Salute precaria e schizofrenia compatibili con la detenzione in carcere

Respinta la richiesta avanzata da un detenuto e mirata ad ottenere i ‘domiciliari’. I grossi problemi di salute da lui lamentati sono compatibili col carcere. Rilevante anche la storia personale dell’uomo, sufficiente a ritenerne evidente la pericolosità sociale.

Niente domiciliari per il detenuto, nonostante i molteplici problemi di salute e una cronica schizofrenia paranoide. Per i Giudici, difatti, l’uomo può essere seguito adeguatamente all’interno della struttura penitenziaria , e, comunque, è evidente la sua pericolosità sociale, testimoniata anche dalla mancata adesione al piano di reinserimento proposto dai servizi territoriali Cassazione, sentenza n. 27119/20, sez. I Penale, depositata oggi . Riflettori puntati sulla precaria posizione di un uomo condannato per truffa e sostituzione di persona falsità violazione della misura di prevenzione e punito con quasi due anni di carcere. Egli richiede la detenzione domiciliare , mettendo sul tavolo gli accertati problemi di salute che lo affliggono da tempo, ma dal Tribunale di sorveglianza arriva una risposta negativa nessuna alternativa alla reclusione in una struttura penitenziaria. In particolare, in Tribunale vengono poste in evidenza diverse segnalazioni di pubblica sicurezza, oltre a precedenti penali e carichi pendenti , tutti elementi ritenuti sufficienti per ipotizzare un rischio di ricaduta nel reato . Allo stesso tempo, viene assegnato peso specifico – negativo – al precario contesto familiare e abitativo , poiché l’uomo vive in una roulotte, insieme a sette componenti il nucleo familiare e ha continuato a frequentare persone pregiudicate , mentre sono risultate assenti comprovate fonti lecite di guadagno per il suo sostentamento . Per quanto concerne, poi, i problemi di salute dell’uomo, in Tribunale si prende atto che egli è stato sottoposto a un ‘ trattamento sanitario obbligatorio’ , a seguito di uno scompenso psicotico , è affetto da schizofrenia paranoide cronica, e infine deve fronteggiare anche obesità, ipertensione e ipercolesterolemia queste patologie, però, sono suscettibili di essere adeguatamente curate in carcere , osservano i Giudici. A portare il caso in Cassazione è il detenuto. Il legale contesta la decisione del Tribunale di sorveglianza, richiamando la legge penale sui gravi motivi di salute, e osserva che il suo cliente è affetto da schizofrenia paranoide cronica e il carcere ha ritenuto evidente l’incompatibilità con il regime detentivo ordinario, indicando la necessità di una continuità terapeutico-assistenziale presso il ‘Centro di salute mentale’ di riferimento . A fronte di tale quadro clinico è lapalissiano, secondo il legale, l’errore compiuto dal Tribunale di sorveglianza. Soprattutto perché la condizione di salute del suo cliente non è destinata a migliorare nel contesto detentivo , essendo l’uomo affetto da una patologia psichiatrica grave che risaliva al 2006 e non era gestibile in ambito intramurario . Irrilevante, sempre secondo il legale, anche il richiamo ai delitti commessi dall’uomo, poiché ci si trova di fronte a fatti commessi in una condizione di delirio psicotico paranoide verso i familiari . Tirando le somme, l’avvocato del detenuto ribadisce la richiesta della detenzione domiciliare, ritenendo evidente che l’uomo ha diritto a essere curato adeguatamente e a non essere sottoposto a trattamenti non tollerati dalle condizioni di salute . Ogni obiezione difensiva proposta nel contesto del ‘Palazzaccio’ si rivela però inutile. Per i Giudici della Cassazione, difatti, il detenuto deve continuare a scontare la pena in carcere . In prima battuta, viene condivisa l’opinione espressa dal Tribunale di sorveglianza, secondo cui non ricorrono gli estremi per ritenere che il detenuto sia affetto da una patologia idonea a metterne in pericolo la vita o a provocargli rilevanti conseguenze dannose o, comunque, tale da esigere un trattamento che non si possa attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività . Subito dopo, però, viene richiamata la storia giudiziaria dell’uomo. Logico, quindi, escludere una prognosi positiva sul rispetto di prescrizioni accessorie alla misura della detenzione domiciliare , osservano i magistrati, anche tenendo presente la necessità di costanti contatti con i presidi sanitari territoriali e di una accertata capacità del soggetto di aderire in autocontrollo alle prescrizioni imposte . E quest’ultimo elemento non si coglie, appunto, nella storia personale del detenuto, che ha violato le norme penali almeno fino al maggio del 2018 . Peraltro, la pericolosità sociale dell’uomo e la sua mancata adesione al piano di reinserimento sociale, proposto dai servizi territoriali, sono elementi che depongono per una condizione ostativa al beneficio della detenzione domiciliare . Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici della Cassazione, sempre condividendo la posizione assunta dal Tribunale del riesame, sanciscono che le condizioni psico-fisiche del detenuto possono essere adeguatamente controllate nel contesto detentivo , e osservano che già la presa in carico da parte dei servizi dell’istituto può consentire un miglioramento, con assunzione costante di terapia ed effettuazione periodica di colloqui psicologici e psichiatrici . In sostanza, l’espiazione della pena in atto non contrasta, allo stato e in concreto, con il diritto alla salute o con il senso di umanità costituzionalmente garantiti, in quanto non si evidenziano condizioni tali da far postulare conseguenze dannose, anche sul piano della dignità umana, così da privare la pena del suo significato rieducativo , chiosano dalla Cassazione, osservando che le cure e i trattamenti clinici indicati sono praticabili – e in effetti praticati – all’attualità nella struttura penitenziaria .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 giugno – 29 settembre 2020, n. 27119 Presidente Iasillo – Relatore Cairo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, in data 18/12/2019, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava la richiesta di detenzione domiciliare avanzata nell'interesse di Ja. Br Al momento della domanda l'istante era in espiazione della pena di un anno, undici mesi e ventotto giorni di reclusione, di cui al cumulo emesso dalla Procura della Repubblica di Cuneo il giorno 1/8/2018, per i reati di truffa e sostituzione di persona, commessi nell'anno 2010, di falsità e di violazione della misura di prevenzione 2013 , con un fine pena al 7/9/2021. Premetteva l'adito Tribunale che l'istante aveva fatto ingresso dalla libertà nella struttura penitenziaria di Viterbo, all'esito del rigetto delle istanze operato dal Tribunale di sorveglianza di Torino. Rilevava che v'erano diverse segnalazioni di P.S., oltre a precedenti penali e carichi pendenti, che davano conto di un rischio di ricaduta nel reato. Si presentava, peraltro, un contesto familiare e abitativo precario. Ja. viveva in una roulotte, insieme a sette componenti il nucleo familiare aveva continuato a frequentare persone pregiudicate ed erano assenti comprovate fonti lecite di guadagno, per il suo sostentamento. Lo stesso istante, osservava il Tribunale, era stato denunciato dalla moglie per maltrattamenti e, al di là della remissione di querela, il 12/11/2019, da parte della donna, era stato sottoposto a TSO, nel periodo compreso tra l'1 e il 7 agosto 2019, a seguito di uno scompenso psicotico. Il Tribunale dava conto del quadro patologico che si ricavava dalla relazione sanitaria obesità, ipertensione, ipercolesterolemia, schizofrenia paranoide cronica aspetto che, tuttavia, non esauriva la valutazione da compiere, dovendo Ja. aderire alle prescrizioni imposte. Si trattava di patologie suscettibili, del resto, di essere adeguatamente curate in carcere. 2. Ricorre per cassazione Ja. Br., con il ministero del suo difensore di fiducia e lamenta il vizio di motivazione, in ordine all'erronea applicazione della legge penale sui gravi motivi di salute ex art. 47-ter L. 26 luglio 1975, n. 354. Il detenuto era affetto da schizofrenia paranoide cronica e il carcere di Viterbo aveva ritenuto l'incompatibilità con il regime detentivo ordinario, indicando la necessità di una continuità terapeutico assistenziale presso il CSM di riferimento. Il quadro clinico era confermato all'udienza del 18/12/2019 nella nuova relazione aggiornata. La motivazione risultava, dunque, viziata nella parte in cui aveva ritenuto che la condizione di salute fosse destinata a migliorare nel contesto detentivo. Si trattava di una conclusione in contrasto logico e medico-scientifico con le acquisizioni a disposizione. Ja. era, invero, affetto da una patologia psichiatrica grave che risaliva al 2006 e non era gestibile in ambito intramurario. Il richiamo ai delitti commessi era stato travisato, poiché si trattava di fatti che erano stati commessi in una condizione di delirio psicotico paranoide verso i familiari. D'altro canto il detenuto aveva diritto a essere curato adeguatamente a non essere sottoposto a trattamenti non tollerati dalle condizioni di salute. 3. Il ricorso è manifestamente infondato e, in parte, proposto fuori dei casi ammessi. 3.1. Esso non si confronta compiutamente con la motivazione sviluppata dal Tribunale di sorveglianza. Secondo il Tribunale di sorveglianza non ricorrevano gli estremi per ritenere che il detenuto fosse affetto da una patologia idonea a mettere in pericolo la vita o a provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, tale da esigere un trattamento che non si potesse attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito operare un bilanciamento tra l'interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv, 258406 Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674 . La storia giudiziaria di Ja., si è annotato, non era tale da indurre una prognosi positiva sul rispetto di prescrizioni accessorie alla misura della detenzione domiciliare. Ciò neppure per la misura di cui all'art. Ai-ter comma 1 lett. c Ord. Pen. che, oltre a presupporre costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, richiede la capacità del soggetto di aderire in autocontrollo alle prescrizioni imposte. Questo elemento non si coglieva, appunto, nella storia personale dell'istante che aveva violato le norme penali almeno fino al 21/5/2018. La pericolosità sociale e la mancata adesione al piano di reinserimento sociale, proposto dai servizi territoriali, erano, dunque, elementi che deponevano per una condizione ostativa al beneficio della detenzione domiciliare invocata. Né in questa logica coglie nel segno il dedotto travisamento secondo cui il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l'ambiente carcerario avrebbe permesso un trattamento clinico di maggiore pregnanza. Il ricorso non si conforta compiutamente con il ragionamento sviluppato dal Giudice di merito che ha semplicemente evidenziato come le condizioni psicofisiche del detenuto potessero essere adeguatamente controllate in contesto detentivo. Già la presa in carico da parte dei servizi dell'istituto ne avrebbe permesso un miglioramento, con assunzione costante di terapia ed effettuazione periodica di colloqui psicologici e psichiatrici. Risulta, dunque, correttamente valutato il quadro clinico che caratterizza la condizione del condannato ed è riassunto nel provvedimento impugnato nella sua completezza, con correlata spiegazione delle ragioni a fondamento della decisione di respingere la richiesta avanzata. Non risulta, del resto, su tale base, che l'espiazione della pena in atto contrasti, allo stato e, in concreto, con il diritto alla salute o con il senso di umanità costituzionalmente garantiti, in quanto non si evidenziano condizioni tali da far postulare conseguenze dannose, anche sul piano della dignità umana, così da privare la pena del suo significato rieducativo. Le cure e i trattamenti clinici sono indicati come praticabili -e in effetti praticati all'attualità, nella struttura penitenziaria. L'ordinanza impugnata, dunque, tratta ogni aspetto, con motivazione immune da censure, sia per il profilo di pericolosità che per quello clinico. Su quest'ultimo il ricorso rimette la ponderazione e la qualificazione anche di aspetti di merito e di valutazioni in fatto che non possono essere affidate allo scrutinio di legittimità. Sulla base di quanto illustrato, il ricorso va dichiarato inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria, in ragione delle questioni dedotte. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.