Confermata la custodia in carcere per l’imputato nonostante la limitazione psico-motoria della moglie

La condizione psico-fisica della donna non è sufficiente, secondo i Giudici, per parlare di assoluta impossibilità all’assistenza della prole. E non può essere trascurato poi che ella può comunque fare affidamento, fino a prova contraria, su parenti e servizi sociali.

Legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo – sotto accusa per la presunta partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – nonostante le difficoltà della moglie, che deve fare fronte a una limitazione psico-motoria, nella gestione dei loro due figli. Per i Giudici la moglie può fare affidamento, fino a prova contraria, su parenti e strutture assistenziali pubbliche, e comunque è tutta da dimostrare l’idoneità educativa dell’imputato, che all’epoca della consumazione del reato, coincidente con i primi anni di vita dei figli, non aveva provveduto a sostituire o almeno coadiuvare la consorte Cassazione, sentenza n. 27329/20, sez. Feriale Penale, depositata il 2 ottobre . Netta la posizione assunta dal Tribunale della libertà evidente la giustezza della valutazione compiuta dal GIP del Tribunale, e confermata perciò la custodia cautelare in carcere nei confronti di un imputato sotto accusa per una presunta partecipazione ad una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti . Irrilevanti i richiami alle difficoltà che deve affrontare la moglie a casa nella gestione dei loro due figli. Più precisamente, la difesa ha chiesto una misura cautelare meno severa, sostenendo che la moglie si trova impossibilitata a dare assistenza alla prole , mentre il Tribunale ha ribattuto che la donna presenta solo una limitazione psico-motoria, non comportante una assoluta impossibilità alla assistenza dei figli minori e, allo stesso tempo, non è provata la impossibilità per lei di avvalersi dell’ausilio di parenti o di strutture assistenziali pubbliche . Per chiudere il cerchio, infine, viene rilevato che all’epoca di consumazione del reato, coincidente con i primi anni di vita dei figli l’uomo non ha sostituito la moglie nell’accudimento della prole . Ultima speranza è la Cassazione. Ma anche il ricorso presentato ai Giudici del ‘Palazzaccio’ si rivela inutile. L’imputato si gioca la carta della consulenza tecnica , che, spiega, ha documentato l’oggettivo impedimento per la moglie di occuparsi della prole , e aggiunge poi che è privo di logica la considerazione sulla sua non idoneità educativa rispetto ai figli. In ultima battuta, poi, egli osserva che non si può attribuire alla difesa l’onere di provare la insussistenza di figure, parentali o pubbliche, a sostegno della madre nell’assistenza dei figli minori . In premessa dalla Cassazione ricordano che la norma stabilisce che nel caso di figli minori di 6 anni e di madre assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, la custodia in carcere del padre può essere disposta, e mantenuta, solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza . In questo caso specifico, però, sia il GIP che il Tribunale della libertà hanno respinto l’istanza di sostituzione della massima misura custodiale alla luce della insussistenza del requisito della assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla prole , vista l’assenza di una condizione patologica che costituisca impedimento alla assistenza dei figli , e sulla base della considerazione che, fino a prova contraria, parenti e servizi sociali possono dare supporto alla madre . Dalla Cassazione tengono a sottolineare che nella moglie è stata riscontrata solo una limitazione psico-motoria che non determina un impedimento assoluto alla assistenza dei due figli , e in questa ottica ha senso la considerazione che vi sono parenti e servizi sociali a sostegno delle famiglie e quindi anche a sostegno della moglie dell’uomo costretto in carcere.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 2 settembre – 2 ottobre 2020, n. 27329 Presidente Bricchetti – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata in data 16.7.2020 il Tribunale di Messina, quale giudice ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l'appello proposto da Mo. Gi. avverso l'ordinanza, pronunciata in data 21.5.2020, con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra meno afflittiva. Premesso che la misura era stata applicata in relazione alla imputazione di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e che la sostituzione della misura era stata chiesta, ai sensi dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., in quanto l'istante era padre di due figli minori di anni sei e la madre si trovava impossibilitata a dare assistenza alla prole, il Tribunale ha rilevato che la madre dei minori presentava, secondo quanto attestato dalla consulenza in atti, limitazione psico motoria non comportante una assoluta impossibilità alla assistenza dei figli minori, considerato anche che non era provata la impossibilità, per la madre, di avvalersi dell'ausilio di parenti o di strutture assistenziali pubbliche. Inoltre, tenuto conto dell'epoca di consumazione del reato ascritto, coincidente con i primi anni di vita dei figli, risultava che, in allora, il Mo. non avesse sostituito la madre nell'accudimento dei figli. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Mo. Gi., chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Con l'unico motivo viene denunciata la violazione dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. e difetto di motivazione, in quanto era stato documentato, tramite consulenza tecnica, l'oggettivo impedimento per la madre di occuparsi dei figli, mentre del tutto illogica, rispetto ai requisiti indicati dalla norma processuale, era la considerazione sulla non idoneità educativa dell'istante. Inoltre, non si poteva attribuire alla difesa l'onere di provare la insussistenza di figure, parentali o pubbliche, a sostegno della madre nell'assistenza dei minori. 3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è articolato genericamente ed ha contenuto di merito, e ne va quindi dichiarata la inammissibilità. 1. L'art. 275, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce, nel caso di figli minori di anni sei e di madre assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole , che la custodia in carcere del padre possa essere disposta, e mantenuta, solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza . Sia il giudice per le indagini preliminari che il Tribunale hanno motivato la decisione di rigetto della istanza di sostituzione della massima misura custodiale sul rilievo della insussistenza del requisito della assoluta impossibilità della madre a dare assistenza alla prole, sia per il supporto che parenti e servizi sociali possono dare alla madre sia per l'assenza di una condizione patologica che costituisca impedimento alla assistenza dei figli. 2. Il ricorso denuncia difetto motivazionale e violazione di legge, osservando, da una parte, che il Tribunale non aveva valutato le conclusioni della consulenza sulle condizioni fisiche della moglie del ricorrente e, dall'altra, che la idoneità educativa del padre e la presenza, o meno, di terzi a supporto della madre erano profili estranei ai requisiti di operatività della norma. In relazione all'accertamento del dato fattuale la impossibilità per la madre di dare assistenza alla prole di età inferiore ad anni sei , cui la norma processuale ricollega l'aggravamento del requisito delle esigenze cautelari necessarie per disporre, e mantenere, la massima misura custodiale, l'ordinanza impugnata ha valorizzato, per escluderne la sussistenza, gli esiti di una consulenza tecnica, che aveva riscontrato nella madre una limitazione psicomotoria , che, dunque, non determina un impedimento assoluto alla assistenza dei figli. Sul punto, decisivo, il ricorso non ha proposto alcun rilievo critico specifico, limitandosi a sostenere che il Tribunale non avrebbe esaminato la consulenza, di cui aveva riportato le conclusioni. Si tratta di un argomento che propone una diversa lettura delle valutazioni mediche, e comunque in termini del tutto generici, non avendo indicato alcun dato idoneo a comprovare la sussistenza di condizioni integranti un oggettivo e assoluto impedimento. Quanto al rilievo dato dall'ordinanza al sostegno che la madre può ricevere da soggetti terzi, il ricorso non coglie il senso dell'osservazione del Tribunale, il quale aveva aggiunto la considerazione che, secondo l’id quod plerumque accidit, vi sono sia parenti che servizi sociali a sostegno delle famiglie e dunque, in assenza di prova contraria, anche della moglie del ricorrente. Infine, l'argomento concernente la non idoneità educativa del ricorrente riguarda un aspetto estraneo ai requisiti richiesti dalla norma processuale, ma, essendo stato valorizzato solo accessoriamente, la sua inconferenza non incide sulla congruità ed adeguatezza della motivazione della decisione impugnata. 3. Va dunque dichiarata la inammissibilità del ricorso, cui consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000 , anche al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000, 00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.