto comunale , e invece lui ha proseguito nell’attività non consentita e quindi il primo cittadino ha chiamato i carabinieri, interrompendo la seduta . A quel punto, i militari dell’Arma hanno chiesto all’uomo di conformarsi all’invito del sindaco , e invece l’uomo non si è adeguato ed è stato allontanato dall’aula . Per i Giudici d’Appello la condotta tenuta dal cittadino è catalogabile come interruzione di pubblico servizio , poiché egli aveva proseguito incurante l’attività non consentita, nonostante fosse stato invitato ad interrompere la registrazione , e quindi era prevedibile la reazione del sindaco, cioè sospendere la seduta con interruzione durata per circa un’ora e mezza . Respinta l’obiezione difensiva centrata su una presunta necessità di documentare eventuali irregolarità del consiglio comunale i Giudici ribattono che il cittadino ben poteva chiedere l’autorizzazione o documentare in altro modo la corretta verbalizzazione della seduta . Col ricorso in Cassazione l’imputato sotto processo sostiene di non avere mai avuto la volontà di provocare disturbo al regolare svolgimento della seduta del consiglio comunale. Aggiunge poi che lo Statuto comunale intendeva riferirsi ad autorizzazioni alle registrazioni delle sedute consiliari effettuate in via professionale dalle emittenti televisive per informare l’opinione pubblica – registrazioni che possono creare intralcio alla seduta e impatto psicologico sui consiglieri –, ma non quelle fatte dai privati cittadini , altrimenti si realizzerebbe, sostiene lo stesso, una violazione della Costituzione in quanto verrebbero condizionati diritti civili e libertà personali e, in particolare, il diritto alla corretta conoscenza di atti pubblici . Peraltro, il tema delle registrazioni audio-video è collocato al di fuori dei comportamenti integranti disturbo , e difatti, aggiunge il ricorrente, la registrazione è attività previamente autorizzabile . Il medesimo chiarisce poi di avere in buona fede ritenuto non necessaria tale autorizzazione per le registrazioni private , e precisa, infine, che l’intenzione era di registrare la seduta ma non di interromperla , anche perché nella seduta venivano in discussione questioni delicate ed era suo interesse registrare le dichiarazioni dei consiglieri per evitare che venissero manipolate . E, non a caso, alla contestazione da parte del sindaco egli spiega di non avere proferito parola e di non avere arrecato disturbo alla seduta . A salvare il ricorrente è la prescrizione , anche se rimangono intatte le statuizioni civili a suo carico. Per il resto, però, i Giudici della Cassazione ritengono indiscutibile il dato costituito dalla interruzione della seduta ed evidente il dolo nella condotta tenuta dal cittadino. In prima battuta viene rilevato che la norma dello Statuto comunale escludeva ogni forma di registrazione audio della seduta consiliare, indipendentemente cioè dal mezzo adoperato e dal soggetto che le effettuava, prevedendo in ogni caso il potere autorizzativo da parte del consiglio. Quindi, a fronte della pubblicità dell’udienza, che consentiva la partecipazione del pubblico, la norma statutaria regolava lo svolgimento della seduta e tale potere discende dal Testo Unico degli Enti Locali che attribuisce ai Comuni autonomia funzionale ed organizzativa . Peraltro, la limitazione derivante dallo Statuto si poneva inoltre in sintonia con le direttive date dal Garante per la protezione dei dati personali nota del 23 aprile 2003 in ordine alla registrazione delle sedute dei consigli comunali per finalità non istituzionali là dove sia effettuata per fini esclusivamente personali, i dati non devono essere destinati alla comunicazione sistematica o alla diffusione, mentre quando invece è effettuata per scopi diversi, gli interessati devono essere posti previamente in condizione di essere informati . Di conseguenza, la ripresa televisiva della seduta del consiglio comunale si configura quale operazione concernente la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo di informazioni relative a persone fisiche, persone giuridiche, enti od associazioni, identificati o identificabili , e la previa autorizzazione del consiglio, prevista dallo Statuto, veniva a tutelare la diffusione incontrollata di dati personali e giustificava la interruzione da parte del sindaco della seduta, una volta emersa la circostanza dell’uso non autorizzato di un registratore da parte del cittadino . Evidente, quindi, che l’imputato si è reso colpevole di avere violato il regolamento comunale introducendo nella sala consiliare un registratore portatile . Per i Giudici del Palazzaccio, poi, è evidente anche il dolo nelle azioni compiute dal cittadino, essendo egli consapevole che il suo comportamento poteva determinare l’interruzione o il turbamento della seduta consiliare e aveva accettato quindi il relativo rischio . E su questo fronte sono inequivocabili la consapevolezza dell’uomo nel continuare a registrare nonostante l’invito del sindaco a spegnere l’apparecchio e la sua persistenza nel volere – senza alcuna autorizzazione – tenere il comportamento non consentito . E inutile è il richiamo difensivo alla presunta esigenza della registrazione, in quanto la norma statutaria lasciava comunque aperta la possibilità di ottenere una autorizzazione , chiosano i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 20 ottobre 2020, n. 28950 Presidente Mogini – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva condannato Lu. Mi. per il reato di cui all'art. 340 cod. pen., commesso l'11 febbraio 2010. All'imputato era stato contestato di aver provocato l'interruzione del Consiglio Comunale, in quanto durante la seduta aveva iniziato a registrare con un apparecchio portatile, contrariamente al regolamento comunale. Secondo quanto accertato in sede di merito, l'imputato durante una seduta consiliare aveva utilizzato un piccolo registratore e il Sindaco gli aveva chiesto di interrompere la registrazione, vietata ai sensi dell'art. 7, comma 19, dello Statuto comunale. Avendo l'imputato proseguito, il Sindaco aveva chiamato i Carabinieri interrompendo la seduta, i quali, una volta intervenuti, avevano invitato l'imputato a conformarsi all'invito del Sindaco. L'imputato poiché non si era adeguato era stato allontanato dall'aula. Secondo la Corte di appello, la condotta dell'imputato integrava anche soggettivamente il reato contestato, in quanto l'imputato nonostante fosse stato invitato ad interrompere la registrazione, aveva proseguito incurante, essendo prevedibile il comportamento del tutto legittimo del Sindaco di interrompere la seduta interruzione era durata per circa un'ora e mezza . Né era giustificabile il comportamento per la necessità dedotta dall'imputato di documentare eventuali irregolarità del Consiglio comunale, posto che egli ben poteva chiedere l'autorizzazione o documentare in altro modo la corretta verbalizzazione della seduta. 2. Avverso la suddetta sentenza l'imputato, in data il 15 novembre 2016, ha proposto personalmente ricorso per cassazione, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Violazione di legge, in relazione alla valutazione dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 340 cod. pen. Non era volontà del ricorrente provocare disturbo al regolare svolgimento della seduta. Lo Statuto comunale del 2003 all'art. 7 intendeva riferirsi ad autorizzazioni alle registrazioni delle sedute consiliari effettuate in via professionale come dimostra l'espressione disturbo tecnico dalle emittenti TV per informare l'opinione pubblica esse possono creare intralcio alla seduta e impatto psicologico sui consiglieri , ma non quelle fatte da privati cittadini all'epoca non erano esistenti tecnologie - registratori digitali, smartphone, ecc. - che consentissero tale possibilità , che sarebbe stata contraria alla Costituzione in quanto verrebbe a condizionare diritti civili e libertà personali alla corretta conoscenza di atti pubblici. Ad avvalorare tale interpretazione è l'elenco dei comportamenti che devono tenere i privati che assistono alla seduta pubblica stare nei previsti spazi, tenere un comportamento corretto, astenersi da manifestazioni di assenso o dissenso all'operato del consiglieri, dall'esporre cartelli, striscioni e mezzi che interferiscano con le funzioni del Consiglio o rechino disturbo allo stesso , prevedendo che i poteri di mantenimento dell'ordine pubblico siano esercitati dal Presidente, avvalendosi se del caso della polizia municipale. Pertanto, l'intervento in aula dei Carabinieri, richiesta dal Presidente, configurava un abuso di potere, posto che la mera detenzione del registratore in tasca non costituiva flagranza di reato. L'art. 7, comma 19, affronta il tema delle registrazioni audio-video, ma al di fuori dei comportamenti integranti disturbo, tant'è che prevede che sia attività previamente autorizzabile. Il ricorrente aveva in buona fede ritenuto non necessaria tale autorizzazione per le registrazioni private e la condotta tenuta esulava da quella sanzionata dall'art. 340 cod. pen. L'art. 7, comma 19, doveva essere interpretato come divieto all'utilizzazione delle registrazioni non autorizzate. Intenzione del ricorrente era di registrare la seduta ma non di interromperla volontà tra loro inconciliabili nella seduta venivano in discussione questioni delicate e era suo interesse registrare le dichiarazioni dei consiglieri per evitare che venissero manipolate. Alla contestazione del Sindaco, il ricorrente non ha profferito parola e non ha arrecato disturbo alla seduta. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. Peraltro, stante il decorso del tempo necessario per la prescrizione del reato e la non manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. In presenza delle statuizioni civili, i motivi di ricorso devono in ogni caso essere esaminati limitatamente a tale capo della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. 2. La sentenza impugnata non è censurabile in ordine alla legittimità della interruzione della seduta e al dolo. 2.1. Quanto al primo profilo, va osservato che la norma dello Statuto comunale escludeva ogni forma di registrazione audio della seduta consiliare, indipendentemente cioè dal mezzo adoperato e dal soggetto che le effettuava, prevedendo in ogni caso il potere autorizzativo da parte del Consiglio. Quindi a fronte della pubblicità dell'udienza, che consentiva la partecipazione del pubblico, la norma statutaria regolava lo svolgimento della seduta. Tale potere discende dall'art. 38, comma 3, Testo Unico degli Enti Locali, che attribuisce ai Comuni autonomia funzionale ed organizzativa. La limitazione derivante dallo Statuto in esame si poneva inoltre in sintonia con le direttive date dal Garante per la protezione dei dati personali con nota del 23 aprile 2003 in ordine alla registrazione delle sedute dei consigli comunali per finalità non istituzionali là dove sia effettuata per fini esclusivamente personali, i dati non devono essere destinati alla comunicazione sistematica o alla diffusione, mentre quando invece è effettuata per scopi diversi, gli interessati devono essere posti previamente in condizione di essere informati. La ripresa televisiva della seduta del Consiglio Comunale si configura quindi, come poi ha precisato l'art. 4, comma 1, lett. a e b , del Codice sul trattamento dei dati personali, approvato con d.lgs. 30 giugno 2006 n. 196, quale trattamento di dati personali , ossia quale operazione concernente la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo di informazioni relative a persone fisiche, persone giuridiche, enti od associazioni, identificati o identificabili . Ne consegue che la previa autorizzazione del Consiglio, prevista dallo Statuto, veniva a tutelare la diffusione incontrollata di dati personali e giustificava la interruzione da parte del Sindaco della seduta, una volta emersa la circostanza dell'uso non autorizzato di un registratore da parte dell'imputato uso ammesso in sede di esame dallo stesso imputato . In ordine all'interpretazione della norma, va ribadito che, quando l'interpretazione letterale di una norma di legge o regolamentare, come nella specie sia sufficiente ad esprimere un significato chiaro ed univoco, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, attraverso l'esame complessivo del testo, della mens legis, il quale solo nel caso in cui, nonostante l'impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, acquista un ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale tra tante, Sez. 3 civ., n. 24165 del 04/10/2018, Rv. 651130 . Nella specie, correttamente il giudice di merito ha fatto applicazione esclusiva del criterio letterale dettato dall'art. 12, primo comma, delle preleggi, evidentemente sottintendendo l'esaustività, per la stessa chiarezza ed univocità della disposizione regolamentare da interpretare, dell'implicito richiamo ad un simile criterio. Pertanto, non è censurabile la sentenza impugnata là dove ha ritenuto che l'imputato avesse violato il regolamento comunale introducendo nella sala del Consiglio un registratore portatile . 2.2. Quanto al dolo, la Corte di appello ha ragionevolmente disatteso la critica difensiva. Va ribadito che, ai fini della configurabilità dell'elemento psicologico del delitto di cui all'art. 340 cod. pen., è sufficiente che il soggetto attivo sia consapevole che il proprio comportamento possa determinare l'interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando ed assumendone il relativo rischio Sez. 6, n. 39219 del 09/04/2013 Trippitelli Rv. 257081 . La sentenza impugnata ha dimostrato, con ragionamento lineare e coerente alle evidenze processuali esposte nella motivazione, la consapevolezza del ricorrente di continuare a registrare nonostante l'invito del Sindaco a spegnere l'apparecchio e la sua persistenza nel voler - senza alcuna autorizzazione - tenere il comportamento non consentito. Né potevano rilevare le motivazioni poste alla base dell'esigenza della registrazione, in quanto la norma statutaria lasciava comunque aperta la possibilità, nella specie neppure esplorata, di ottenere una autorizzazione. 3. Alla luce di quanto precede è evidente che non vi è alcuno spazio per una pronuncia assolutoria dell'imputato, con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e conferma delle statuizioni civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Conferma le statuizioni civili.